Ritratto curioso e insolito, revisionista, ma non troppo, di Radetzky

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Ritratto curioso e insolito, revisionista, ma non troppo, di Radetzky

18 Gennaio 2009

Si sa  che per gli Asburgo il vecchio Lombardo-Veneto era il gioiello di famiglia e insieme il “polmone finanziario” dell’impero. Il dotto e lungimirante Carlo Cattaneo ne aveva netta coscienza tanto da scrivere, in tempi non sospetti, che i “sudditi italiani della Casa d’Austria ebbero a pagare un terzo delle gravezze dell’imperio, benché facessero solo un ottavo della popolazione”.  Niente di strano quindi che a Milano soggiornasse stabilmente un campione della tradizione militare imperiale quale l’anzianotto ma tutt’altro che moscio maresciallo Joseph Wenzel Radetzky.

Un personaggio e all’incirca un meneghino di riporto. Poco aitante, “il collo tozzo e breve” incastrato su “un tronco sproporzionato ed esagerato per la statura che aveva, il capo rotondo e precocemente sguarnito… non ne facevano un bell’uomo”. Si aggiunga “un naso importante e camuso”, una propensione agli “accessi d’ira e agli eccessi della tavola” e così “avremo il ritratto di un ufficiale bonario e un po’ caricaturale, destinato a farsi seguire e amare per il suo coraggio, non certo per suo aspetto”. Ad arricchire il ritratto del personaggio ci pensava poi una eleganza così così (tipo “certi paletot meglio adatti a un impiegatuccio delle imperial regie poste che a un maresciallo generale”), oltre a molteplici disavventure famigliari: una consorte sciocchina e pretenziosa, una schiera di rampolli piuttosto scriteriati. Guasti privati, leniti in età matura da un’appagante relazione con una “prosperosa stiratrice di Sesto San Giovanni”, Giuditta Meregalli, che, in soprassoldo, gli sfornerà ben quattro creature. Infine, un aneddoto illuminante: “Uno dei figli di Radetzky era venuto a diverbio con un prete a Milano, il quale per tutta risposta all’arroganza del giovane ufficiale dal nome importante lo schiaffeggiò pubblicamente. Venuto a conoscenza dell’episodio il feldmaresciallo lo convocò a Palazzo Cusani. Al sacerdote che entrò pieno di apprensione il vecchio generale strinse la mano congratulandosi per la lezione impartita al figlio. ‘Bravo, bravissimo’ gli disse”. Tutte notizie, quelle in ora citate, riprese a man bassa da un bel libro di Giorgio Ferrari dedicato al maresciallo e alle Cinque giornate ambrosiane (Giorgio Ferrari, “Le cinque giornate di Radetzky”, La vita felice, pagine 256, euro 12,50).

Si tratta di un testo uscito la scorsa primavera presso uno piccola casa editrice meneghina senza, peraltro, essersi guadagnato particolari riscontri. Il volume è invece curioso e insolito. Revisionista ma non troppo. Scritto alla maniera di una fiction, eppure storicamente puntuale. L’autore, va da sé, simpatizza con l’ottuagenario servitore degli Asburgo, ma non è meno bendisposto verso il suo avversario più agguerrito, il federalista e repubblicano Cattaneo. Di certo, non è tenero nei confronti dei tanti tentenna del momento. Fra gli ambrosiani innanzitutto il podestà, successivamente ministro e presidente del Senato, il nobiluomo Casati, tratteggiato sotto le vesti del rampante e indecisionista. Identica allergia mostra per il grosso degli aristocratici filo-sabaudi. Fuori dalle mura ambrosiane, l’eroe negativo ha il nome del re piemontese Carlo Alberto, l’italico Amleto, le cui croniche titubanze trasformano la prima guerra d’indipendenza in debacle sia politica che militare

.Ben altra chiarezza e ben altro caratteri ritrova Ferrari  nel generalissimo e nel suo contraddittore repubblicano. Ambedue, in fondo, la sapevano lunga su situazione, indole, prospettive locali, insomma sulla posta in gioco. Ad avvicinarli, quantomeno idealmente, concorreva un dato di carattere, ovvero un’inclinazione minima alla retorica che faceva il paio con la ben nota e, condivisa, propensione al realismo. Un tratto di concretezza, secondo copione e tradizione, milanesissimo.