Ritratto della “destra nuova” in cerca d’autore…attori e pubblico

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Ritratto della “destra nuova” in cerca d’autore…attori e pubblico

31 Maggio 2009

Quando è stata l’ultima volta che la destra fino a poco tempo fa incarnata da AN e guidata dall’attuale Presidente della Camera Gianfranco Fini ha detto una cosa di destra? E’ evidente che ci riferiamo alla celeberrima invocazione “Dì qualcosa di sinistra!” lanciata dallo sconfortato Nanni Moretti a un leader post- o ex-comunista che parlava in televisione. Moretti intendeva richiamare i politici di sinistra alla fedeltà al loro patrimonio ideale: cosa che la sinistra a parere di molti non ha fatto. Allo stesso modo è possibile immaginare un confuso, deluso, irritato elettore di destra  che rivolga un invito analogo ai politici della parte nella quale si è finora riconosciuto: “Dì qualcosa di destra!”.

In effetti, è un po’ difficile dire che cosa resti davvero di destra nel bagaglio culturale e politico di quella parte politica ormai confluita nel Pdl ma con un evidente desiderio di essere riconoscibile se non altro attorno a qualche personaggio di spicco. Tentiamo di farlo attraverso la sua autopresentazione più recente.

Nel volume a più voci coordinato da Alessandro Campi e Angelo Mellone viene presentata appunto la destra “nuova”. L’aggettivo “nuovo” viene di solito contrapposto all’aggettivo “vecchio”. Questo accade anche qui: solo che la destra vecchia alla quale viene contrapposta la destra nuova non è una sola, ma sono molte. Di conseguenza, anche la destra nuova è molte cose insieme. Alcuni dei suoi tratti sono nuovi, altri molto vecchi, eterni si direbbe. Nuova, nel complesso, è la definizione dei valori, delle idee a cui questa destra nuova si ispira: ma, come vedremo, è difficile dire se la nuova creatura riesca davvero a tenere insieme principi così diversi e che cosa differenzi quei valori e quei principi da quelli della sinistra.

Altri elementi che la caratterizzano, invece, sono vecchi: sopra tutti gli altri, lo è il tentativo di scompigliare i consolidati patrimoni ideologici e valoriali tipici della destra e della sinistra, mischiarli e offrire una ideologia ibrida composta di elementi che appartengono all’una e all’altra famiglia ideologica. Dalla fine degli anni settanta, forse dallo stesso Sessantotto, ci pare che non sia stato fatto altro. Da una parte e dall’altra.

Partiamo dalla destra nuova. Non “Nuova destra”, per carità! La Nuova destra è quella formazione metapolitica che nasce negli anni settanta in Francia a opera di Alain De Benoist e genera tante formazioni simili un po’ ovunque, e particolarmente in Italia. Si caratterizza per il neopaganesimo, il radicalismo delle sue simpatie e antipatie politiche, la vicinanza a tutte le eterodossie possibili e immaginabili, la spregiudicatezza intellettuale, la curiosità nei confronti del patrimonio culturale della sinistra, nel quale pesca a piene mani. Nasce così il cosiddetto gramscismo di destra: la ripresa e applicazione al mondo ideologico della destra dell’idea coniata da Antonio Gramsci di egemonia: il riconoscimento che è necessario, per una formazione politica, vincere nella società non con la forza ma attraverso il consenso, dunque con le armi della cultura.

Quella che Campi e Mellone descrivono e prefigurano non è la Nuova destra, anche se con quella la loro ha in comune alcuni ibridi ideologici e culturali su cui torneremo alla fine: quella di cui essi parlano è la destra nuova. Nuova perché diversa dalla destra alla quale siamo abituati. Nuova perché si ispira all’azione politica di alcuni leader europei di successo: Nicolas Sarkozy in Francia, David Cameron in Gran Bretagna, Fredrik Reinfeldt in Svezia. Nuova perché vincente e non più nell’angolo.

In che cosa la destra della quale parlano è nuova? A quale destra, a quali destre, la destra nuova si contrappone? Prima di tutto, la destra nuova chiude con la nostalgia per il fascismo italiano: non più busti di Mussolini in soffitta, che facevano pendant con i busti di Stalin nelle case del popolo, non più fedi ardenti coltivate con pochi sodali e vissute in un atteggiamento di estraneità al proprio paese, al mondo circostante, a conquiste che si collocano alla base della Repubblica nella quale viviamo.

In secondo luogo, la destra vecchia alla quale la nuova vuole contrapporsi è quella antiborghese e antindustriale: quella che critica il predominio dell’economia e lo spirito del capitalismo, senza però dare a tale critica un esito di rivoluzione sociale. Occorre essere nel proprio tempo, vivere il sistema nel quale ci si trova, anche se non lo si accetta fino in fondo. Per estensione, la destra nuova si vuole moderna, simpatetica con una modernità che, nei secoli, non è stata molto apprezzata a destra, anzi in genere criticata ferocemente e indicata come il nemico da combattere: in questo caso, la destra vecchia è quella reazionaria, antimoderna, tradizionalista, si incarna in Joseph De Maistre, in Julius Evola, in tutti i critici del mondo moderno.

In terzo luogo, la destra nuova intende marcare la propria discontinuità con la destra vecchia sul piano di alcune grandi scelte ideali sulle quali le famiglie ideologiche contemporanee si sono costruite e divise: l’uguaglianza, la giustizia, il mercato, lo Stato, la solidarietà, la libertà, l’individualismo. La destra nuova accetta tutte le opzioni ideali che caratterizzano democrazia e liberalismo. Così facendo, si contrappone alla destra esaltatrice delle differenze fra gli esseri umani, della gerarchia sociale, dell’organicismo, dell’individualismo eroico, azzera insomma ogni sua differenza tra posizioni liberali e perfino democratiche e posizioni di destra.

Ma è sull’ultimo punto che la destra nuova lancia la sua sfida a ogni tentativo precedente: questo accade quando dal cielo degli ideali o della teoria politica ci si sposta sul piano dei comportamenti, degli stili di vita, dei valori ai quali conformare la propria azione nel mondo di tutti i giorni. La destra nuova vuole essere multiculturale, aperta ai diritti civili e ai nuovi stili di vita. Questa è la scossa più forte all’immagine di destra alla quale siamo abituati: una destra caratterizzata non tanto dalle opzioni ideologiche o politiche, ma dalle opzioni morali e dagli atteggiamenti che si adottano nella vita di tutti i giorni.

E’ grazie alla contrapposizione con queste destre vecchie che si delinea il volto della destra nuova: moderna, laica, al passo con i tempi, industriale ma non economicista, spigliata ma non priva di valori, aperta ma radicata, critica del sessantottismo e delle sue tragiche derive così come del neoliberismo senza cuore. Un termine è sufficiente a descriverla: comunità.

I due autori indicano questa destra come una realtà che esiste all’estero, ma non è chiaro se per quanto riguarda l’Italia descrivano o auspichino. Tutto il testo è in bilico fra questi due atteggiamenti molto diversi fra loro: quello di chi osserva una realtà che già esiste, e quello di chi si augura che la sua creatura immaginaria prenda vita.

Il paragone con i tre leader europei è suggestivo ma dimentica di precisare che in tutti e tre i casi esiste alle spalle di essi una lunga storia di destra modernizzatrice: il caso della Francia è esemplare. Così non è in Italia, dove la destra modernizzatrice si è incarnata non in una sola parte politica ma in più di una, e ha avuto caratteristiche profondamente diverse da quelle dei tre paesi citati. Inoltre, nel passato recente di quei paesi sta anche una forte presenza dello Stato, della sua efficienza e del suo assistenzialismo, che oggi permette a quei leader di mutare prospettiva senza tuttavia provocare danni troppo evidenti.

Il leader europeo di destra, fra i tre ai quali gli autori fanno riferimento, a raccogliere più successo in questo momento è Sarkozy: forse sbagliamo, ma abbiamo l’impressione che non la sua ideologia sia vincente, ma semmai la sua mancanza di ideologia. E’ paradossale allora volgersi a lui in cerca di una definizione ideologica della destra nuova italiana.

Non sarebbe meglio che la destra facesse la destra e la sinistra la sinistra? Se la destra accetta completamente il fondamento democratico della società in cui viviamo, sposa uno sviluppo dal volto umano, guarda con simpatia all’ecologismo e alla cura della Terra, diventa pacifista, egualitaria, favorevole a una certa misura di giustizia sociale, in che cosa si può dire che sia ancora destra? E’ vero che la tendenza degli ultimi anni (ormai parecchi) è stata quella di mischiare le carte, a destra e a sinistra: sono nati molti temi trasversali, la destra si è nutrita di letture dei classici di sinistra, la sinistra ha coltivato la sua passione per antidemocratici e reazionari.

In effetti, è proprio a valori e temi trasversali che i due autori si richiamano quando scrivono: “Da un lato sono emersi movimenti che hanno condotto battaglie in gran parte vittoriose per i diritti civili. Dall’altro, i timori legati a uno sviluppo tecnologico senza freni, all’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali, al progressivo depauperamento del paesaggio e delle relazioni umane determinato da un ‘progresso’ orientato unicamente al profitto economico, hanno favorito la nascita, a partire dalla fine degli anni settanta, e l’affermazione un po’ ovunque in Europa, di una serie di movimenti e partiti d’ispirazione ambientalista ed ecologista destinati a divenire, seppure con alterne fortune elettorali, una presenza stabile nel panorama politico-partitico delle democrazie occidentali. Oltre a mettere parzialmente in crisi la tradizionale distinzione tra destra e sinistra, tra conservazione e progresso, i Verdi hanno avuto il merito di introdurre nell’agenda politica democratica, in modo stabile, nuovi e originali temi di discussione: dalla critica al modello di sviluppo ‘industrialista’ alla biopolitica, dall’animalismo alla valorizzazione delle ‘piccole patrie’ e dei contesti comunitari, dalla riscoperta del ‘ruralismo’ al pacifismo.” Non è chiaro, però, per quale motivo su questi temi trasversali ci si dovrebbe rivolgere proprio alla destra nuova.

La destra nuova dice che cosa vuole essere (una destra che non si richiama al passato ma “cattura consensi facendo leva sulle paure e le ansie prodotte dalla globalizzazione economica e dai crescenti flussi immigratori”), ma non sappiamo se e quanto su questo piano sia efficace: lo sembrano molto di più la Lega Nord e l’area che fa riferimento a Forza Italia. Punta sull’apertura e lo svecchiamento, ma non è chiaro fino a  che punto l’abbandono di vecchie fedi sia una convinzione o una tattica. E, del resto, se i vecchi valori vengono abbandonati per maturazione autentica, il problema è solo più grande rispetto all’altra ipotesi.

La destra nuova è favorevole alla nascita di nuove famiglie ideologiche e politiche, che pensa di poter rappresentare più e meglio di altri: ma la concorrenza con il federalismo e l’antieuropeismo leghista da un lato, e la composita ideologia liberal-liberista incarnata dal partito di Berlusconi è forte. Peraltro, per difendere i diritti civili, le rivendicazioni delle donne o la libertà di scelta nelle questioni bioetiche, forse la scelta più ovvia non è quella di rivolgersi alla destra nuova.

La destra nuova vuole essere “riformista, pragmatica, postideologica, laica e modernizzatrice” strappando il riformismo alla tradizione socialista, facendo sue le battaglie laiche che non ha mai combattuto: poggia sulla condivisa definizione dell’epoca attuale come postideologica e accede al tema della modernizzazione. Se “pragmatismo” significa, nella tradizione empirista, la contrapposizione alle astrattezze dell’ideologia, i due autori percorrono una strada contraria a quanto dichiarano di voler fare, cercando di ricostruire ancora una volta una ideologia. Se invece “pragmatismo” è solo un termine nuovo per indicare ciò che un tempo si definiva “decisionismo”, la destra nuova rivela sotto i panni alla moda tratti vecchi, vecchissimi, forse perenni.

Non è detto che sia un male: ma forse sarebbe meglio essere più chiari, prima di tutto con se stessi. Forse la chiarezza pagherebbe anche in termini elettorali.

Una domanda sorge proprio su quest’ultimo punto: ammesso che il mutamento dei riferimenti culturali, ideologici e politici corrisponda a un ripensamento autentico, siamo certi che questa destra nuova rappresenti per l’elettorato un soggetto attraente? Quale elettorato, infatti, dovrebbe votarla? Un elettorato di destra che si è liberato di vincoli storici, riferimenti ideali tradizionali e perfino del suo modo caratteristico di essere nella vita quotidiana, oppure un elettorato di sinistra che vede nel “compagno Fini” – come ormai viene definito il Presidente della Camera ogni volta che esprime le sue posizioni – il difensore più certo dei suoi valori?

Ma è proprio la priorità della cultura e la sua propedeuticità rispetto alla politica, tipica in verità della Nuova destra, che emerge alla fine e che viene rivendicata come tratto originale. Per l’ideologia elaborata dalla Nuova destra si è parlato di ibrido, di mescolanza, di pastiche. Come definire, allora, una ideologia – quella della destra nuova – che vuole essere "liberale ma non liberista, orientata alla valorizzazione della dimensione sociale e comunitaria, attenta ai valori tradizionali ma non arroccata a difesa del passato, rispettosa dei diritti individuali e per certi versi persino ‘libertaria’”?

Alessandro Campi, Angelo Mellone (a cura di), La destra nuova. Modelli di partito, leader e politiche a confronto in Francia, Gran Bretagna e Svezia, Marsilio, Venezia, 2009, pp. 205, euro 11.