Riyad aumenterà la produzione, ma c’è bisogno di più barili?

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Riyad aumenterà la produzione, ma c’è bisogno di più barili?

23 Giugno 2008

L’Arabia Saudita promette una produzione aggiuntiva di petrolio di 200mila barili al giorno. Entro luglio, cioè subito – in tempo per intercettare la driving season. L’annuncio, non inatteso, è arrivato dal vertice di Gedda, convocato proprio da Riyad allo scopo di rispondere all’appello dei paesi consumatori in generale e di George W. Bush in particolare. Le reazioni internazionali sono state generalmente positive – soddisfazione ha espresso il ministro dello Sviluppo economico, Claudio Scajola – mentre gelidi sono stati i commenti dell’Opec. Il presidente del cartello petrolifero, l’algerino Chakib Khelil, ha detto di ritenere “inutile” la mossa saudita, anche perché il mercato “è in equilibrio”. 

Al di là del comprensibile gioco delle parti, nella città araba si è riproposta la tradizionale divisione interna all’organizzazione, coi sauditi da un lato e il fronte dei duri dall’altra. I primi intendono mantenere la fama di affidabilità, mentre gli altri ritengono che il prezzo del greggio sia ancora troppo basso e intendono adoperarsi, almeno a parole, perché continui a salire. Sotto la retorica minacciosa, però, non è detto che anche i più hawkish – Iran e Venezuela – non siano consapevoli di poter giocare questo gioco proprio perché Riyad, con le sue aperture, riesce a mantenere una relativa calma sui mercati. Agli analisti dei paesi produttori non è sfuggita la contrazione dei consumi in Europa e Stati Uniti, e nemmeno la revisione (all’insù) delle tariffe energetiche da parte del governo di Pechino, che probabilmente raffredderà la crescita della domanda cinese. Poiché queste riduzioni, dove avvengono, tendono a essere strutturali, dentro l’Opec tutti sanno di non poter tirare troppo la corda. Non perché vi sia il rischio di romperla – i mercati globali sono abbastanza plastici – ma perché a ogni shock segue, prima o dopo, un contro shock, e questo è tanto più duro (per le economie fortemente dipendenti dai petrodollari) quanto maggiore è il delta tra i picchi dei prezzi e il livello su cui si assestano in seguito. 

Questo per quanto riguarda l’aspetto politico. Siamo però sicuri che i 200mila barili sauditi siano quello di cui il mercato ha bisogno? Lo sapremo oggi, osservando le reazioni dei mercati. Occorre però restare consci che il problema reale non è tanto di produzione quanto di capacità produttiva. Il meno che si possa dire è che quando, poche settimane fa, re Abdullah aveva preannunciato a Bush questo incremento – che porta il paese ai suoi massimi storici – il prezzo del barile sostanzialmente non ne risentì. Ciò che mette in fibrillazione i mercati è lo stretto margine di capacità produttiva oggi esistente, il quale offre il fianco alla speculazione. Se i movimenti finanziari possono influenzare in modo tanto vistoso le quotazioni del greggio, è soprattutto perché tra i trader c’è la consapevolezza che qualunque contrattempo (un uragano, una guerra, un embargo, un attacco terroristico…) può mettere in crisi il sistema. Come hanno scritto a caldo Andrew England e Carola Hoyos sul Financial Times, “la spare capacity dell’Arabia Saudita è oggi stimata attorno a 1,5 milioni di barili al giorno, il minimo in una generazione, ma se più greggio va sul mercato, questo cuscino si restringe”. La parte veramente importante del vertice è, allora, l’impegno dell’Arabia a ricostituire capacità produttiva, in modo da riportare la sua spare capacity (pure migliorata rispetto a due o tre anni fa, quando però la crisi finanziaria ancora non imperversava) ai livelli di un tempo. Riyad, cioè, mira a mantenere il suo ruolo – contemporaneamente politico ed economico – di swing producer. 

A oggi, nessun altro paese sembra in grado di contendere tale posizione a Riyad (tranne forse, in prospettiva, l’Iraq, ma è presto per dirlo). Al Naimi, ministro saudita per l’Energia, ha commentato così la decisione di portare la capacità produttiva a 12,5 milioni di barili al giorno a partire dal 2009, a cui se ne potrebbero aggiungere altri 2,5 se necessario: “Questo ci consentirà di mantenere il nostro eccesso di capacità nell’interesse della stabilità del mercato globale, che è l’interesse di tutti”. Naimi ha ragione, ma le nubi sono fosche e i dubbi riguardo all’atteggiamento dei paesi produttori (se cioè accetteranno di investire in esplorazione e sviluppo dei loro giacimenti, che essenzialmente significa: se accetteranno investimenti stranieri) ancora prevalgono sulle certezze.