Rudolph J. Rummel e un manifesto per l’Occidente
21 Luglio 2007
In un’era in cui la società
occidentale tende a odiare se stessa, l’Occidente ha bisogno di un manifesto.
Uno scienziato politico americano, aspirante al Premio Nobel per la pace, sta
lavorando per scriverne uno. Non si tratta di un lavoro ideologico, ma di un
insieme di studi scientifici, raccolti in più di trent’anni di carriera
accademica: si tratta del Blue Book of Freedom (il Libro Blu della Libertà)
scritto da Rudolph J. Rummel e di prossima pubblicazione negli Stati Uniti per
l’editore Cumberland House Publishing.
Il professore statunitense, residente
alle Hawaii, è il più grande esperto nel mondo di genocidi e delle altre forme
di crimine di massa compiute dagli Stati. Il suo nome è diventato celebre con
lo studio “Death by Government” (“Stati assassini”, Rubbettino 2005) il primo e
unico studio comparato di tutti i grandi crimini di massa degli Stati nel
secolo scorso. Rudolph Rummel, in quell’occasione, creò una nuova definizione
politologica per poter includere in un’unica categoria tutte le politiche
criminali statali: il “democidio”. Nella categoria di democidio rientrano i
concetti di genocidio (sterminio di etnia), politicidio (omicidio di dissidenti
e oppositori politici), massacro (uccisione indiscriminata di civili non
armati), sterminio di classe (omicidio di persone appartenenti a una classe
sociale) e sterminio per quota (uccisione di innocenti per far raggiungere al
numero delle esecuzioni una quota prefissata da un regime). La categoria di
democidio è importante, da un punto di vista storico, perché permette di
“pesare” il crimine degli Stati, contando il numero delle vittime che esii hanno
provocato a freddo, al di fuori di una logica di guerra. E risulta che la
dimensione del crimine degli Stati nel XX secolo è molto maggiore di quanto non
si possa credere. Ad esempio, il regime nazista è solitamente ritenuto
responsabile del genocidio di 6 milioni di ebrei, ma se guardiamo al democidio
che ha commesso, possiamo constatare che il crimine nazista è molto più ampio,
perché si arriva alla cifra incredibile di 20 milioni di vittime, uccise
deliberatamente e a freddo, lontane dai campi di battaglia, in massacri,
omicidi politici, stermini per quota.
E’ risaputo che Stalin commise il
genocidio per fame in Ucraina (Olodomor) che causò 7 milioni di vittime e la
deportazione massiccia di intere etnie dal Caucaso e dai Paesi Baltici. Ma se
si sommano tutte le sue politiche di sterminio di classe, per quota, per motivi
politici (terrore interno ed esterno al Partito) e i massacri compiuti durante
la II Guerra Mondiale, vediamo che il dittatore georgiano arrivò ad uccidere a
freddo oltre 40 milioni di cittadini sovietici e stranieri. Mentre altri 20
milioni di cittadini sovietici furono uccisi deliberatamente da Lenin e dai
successori di Stalin (da Chrushev a Gorbachev). Secondo i criteri di Rummel,
Stati che normalmente vengono assolti (perché non hanno commesso crimini che
rientrano nella categoria di “genocidio”), come la Jugoslavia di Tito,
finiscono sul banco degli imputati con l’accusa di aver ucciso più di un
milione di vittime innocenti. In tutto il XX secolo, gli Stati sono
responsabili per la morte di 272.000.000 di persone, 5 volte tanto il totale
dei caduti in tutti i conflitti del secolo scorso, guerre mondiali comprese.
Lo studio dei crimini di
Stato portato a termine da Rudolph J. Rummel in decenni di studi non è
semplicemente teso alla commemorazione delle vittime innocenti, o alla
creazione di nuove categorie politologiche. Il suo scopo è dimostrare che,
contrariamente a un credo consolidato, più potere ha uno Stato, più lo Stato
diventa pericoloso. Uno Stato “forte”, dotato di un potere illimitato, è molto
più mortale di un conflitto, contrariamente a quanto pensano molti teorici
della “stabilità”. Rummel sintetizza questa “legge di gravità del potere”
parafrasando il motto del liberale inglese John Acton: “Il potere uccide, il
potere assoluto uccide in modo assoluto”. Il professore statunitense
diagnostica il male, ma ci indica anche la cura più efficace, soprattutto nel
suo ultimo lavoro “The Blue Book of Freedom”. Nell’introduzione del piccolo
volume (circa 80 pagine), Rummel dichiara apertamente che: “L’esistenza nel
mondo attuale di criminali al governo in Birmania, Cuba, Libia, Corea del Nord,
Arabia Saudita, Sudan, Siria e Turkmenistan, tra i tanti altri, crea una
divisione incolmabile nel mondo. Da una parte abbiamo gang criminali,
santificate dalla definizione ‘governo’ e dalle Nazioni Unite che esse
dominano, che applicano con le armi un potere assoluto fatto di schiavitù di
massa, omicidio di massa, violenza di massa, miseria di massa, fame di massa.
Dall’altra parte abbiamo paesi democratici in cui il popolo è libero, sicuro e
non ha paura né della fame, né di essere ucciso da qualche agente del governo.
E’ una linea di divisione tra vita e morte, sicurezza e paura, nello stesso
mondo e nello stesso periodo storico e non può essere tollerato oltre. Le
dittature, anche quando apparentemente benevole, sono un crimine contro
l’umanità per il fatto stesso che esistono. Le dittature devono essere
eliminate”.
Rudolph Rummel non può essere accusato di essere uno studioso di
parte. Nel corso dei suoi studi ha condannato le dittature di tutte le
ideologie, mostrandone le affinità di metodo (e di esito criminale) al di là
dei fini differenti. Ha puntato il dito contro i Giovani Turchi, così come
contro la Corea del Nord, contro il nazismo e il comunismo, contro la Russia
zarista e il Giappone imperiale, contro il Messico latifondista dei primi del
‘900 e il Rwanda etnicista della fine del secolo scorso. L’unica forma di
governo accettabile, sotto tutti i punti di vista, è la democrazia liberale.
Per almeno sei motivi. Prima di tutto: “Più un popolo è libero, più avanzato
sarà il livello di sviluppo e di ricchezza della nazione. In breve, la libertà
è la principale via per la realizzazione della sicurezza sociale ed economica”.
Nel suo breve saggio “L’incredibile utopia del libero mercato”, Rudolph Rummel
aveva definito il libero mercato come un’utopia realizzata, un sistema sociale
in cui “la principale preoccupazione delle persone è quella di soddisfare i
desideri degli altri, o di studiare come poterlo fare e cercando di far sì che
chi acquista beni e servizi spenda il minimo”. Non solo la libertà permette un
maggior arricchimento per tutti, ma elimina la fame: “I popoli liberi non
conoscono più le carestie” scrive Rummel. E il suo non è un motto ideologico,
ma la constatazione di una realtà storica: nessuno è mai morto di fame in una
democrazia liberale moderna, nemmeno in occasione delle peggiori calamità
naturali, come le tempeste di sabbia che distrussero i raccolti americani negli
anni ‘30. Mentre nei regimi totalitari contemporanei, milioni di cittadini
muoiono per continue carestie, sia a causa dell’inefficienza della
pianificazione economica (come nel caso della Cina, con un record di 30 milioni
di morti per fame all’epoca del regime di Mao Tse-tung o della Corea del Nord
attuale, dove si calcola siano già 3 milioni i morti per carestia), sia per una
scelta deliberata del regime (come la carestia artificiale provocata da Stalin
in Ucraina). Un sistema politico dittatoriale e un sistema economico socialista
sono le principali cause di carestia in tutti i Paesi in via di sviluppo.
Oltre ai fattori “materiali”
per cui si dovrebbe preferire la democrazia liberale a qualsiasi alternativa,
si deve aggiungere un motivo di vita e di morte: “Dove i popoli sono liberi, la
violenza politica è minima”. Nei suoi studi precedenti, Rummel aveva già
mostrato, cifre alla mano, che nessuna democrazia liberale non si è mai resa
colpevole di democidio. Una democrazia fa morti solo quando è in guerra e anche
quando è in guerra, non uccide i propri cittadini. Rummel esprime questo
concetto con un’equazione molto semplice: “Più i cittadini sono liberi, minore
sarà la possibilità che il loro governo li uccida”. Ma anche nei confronti dei
cittadini di uno Stato nemico, una democrazia liberale tende ad essere meno
violenta rispetto ad una qualsiasi dittatura. Nella nostra storiografia, si
tendono spesso ad enfatizzare i crimini di guerra commessi dalle democrazie
occidentali: Dresda, Hiroshima e Nagasaki nella II Guerra Mondiale, il massacro
di My Lai nella Guerra del Vietnam, ecc… Ma tutti questi crimini delle
democrazie impallidiscono se messi a confronto con la brutalità del nemico che
esse stavano combattendo. A fronte dei circa 350.000 civili giapponesi uccisi
dagli Americani nella II Guerra Mondiale, i Giapponesi sterminarono 5 milioni
di persone innocenti per motivi razziali o per diffondere il terrore. Il corpo di
spedizione americano in Vietnam può essere ritenuto responsabile dell’uccisione
di civili nell’ordine delle migliaia, ma pochi dicono che il regime di Hanoi
sterminò 1 milione e mezzo di civili innocenti, in gran parte suoi cittadini,
la metà dei quali durante la guerra. Abituati a vedere la pagliuzza che c’è nel
nostro occhio, spesso ci sfugge la trave nell’occhio del nemico e non
comprendiamo sino in fondo quanto poco siano violente le democrazie liberali
anche quando si trovano nella condizione estrema di una guerra totale.
Secondo Rummel, tuttavia, il
vantaggio della forma di governo democratica e liberale è soprattutto un altro:
“La diffusione della libertà nel mondo riduce il numero di caduti in guerra.
Sicuramente, qualsiasi cosa possa ridurre e infine eliminare la guerra, senza
creare un male peggiore, deve essere considerato il bene morale supremo. E
questo bene è la libertà”. In “Stati assassini”, Rudolph Rummel aveva
introdotto uno studio sul comportamento degli Stati, analizzati in coppie, dal 1816
al 1991. Ed era giunto a un risultato strabiliante:
Numero di guerre (conflitti
con più di 2000 caduti) tra Stati non democratici = 198
Numero di guerre tra
democrazie e Stati non democratici = 155
Numero di guerre tra
democrazie = 0
I dati sono stati
continuamente aggiornati. Oggi la tabella è cambiata lievemente: ci sono più
guerre tra Stati non democratici, più guerre tra democrazie e Stati non
democratici (tra cui le guerre in Afghanistan e Iraq), ma il numero delle
guerre tra democrazie è sempre pari a 0. Basta constatare questo semplice dato
per esser fieri di vivere in una democrazia liberale.