Ruini: l’11 settembre ha rilanciato l’identità dei cristiani
06 Novembre 2007
«Ho
sentito molte cose questa sera, molte sul mio conto, che mi hanno fatto
scoprire dimensioni che mi erano completamente ignote». Il settantaseienne
cardinale Camillo Ruini apre con una battuta il suo intervento nell’affollatissima
aula magna dell’Università Cattolica di Milano. Dove a presentare le sue due
ultime opere, Chiesa contestata e il
terzo volume di Chiesa del nostro tempo (edite da Piemme), c’erano Giuliano Ferrara, Ernesto Galli della Loggia e il
cardinale Angelo Scola. Al suo ingresso l’ex presidente della Cei viene accolto
da un applauso scrosciante, i ragazzi si accalcano impazienti sulle vetrate all’ingresso.
Nelle pagine dei due volumi, ma soprattutto nelle parole dei relatori, ci sono
vent’anni di Chiesa cattolica italiana, vent’anni di “ruinismo”. E la
descrizione di un uomo che ha lasciato un’impronta profonda nella società
italiana.
Accetta
come un complimento, il cardinal Ruini, la definizione di Galli della Loggia
della sua come di una «sensibilità democratica». Ammettendo «con poca modestia»
che pensa di meritarselo. Perché la scelta fondamentale che ha sinora determinato la
salvezza della Chiesa in Italia e che potrà garantire la sua sopravvivenza è
quella di rivolgersi al popolo intero e non ad un’élite. Con un sorriso sornione
dà ragione a Ferrara: «Sì, è vero, sono stato un po’ banalizzato», e si dice
lusingato dalla definizione di “cardinale filosofo” coniata per lui dallo
stesso direttore del Foglio. Tuttavia
preferisce il profilo più basso di “insegnante di filosofia”. «Il mio
linguaggio è molto complesso e molto sorvegliato – ammette – ma è perché sono un
perfezionista. Per scrivere il mio primo libro ci ho messo 10 anni». E
soprattutto perché il ruolo pubblico gli imponeva la massima attenzione verso
le diverse sensibilità: «Chissà – sussurra – forse cessando il ruolo
istituzionale anche il mio linguaggio diverrà più facile».
Uno
dei due libri contiene le prolusioni di Ruini degli ultimi sei anni alla guida
della Cei, e l’altro affronta analiticamente le contestazioni nei confronti
della Chiesa cattolica. «Meglio contestata che irrilevante»: in queste parole è
riposto il centro dell’azione di Ruini, definita da Ernesto Galli della Loggia «la
traduzione dell’esigenza strategica ben colta dal pontificato di Giovanni Paolo
II nella situazione italiana», ovvero il riposizionamento della Chiesa nel
passaggio epocale tra modernità e post-modernità. Ed era proprio questa,
conferma Ruini, la sua volontà. In una meravigliosa schematizzazione di come
«il soffio dello Spirito ha attraversato la Chiesa a partire dal tempo in cui la Chiesa stava vivendo», Ferrara
definisce gli anni di Paolo VI, seguiti al Concilio Vaticano II, il tempo dell’ascolto,
utile al passaggio alla fase dell’azione di Giovanni Paolo II. Azione che ha
preparato la strada al pontificato teologico della ragione di Benedetto XVI.
Negli anni di Ruini la Chiesa
è «passata all’attacco», rimettendosi al passo col secolo. E lo ha fatto «abitandolo».
«Protetto» da due Papi, dice ancora Ferrara, Ruini è stato sul crinale tra fede
e storia in tempi difficili. Tempi in cui, secondo Galli della Loggia, la Chiesa si è scoperta
«l’unica agenzia pubblica», ha colto l’avvento di nuovi scenari e dei conseguenti
pericoli, ed è stata costretta a sostenere uno scontro in prima persona in modo
«inevitabilmente politico». All’accusa di “fare politica”, secondo lo storico,
Ruini avrebbe potuto benissimo rispondere con un “sì”. Il cardinale replica di
non avere nulla da confessare: riconosce di essere «quasi naturalmente un
animale politico», ma con l’asciuttezza che lo contraddistingue precisa che la
parola ha «nel linguaggio comune un’accezione stretta e partigiana che non si addice
a un prete».
Citando
la sua tanto criticata «sana laicità dello Stato», Scola sottolinea che Ruini
ha colto «l’inevitabilità dell’interpretazione culturale sul cristianesimo»,
con le implicazioni pratiche e teoriche che questo comporta. È proprio il
progetto culturale, l’opera più ambita di Ruini. Di cui il cardinale definisce
Scola coautore, ricordando le lunghe chiacchierate ai tempi in cui il patriarca
di Venezia era rettore della Pontificia Università Lateranense e il vicario di
Roma Gran Cancelliere dell’ateneo. Nonostante gli ostacoli interni, il progetto
culturale ruiniano ha avuto un insperato aiuto dall’esterno. La svolta, per
stessa ammissione del cardinale, è stato ancora una volta l’11 settembre.
Quando in tanti si sono chiesti – ed hanno chiesto, anche polemicamente, ai
vertici ecclesiastici – cosa significhi veramente essere cristiani. Ruini, dice
Ferrara, non ha mai difeso un’ortodossia, ma ha vissuto da testimone la verità
cristiana. E il suo amore. L’amore cristiano vissuto con intensità, nel quale è
racchiuso il divieto, il rifiuto del male. Un amore «che può indurti a vietare
l’espansione del desiderio ad ogni costo», talmente intenso da permetterti persino
di negare a qualcuno i funerali religiosi.