Russia, l’Orso cattivo non esiste più
10 Agosto 2007
di Mario Rimini
Sarà che è grande. Sconfinatamene grande. Sarà che è
fredda, terribilmente fredda – eppure Soci, la cittadina sul Mar Nero che
ospiterà le Olimpiadi invernali del 2014, ha un clima subtropicale, palme e
spiagge. Sarà che l’aura leggendaria dell’Unione Sovietica è così dannatamente
affascinante che non è facile sbarazzarsene, sembra quasi un peccato. Il fatto
è che la Russia è sempre stata percepita, in Occidente, con un misto di
superstizione e ansia, fascino e timore. “Umom
Rossiu ne poniat’’”, ammoniva un celebre poeta russo due secoli fa. “Impossibile
capire la Russia con la razionalità”. E l’Occidente lo ha preso alla lettera.
Ma quella era poesia. La politica è altra cosa. La Russia è però costantemente
immersa, agli occhi delle cancellerie d’Occidente, in un’aura di sospetto e mistificazione.
Condannata, per inerzia, a essere méchante.
Ma non sarà giunto il momento di dissipare le nubi cospiratorie e i fantasmi
mistificatori, e di interpretare la politica russa al pari di quella cinese,
indiana, americana e di qualunque altra grande o media potenza – cioè con una
dose di realismo, concretezza, e un tocco di cinismo che aiuta sempre a leggere
le relazioni internazionali?
La Russia batte i piedi e chiede attenzione. Alza la voce
e si aspetta che le si presti ascolto. Dopo un quindicennio di declino e di
apatia, di ambizioni geopolitiche in frantumi e di un destino incerto e
traballante, cerca di ricordare a un distratto ed egocentrico Occidente che
esiste, che non ha fatto la fine dell’Unione Sovietica come si pensava, che –
grazie a congiunture economiche favorevoli, certo, grazie a risorse naturali
immense, d’accordo – ha smesso di precipitare e si è rimessa a camminare, pur
tra mille incertezze. Nu
chto?, esclamerebbero i russi. Embè?, tradurrebbero a Roma. Insomma, chiediamo noi – dov’è lo
scandalo?
Ammettiamolo. Se nei torbidi anni della transizione si
fosse intravista un’evoluzione della Russia simile a quella che è nei fatti
avvenuta, si sarebbe tirato un gran sospiro di sollievo. In fondo, il paese più
grande – e armato – del mondo non è andato in frantumi. Non è scomparso in un
abisso di guerra, sangue e fratricidio. Ha perso vigore e status,
inevitabilmente, ma non è diventato un paese del terzo mondo. Anzi, nel
panorama geopolitico post-sovietico, se si escludono i paesi baltici che già ai
tempi dell’URSS avevano una marcia in più, Mosca può vantare la pagella
migliore. Non è il Turkmenistan, e nemmeno l’Ucraina. Ma avrebbe potuto essere
l’uno o l’altra. Invece, ha fatto un vero balzo verso gli standard
dell’Occidente. Certo, ancora ne è lontana. Ma l’aria di Mosca è così
sorprendentemente diversa da quella di solo 15 anni fa, che i tempi sovietici
sono davvero un’altra epoca. E scusate se è poco.
Allora perché ogni suo gesto un po’ plateale – eppure
perfettamente razionale e in linea con le complesse danze e i duri rituali
delle relazioni internazionali – suscita un pandemonio in Europa? La Russia
dichiara di volersi ritirare dal trattato sulle armi convenzionali – e giù
fiumi d’inchiostro per condannare l’arroganza imperiale, la minaccia
anti-europea, il ritorno dei fantasmi della cortina di ferro. Ma in realtà,
ormai era l’unica rimasta a rispettarlo. La Russia pianta una bandiera sotto al
Polo Nord, con una spedizione quasi più da National
Geographic che da ‘Ottobre Rosso’ – e via con accuse di espansionismo, con
la retorica da Guerra fredda, con gli appelli alla resistenza contro l’Orso
minaccioso che si risveglia. Ma esiste un accordo internazionale che dice che
un paese può avanzare pretese territoriali sul Polo, se dimostra contiguità
geologica con il proprio territorio. E qualunque sia la fondatezza delle
pretese russe, e la scientificità delle sue argomentazioni, tutti i paesi
interessati sono agguerriti sul fronte delle rivendicazioni territoriali –
piccoli e presunti progressisti come la Danimarca, o giganti come il Canada.
Dunque, perché non la Russia?
La Russia striglia la NATO sulle difese missilistiche
nell’Est europeo – e pare si sentano già i carri sovietici mandare in frantumi
le vetrine di Prada ed Hermès nelle vie trendy
di Budapest e Praga. E se invece un briciolo di ragione ce l’avesse? Se fosse
la NATO a dimostrarsi sorda e miope verso le richieste di un partner che, per
quanto ingombrante e a volte maldestro, è cruciale per i destini del pianeta e
in particolare per le sfide che l’Occidente deve affrontare – instabilità,
guerra al terrorismo, proliferazione nucleare – e a mancare di lungimiranza, di
flessibilità, di una visione realmente nuova che prenda atto della fine del
confronto bipolare e dell’evoluzione della geopolitica internazionale?
D’altronde, non è soltanto Putin l’arcigno a predicarlo, ma già il beniamino
dell’opinione pubblica occidentale, Gorbachev, rimproverava all’Occidente
mancanza di coraggio n questo ambito.
La realtà è che l’Europa non ha ancora imparato a leggere
la politica del mondo. Condanna e ammonisce i militari turchi per il loro ruolo
di garanti della democrazia, perchè uno dei suoi dogmi è che le forze armate
sono sempre e ovunque la bestia nera da tenere in gabbia. E non si accorge
quanto questo finisca con l’indebolire la democrazia di quel paese. Non prende
posizione nei confronti di movimenti estremisti e terroristi per non offendere
non si sa bene quali sensibilità, e così condanna interi popoli alla dittatura
del terrore. E per tornare a noi,
continua a servirsi di un misto di superstizione e timore atavico per giudicare
la politica nuovamente realista di un paese che ha subito il trauma della
perdita di un impero, di status internazionale, di tutte le coordinate che lo
hanno governato, nel bene e nel male, per 7 decenni – e che pure ha adottato il
mercato, è riuscito a preservare una minima pace in un tormentato e sempre
incerto scacchiere geopolitico, ha mantenuto il controllo sull’arsenale
nucleare più grande del mondo in un momento in cui terroristi, Stati canaglia e
mafie internazionali avevano buon gioco a mettere le mani su armi di
distruzione di massa, ha creato le condizioni per entrare nel WTO, e pur
difendendo relazioni consolidate nei decenni e supposte sfere d’influenza, ha
continuato a partecipare alla gestione delle crisi internazionali – dal Medio
Oriente alla Corea del Nord – con buona dose di pragmatismo e flessibilità. É
stata, in fondo, un alleato affidabile per l’Occidente.
Eppure, il Cremlino nell’immaginario occidentale è ancora
un nido di vipere pronto ad avvelenarci tutti; le obiezioni russe in materia di
relazioni internazionali amiamo sintetizzarle sulla stampa con quelle quattro
lettere famigerate – niet – che
risuonano ancora alle nostre orecchie così irresistibilmente esotiche e
terribili, arroganti e prevaricatrici; e i tentativi di recuperare qualcosa
della perduta influenza globale si trasformano – nella nostra percezione della
Russia che in fondo adora continuare a nutrirsi di immagini di orsi famelici e
falci affilate, inverni siberiani e armi letali – in intollerabili
dichiarazioni di ostilità, e chiare avvisaglie di guerra.
Certo, la Russia è lontana dall’incarnare un modello
insuperato di democrazia. Certo molte riforme si sono arenate e la cultura politica e sociale ha mostrato l’emergere di
rigurgiti del passato, come era prevedibile. Tutto questo va sorvegliato e ove
possibile, raddrizzato. Ma la Russia non è, oggi, più spregiudicata della Cina,
dell’America o di qualunque altro paese che abbia, sul serio, una politica
estera. Forse è per questo fa scandalo in Europa – la sola
potenza mondiale che una politica estera non ce l’ha e che ha orrore della
stessa idea di geopolitica. Ma forse è ora di capire che può essere un bene,
per la nostra civiltà, che l’‘Orso si risvegli’ – tanto per impiegare ancora
una metafora che amiamo tanto per dipingere la Russia che progredisce.
V
Rossiu mojno tol’ko verit’ – “nella Russia si può soltanto credere”, concludeva il poeta dell’Ottocento. E
forse dovremmo riscoprirle, la poesia e la letteratura russe, per ritrovare il
posto della Russia in Europa. Poi però dovremmo anche saperle mettere da parte,
quando cerchiamo davvero di capirla, la Russia del 2007, per sostituirle con
gli attrezzi prosaici e poco aulici con i quali si fa politica estera:
pragmatismo, raziocinio, strategia, cinismo. É un po’ come da bambini.
Accendiamo la luce. E il Lupo cattivo – o
l’Orso cattivo, per intenderci – forse davvero non c’è più.