Saakashvili deluso dall’Occidente: “Ha paura della Russia”
30 Maggio 2009
Mikheil Saakashvili, presidente della Georgia, sta subendo attacchi su tutti i fronti. Benché vittima dell’aggressione russa (la prima invasione di uno Stato europeo dalla II Guerra Mondiale), molti, anche in Europa, pensano che il responsabile sia lui, con il suo improvviso attacco alla separatista Ossezia del Sud. Il premier russo Vladimir Putin lo definisce come un “nuovo Saddam Hussein”. L’opposizione georgiana, dal 2007, lo accusa di aver ricreato quel regime autoritario che egli stesso demolì con la Rivoluzione delle Rose nel 2003. Le organizzazioni per i diritti umani gli rimproverano lo stato d’emergenza imposto nel novembre 2007 contro l’opposizione e l’oscuramento della Tv Imedi. Giovedì 28, mentre in Georgia dilagavano le manifestazioni contro di lui, Saakashvili era a Roma, in Campidoglio. Per parlare di se stesso, per mostrare al pubblico la sua storia personale e le sue idee, condensate del nuovo libro-intervista "Io vi parlo di libertà" (edito da Spirali e scritto con Raphael Glucksman, figlio del noto filosofo André) e smentire molte delle voci che circolano sulle sue scelte di guerra e di pace.
Prima di tutto, va detto che non ha nulla del “Saddam Hussein del Caucaso”. Saakashvili è un giovane uomo dall’aria sincera, dai modi affabili, sempre sorridente e pronto a rispondere ad ogni domanda dal pubblico. “L’Unione Sovietica è finita. Vi sbagliate se state pensando che adesso mi metta a fare 5 ore di comizio sul mio libro. Lo introdurrò giusto per cinque minuti, poi sono pronto a parlarne con voi”, esordisce al Campidoglio. Il giorno dopo, a Milano, si è messo ancora a disposizione del pubblico del Corriere della Sera per una videochat in diretta, per rispondere alle domande dei lettori. D’altra parte, dopo la Rivoluzione delle Rose del 2003, con cui aveva rovesciato il regime post-comunista di Eduard Shevardnadze, aveva dichiarato chiaro e tondo: “lo Stato è servitore del popolo, non il suo padrone. I regimi devono iniziare ad aver paura del giudizio popolare”.
Il suo carattere di leader rivoluzionario è rimasto intonso. E si è formato già ai tempi dell’Urss, quando leggeva quel poco di stampa occidentale che gli capitava sottomano, i samizdat di dissidenti quali Sakharov, Bukovskij e Solzhenitzin, che tuttora considera suoi maestri. “L’Occidente simboleggiava per noi la libertà e la ricchezza, tutto quello che ci era negato nella vita quotidiana. Avevamo talmente perso la fiducia nella propaganda sovietica, da invertire tutto quello che dicevano del mondo esterno. Quel che pensavamo dell’Occidente era certamente un’immagine idilliaca, molto ingenua, che farà sorridere un cittadino francese o americano. Immaginavamo un mondo senza restrizioni, senza controlli di polizia, senza code nei negozi, con i supermercati pieni di merci. E soprattutto: senza Kgb”. La natura e la spinta ideale della carriera politica di Saakashvili parte tutta da questa dichiarazione d’amore per un Occidente negato. Giovane dissidente perseguitato dal Kgb, poi studente di legge e avvocato a New York, infine politico georgiano e guida della rivoluzione contro il governo post-comunista dell’ex ministro degli esteri sovietico Eduard Shevardnadze, non si vedono grosse contraddizioni nella carriera politica di Saakashvili, contrariamente a molti altri leader politici e oligarchi che sono passati direttamente dal comunismo al capitalismo e poi al nazionalismo senza soluzione di continuità.
“La classe politica postsovietica non si fonda su divisioni politiche o ideologiche” – dice dei suoi avversari – “Non ci sono da una parte i socialisti e dall’altra i liberisti, da una parte i riformatori e dall’altra i conservatori, bensì un magma di relazioni e di clan da cui emerge un leader la cui principale qualità sta nel non mettere troppo a repentaglio equilibri, abitudini e patrimoni”. Saakashvili, licenziando l’intero corpo di polizia all’indomani della Rivoluzione delle Rose e mandando a spasso più di 100mila funzionari, ha voluto una rottura totale con questo sistema. Gli rimproverano, anzi, di essere stato troppo aggressivo con le riforme e l’opposizione, per sua stessa ammissione, ha gonfiato le sue fila con chi è stato staccato dalla mammella dello Stato. Non rimpiange quelle mosse. “Oggi siamo l’unica repubblica ex sovietica ad avere un calo di corruzione” – ci spiega – “Nel nostro Stato non c’è alcun funzionario che abbia un passato nell’apparato dell’Urss. Abbiamo promosso i giovani, quelli della generazione post-sovietica e quelli post-post-sovietici, che sono nati dopo la caduta dell’Urss e sono ancora più liberi da quella gabbia mentale”.
I dati economici gli danno ragione. I rating internazionali dimostrano una crescita senza eguali fra le altre repubbliche ex sovietiche (Paesi baltici a parte), nonostante il lungo embargo sulle merci imposto dalla Russia, iniziato nel 2006. Saakashvili risponde anche dei metodi con cui queste riforme sono state condotte e che sono tuttora oggetto di critiche in Occidente. Il presidente difende la sua scelta di aver oscurato Imedi Tv, vicina all’opposizione, affermando che fosse uno strumento gestito dall’oligarca Badri Patarkachishvili per organizzare un putsch contro il suo governo. Ma sull’opposizione e sulle manifestazioni (sia quelle del 2007 che le attuali) non ha nulla da obiettare. “Sono un buon segno” – ci spiega – “Vuol dire che stiamo diventando una vera democrazia. E come in tutte le vere democrazie l’opposizione scende in piazza a protestare. Sono contento di aver vinto le elezioni (del 2008, ndr) con un 53% e non con i risultati plebiscitari di un Putin o di un Saddam”.
Per quanto riguarda la guerra con la Russia, Saakashvili è convinto, deciso e documentato, quando afferma che: “L’invasione è iniziata ben prima dell’8 agosto”, cioè prima dell’attacco georgiano contro i separatisti dell’Ossezia del Sud. Le unità russe della 58ma armata stavano già attraversando il valico di Roki ed entrando nel Paese prima che le brigate georgiane si muovessero. La Georgia non era preparata a una guerra, ammette candidamente il suo presidente: le unità migliori erano in Iraq, lui stesso e il ministro della Difesa erano in vacanza fino ad una settimana prima. L’avanzata georgiana su Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del Sud, fu ordinata dopo una settimana di bombardamenti sui villaggi georgiani: “I profughi mi rimproverano ancora adesso di essere intervenuto troppo tardi”, afferma Saakashvili nel suo libro-intervista. E’ questo il contesto in cui è scattata la “reazione” russa.
La Georgia ha corso realmente il rischio di essere annientata. Saakashvili è grato soprattutto a Nicolas Sarkozy (allora presidente di turno dell’Ue) per la sua salvezza: “Non ha atteso una posizione comune dei 27 Paesi dell’Ue per venire a Mosca e a Tbilisi. Infatti – potrà confermarlo lui stesso – in quel momento l’obiettivo di Putin era chiaramente la nostra distruzione”. E torna, in questo caso, il miraggio dell’Occidente, del quale però l’ex dissidente Saakashvili si dice in parte deluso. Deluso dal mancato appoggio americano alla rivoluzione delle Rose: contrariamente a una leggenda metropolitana molto diffusa, gli Usa hanno cercato un compromesso con il governo Shevardnadze fino all’ultimo. La Germania, che vendeva armi alla Georgia, ha interrotto questo rapporto dopo la Rivoluzione. Il tutto nell’ottica di “non offendere la Russia”. E’ un “vecchio” vizio dell’Occidente dopo la fine dell’impero sovietico: “Finita la Guerra Fredda, gli occidentali hanno avuto una sola idea in testa: scusarsi di avere battuto l’Urss”.