Santoro dietro la lavagna mette in imbarazzo tutto il Pd
15 Aprile 2009
Una severa reprimenda sui servizi andati in onda dall’Abruzzo, l’ordine perentorio di “riparare” nel corso della prossima puntata di Annozero, la dolorosa scelta di estromettere a effetto immediato il vignettista Vauro. Dietro la lavagna, da una quindicina d’anni a questa parte, Michele Santoro ci ha già passato diversi pomeriggi e difficilmente i provvedimenti adottati dal Dg Rai Mauro Masi, in attesa che sulla questione si pronunci il Cda di martedì prossimo, gli sconvolgeranno l’esistenza. Cercare sempre di suscitare reazioni forti, urtare le coscienze a tutti i costi, cavalcare un giustizialismo radicale e un po’ di moda, calcare sempre la mano trovando del marcio anche dove non ce n’è, mettere costantemente in imbarazzo l’azienda. Tutti questi sono marchi di fabbrica dell’ex parlamentare europeo Ds, tenacemente perseguiti in ogni puntata della sua trasmissione.
L’ultima ha avuto più eco del solito solo perché i morti non erano stati ancora sepolti e perché la solidarietà popolare verso chi è andato all’Aquila per portare aiuto non ha consentito di accettare serenamente le provocazioni di giornata.
Ma Santoro rischia poco o niente. Vive amenamente una situazione di paradosso per la quale può continuare a pontificare nella prima serata di Rai Due non in virtù di illuminate strategie di palinsesto e nemmeno per opportune partnership politiche, ma grazie a una sentenza di tribunale, recentemente confermata in appello, che lo colloca in quello studio, a quell’ora, vita natural durante. Supportato, va detto, da un 15% costante di share che, insieme all’Isola dei Famosi, contribuisce in maniera decisiva a rendere accettabili le medie di ascolti della rete diretta da Antonio Marano. Motivo per il quale lo stesso filoleghista Marano, esautorato per contratto (di Santoro) a sindacare anche una sola virgola dei contenuti di Annozero, si è precipitato a rettificare le dettagliate previsioni del Riformista, che vaticinava una prossima uscita di scena di “Michele chi?”, annunciando al contrario la riconferma del programma anche per la prossima stagione.
A mente lucida, in compenso, la permanenza inossidabile di Santoro, magari alternando alla carota il bastone quando all’eccesso si aggiunga eccesso, non disturba più di tanto il guidatore, perché mette in difficoltà esclusivamente quel che resta del centrosinistra. Se il Pdl critica e Di Pietro difende, il Pd non sa che pesci prendere. Basta analizzare le ultime dichiarazioni in argomento di Dario Franceschini e di quasi tutto il gotha del partito: un coro di “ma anche” e “sì, però”, per il quale, certo, la trasmissione è in parte deprecabile (ma in parte no), le critiche sono “in parte condivisibili” (ma in parte no), le contromisure sono auspicabili, ma le censure no. E sul tema, del resto, Berlusconi ha evidentemente deciso di non concedere più grimaldelli all’opposizione all’insegna degli “editti bulgari”: a un anno buono dal suo ritorno a Palazzo Chigi, a ben vedere, l’approfondimento giornalistico e quel che resta della satira politica in Rai se li spartiscono ancora, Vespa a parte, i vari Floris, Fazio, Annunziata, Dandini, Gabanelli, oltre ovviamente a Santoro, tutti o quasi con gratificanti responsi di ascolto.
Gli esperimenti boomerang tentati con Antonio Socci e Giovanni Masotti non sembrano destinati a ripetersi. Anche perché non ce n’è bisogno: il pensiero unico paventato da Gianfranco Fini al congresso del Pdl non vuol dire convincere tutti gli italiani. Meglio, molto meglio, avere la fiducia della maggioranza del paese senza intaccare la libertà d’informazione. Anche a costo di tenersi Santoro a vita.