Sarajevo mon amour. Cosa tiene lontana la Bosnia dalla UE

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Sarajevo mon amour. Cosa tiene lontana la Bosnia dalla UE

30 Marzo 2011

A 15 anni dalla fine della guerra la situazione interna della Bosnia Erzegovina continua a destare preoccupazione. Vige infatti allo stato attuale una condizione di persistente instabilità economica associata ad una impasse politica tra le diverse fazioni che impedisce al Governo di Sarajevo di portare avanti quelle riforme necessarie per garantire al paese l’ingresso nell’Unione Europea.

A oggi la Bosnia Erzegovina costituisce lo stato dei Balcani occidentali che desta maggiori  preoccupazioni in termini di sicurezza e prospettive di stabilità, a causa dei feroci conflitti tra i gruppi etnico – religiosi, tra comunità musulmano-bosniaci, che rappresentano la metà della popolazione, e i gruppi serbo-bosniaci e croato-bosniaci, pari ad un terzo ed un sesto della popolazione.

Nel 1995 il Trattato di Pace ("Accordi di Dayton"), pur sancendo la fine del conflitto armato tra le diverse etnie presenti all’interno del territorio bosniaco,  non ha portato alla costruzione di uno stato funzionale.

Obiettivo primario di Dayton è stato quello di garantire la stabilità sul territorio, mediante l’ attribuzione di un potere bilanciato alle diverse fazioni presenti: Serbi – bosniaci, Bosniaci e Croati, garantendo una divisione del governo e un’amministrazione autonoma sul territorio, attraverso la divisione del territorio in due zone: la Repubblica Sprska,  di etnia serba, e la Federazione di Bosnia-Erzegovina, sotto il controllo bosniaco e croato.

Tale separazione, tuttavia, non ha impedito il proliferare di movimenti nazionalisti di impronta radicale. A ciò si aggiunga l’imponente presenza internazionale, mediante l’istituzione dell’Alto Rappresentate, che per molti anni ha amministrato lo stato bosniaco togliendo responsabilità alla classe politica locale. La Bosnia continua guardare all’ Unione Europea come meta da raggiungere nel medio – lungo periodo, ma attualmente il processo di adesione sembra trovarsi ad un punto morto a causa dell’inattività dell’Esecutivo di Sarajevo e anche per le forti divisioni interne all’istituto comunitario.

Il quadro politico appare caratterizzato da una sostanziale paralisi, dovuta alle difficoltà tra le diverse comunità a trovare una comune linea di azione per l’ attuazione delle riforme necessarie a rafforzare il processo di integrazione europea. L’ imperativo è cercare di risolvere la crisi attuale per portare avanti  il programma di riforma interno e il processo di integrazione europea.

Se il Trattato di pace di Dayton concluso in Ohio il 21 novembre del 1995 e firmato a Parigi il 14 dicembre, ha avuto il merito di porre fine al confronto armato tra Serbi e Bosniaci e dotare la Bosnia di una cornice istituzionale idonea a regolare la vita economica e politica della Bosnia negli anni a venire, tuttavia questo accordo non è riuscito a risolvere tutte le problematiche che affliggono il "ventre molle" dei Balcani: l’ accordo contiene difatti una serie di limiti che hanno rallentato l’ uscita dalla crisi del Paese.

Analizzando il Trattato di pace di Dayton appare evidente come quello creato per la Bosnia sia stato il risultato di un lavoro svolto a livello internazionale che però manca però completamente del coinvolgimento e dell’approvazione da parte della popolazione locale. Ciò ha comportato delle implicazioni preoccupanti in termini di  totale disinteressamento da parte della cittadinanza bosniaca ad appoggiare il cambiamento politico/istituzionale ed il processo di riforme.

Secondo quanto previsto dalla Costituzione, la Bosnia Erzegovina è una Federazione composta da due entità, la Repubblica Serba (Repubblica Srspka), e la Federazione Croato-musulmana (costituita da Croati e Bosniaci), le quali si contendono l’ amministrazione del territorio della federazione rispettivamente per il 49% e il 51%. “Bosnia and Herzegovina shall consist of the two Entities, the Federation of Bosnia and Herzegovina and the Republika Srpska” (OHR, 1995).

E’ stata prevista inoltre la creazione del distretto di Brcko, connotato da uno status di neutralità grazie ai risultati del lavoro di un tribunale istituito da Dayton e guidato dallo statunitense R. Owen. “The Parties agree to binding arbitration of the disputed portion of the Inter-Entity Boundary Line in the Brcko area” (OHR, 1995). L’ apparato istituzionale prevede una sostanziale ripartizione del potere diviso tra gli organi centrali e quelli appartenenti alle tre comunità di Serbi, Croati e Bosniaci.

Infatti se è vero che formalmente la Federazione di Bosnia Erzegovina è riconosciuta come un’entità unica, in realtà al suo interno le due etnie presenti, quella croata e quella bosniaca, si gestiscono autonomamente,  ciascuna  con un equa ripartizione di poteri eal fine di evitare di favorire una comunità a scapito dell’altra. Inoltre, nonostante esistano poteri statali, gestiti da istituzioni come il Parlamento, la Presidenza o la Corte Costituzionale, questi ultimi incontrino forti limiti a favore invece degli organi locali, tanto in materia di politica interna che di politica estera.

Si tratta di limitazioni di una certa importanza, considerato che, ad es,, dal controllo statale sono stati esclusi la supervisione sulle forze di polizia, per esempio. Rimane a disposizione degli organi centrali il controllo della politica interna ed estera, la politica monetaria, quella doganale, quella dei trasporti e delle comunicazioni.

Questa complessa struttura di Governo, che comprende 14 livelli di governo, fa della Federazione di Bosnia Erzegovina lo stato più decentralizzato del mondo. Quello che la Federazione bosniaca sembra essere, è un organismo basato sul triplo principio di “One State – two entities – three nations”, secondo la definizione di Seizovic (Seizovic, 2007).

Questo complesso sistema costituzionale ha avuto risvolti positivi, nei termini in cui, mediante gli Accordi di Dayton è stato possibile porre fine alla guerra tra le varie fazioni e permettere una  stabilizzazione militare; dall’ altro però, causa lo spirito e l’ impostazione fortemente protezionistica in favore delle  delle singole etnie ha comportato  il rafforzamento di uno spirito individuale più che nazionale. Ciò ovviamente ha avuto pesanti ripercussioni in termini di gestione del potere decisionale da parte del governo centrale.

In Bosnia le istituzioni rappresentano il cittadino prima di tutto sotto l’aspetto locale, e non nazionale; gli stessi partiti politici sono più propensi ad assumere attitudini di tipo nazionalista. Non si è riuscito inoltre a sviluppare un potere forte e capace di portare avanti non solo l’obiettivo di ricostruire il paese, ma anche quello di incamminarsi verso uno sviluppo economico.

In effetti, a parte il SDP, partito di opposizione a livello centrale, tutte le altre formazioni politiche possono essere classificate sulla base dell’aspetto etnico: Serbi (SNSD, SDS e PDP); Bosniaci (SDA, SBiH e SDP) e Croati (HDZ BH e HDZ 1990).

Ulteriore elemento di divisione all’interno della Bosnia è la presenza della IEBL (Inter-Entity Boundary Line), una sorta di frontiera interna che separa l’entità serba da quella croato-bosniaca, la quale trova riconoscimento anche negli annessi 2 dell’Accordo. “The Republic of Bosnia and Herzegovina, the Federation of Bosnia and Herzegovina and the Republika Srpska (the "Parties") have agreed […]The boundary between the Federation of Bosnia and Herzegovina and the Republika Srpska (the "Inter-Entity Boundary Line") shall be as delineated on the map at the Appendix” (OHR, 1995).

Il quadro che emerge è chiaro: se, sotto l’aspetto del diritto internazionale, la Bosnia deve essere considerata uno stato unitario, persiste una divisione insanabile tra le varie comunità, tanto che la Repubblica serba potrebbe essere considerata uno “stato dentro lo stato”.

Quello che sembra quindi è che gli Accordi di Dayton, nonostante siano stati importantissimi per porre fine al confronto armato, non hanno in alcun modo cercato di cambiare la logica portata avanti dalle elite nazionaliste, al contrario ha solamente istituzionalizzato la situazione scaturita dalla guerra e stabilito un legame tra la popolazione e il territorio che prima non era mai esistito. Ulteriore aspetto meritevole di essere approfondito è la sostanziale dipendenza della  BiH dal sostegno internazionale. Sin dal principio la questione jugoslava è stata forte la presenza dell’ intervento militare della NATO (IFOR), nonché la presenza di diverse organizzazioni internazionali come l’ONU, l’OSCE e la UNHCR.

Il testo fondamentale inserito negli Accordi di Dayton, contempla direttamente la partecipazione delle organizzazioni internazionali sul territorio: si pensi all’ operato dell’ OSCE nel piano di ricostruzione del paese contemplato all’ annesso 1-B. “[…] The Republic of Bosnia and Herzegovina, the Federation of Bosnia and Herzegovina, and the Republika Srpska shall at an appropriately high political level commence negotiations under the auspices of the Organization for Security and Cooperation in Europe (hereinafter "OSCE") to agree upon a series of measures to enhance mutual confidence and reduce the risk of conflict, drawing fully upon the 1994 Vienna Document of the Negotiations on Confidence- and Security- Building Measures of the OSCE” (OHR, 1995).

Gli Accordi prevedono inoltre  la figura dell’Alto Rappresentante, una fattispecie nuova, creata ad hoc  per regolare e la complessa architettura bosniaca.

Gli Accordi di Dayton, tuttavia, non accontentarono nessuno, tanto che  nessuna comunità potè  considerarsi completamente soddisfatta nelle conclusioni del testo del 1995: in questo senso secondo l’articolo I “The Parties agree that the implementation of the civilian aspects of the peace settlement will entail a wide range of activities including continuation of the humanitarian aid effort for as long as necessary; rehabilitation of infrastructure and economic reconstruction; the establishment of political and constitutional institutions in Bosnia and Herzegovina; promotion of respect for human rights and the return of displaced persons and refugees; and the holding of free and fair elections according to the timetable […]. A considerable number of international organizations and agencies will be called upon to assist. In view of the complexities facing them, the Parties request the designation of a High Representative, to be appointed consistent with relevant United Nations Security Council resolutions, to facilitate the Parties’ own efforts and to mobilize and, as appropriate, coordinate the activities of the organizations and agencies involved in the civilian aspects of the peace settlement” (OHR, 1995). All’Alto Rappresentante è demandata una funzione di mediazione tra le diverse parti e di coordinamento delle attività. All’ inizio nessuna grande responsabilità era stata affidata all’HR (High Representative).

Se per i primi due anni del suo mandato l’Alto Rappresentante riprodusse esattamente la figura del mediatore e si limitò a gestire il lavoro di ricostruzione post conflitto del paese, successivamente, a causa del malcontento in seno alla Comunità internazionale, determinato dagli scarsi risultati ottenuti nel tentativo di coordinamento a livello politico tra le tre entità, l’HR ha assunto un ruolo non più di mediatore bensì di vero e proprio capo all’interno della Bosnia.

Il risultato è stata la creazione di una sorta protettorato internazionale, senza alcuna ingerenza nel bilancio finanziario dello Stato, che nel corso degli anni ha compiuto, tuttavia, pochissimi passi in avanti. Di fatto dalla metà del 1997 Carlos Westendorp, ex Ministro degli Esteri spagnolo che rimpiazzò Carl Bildt nel ruolo di HR, diede inizio ad un rafforzamento dei poteri dell’Alto Rappresentante. In occasione della riunione a Bonn, in Germania, vennero  attribuiti maggiori poteri all’HR, più incisivi e vincolanti, i c.d. “Poteri di Bonn”.

Le decisioni dell’HR toccavano una serie di argomenti che andavano dalla possibilità di eleggere funzionari internazionali, stabilire commissioni internazionali e bloccare i conti bancari di quelle persone sospettate di aver commesso crimini di guerra. Il 2005 fu un anno di grandi cambiamenti: a cause delle sempre più numerose critiche  sulla figura dell’Alto Rappresentante e sul suo comportamento, furono avviate una serie di riforme  in direzione di una maggiore centralizzazione dei poteri politici nelle mani degli organi centrali; a ciò si aggiunse una drastica riduzione della  presenza delle truppe militari straniere nel Paese.

Da quel momento in poi si è registrato un rapido ed inesorabile declino della figura dell’ Alto Rappresentante. Culminata con le dimissioni dell’allora’ HR in carica  Miroslav Lajcak. Anche la popolazione locale non appoggia più né la presenza né il ruolo svolto dall’Alto Rappresentante, o anche quello dell’ONU in generale. Al contrario, si auspica che sia l’Unione Europea a succedere all’ ONU e all’ Alto Rappresentante nel  ruolo di direttrice nella politica bosniaca.

 

Il Processo di Stabilizzazione ed Associazione e la fase di transizione

Il cammino della Bosnia verso l’ Unione europea è, ad oggi, ancora lungo e prode a rilento: obiettivo prioritario di Bruxelles è avvicinare il Paese all’Unione e fornirgli quel sostegno idoneo ad attuare le riforme necessarie per l’ efficiente funzionamento del Paese. Sin dagli anni della guerra si è fatto sentire l’ intervento dell’ Unione in direzione della stabilizzazione dell’ area: dapprima attraverso l’ ausilio di strumenti diplomatici ed economici per la promozione della democrazia, dei diritti umani, del rispetto della legge e del multilateralismo. Tuttavia, l’incapacità di inserirsi con la dovuta attenzione nel conflitto armato jugoslavo spinse l’UE ad assumere un ruolo marginale, lasciando così spazio all’intervento dell’ONU.

Una volta conclusosi il conflitto, l’UE si è assunta parte della responsabilità nella fase di ricostruzione del Paese attraverso un approccio civile di natura economica grazie all’avvio di due programmi, il PHARE e l’OBNOVA. Il primo programma di assistenza fu istituito nel 1989 con il Regolamento 3906/89/CE e se in un primo momento è stato diretto unicamente alla Polonia e all’Ungheria, successivamente è stato esteso fino a comprendere nel 1996 undici paesi, tra i quali anche la Bosnia-Erzegovina (Polara, 2001). L’obiettivo del programma PHARE era quello ci cofinanziare il potenziamento istituzionale, gli investimenti nelle infrastrutture necessari per rispettare i principi dell’ acquis comunitario e la coesione economica e sociale.

L’OBNOVA (Reg 1628/96/CE) è stato un programma ideato appositamente per la Bosnia, Croazia e Macedonia. Grazie a queste due misure l’UE introdusse per la prima volta nella regione alcuni elementi non solo politici ma anche economici che avrebbero condizionato il processo di avvicinamento dei paese della regione a Bruxelles. Ciononostante, l’UE non era ancora pronta ad offrire una prospettiva di ingresso nell’Unione, anche perché in quel momento era impegnata nel processo di integrazione dei Paese dell’Europa centrale ed orientale. L’avvicinamento ai Balcani è iniziato nel 1996 con un programma chiamato “Avvicinamento Regionale” (Regional Approach), con l’obiettivo di aprire relazioni bilaterali con le cinque repubbliche dell’ex Jugoslavia e con l’Albania. Solo un anno dopo, nel 1997, il Consiglio Europeo fissava alcune condizioni politiche ed economiche che dovevano essere rispettate per portare avanti le relazioni con l’UE.

Questi criteri erano il rispetto dei principi democratici e dello stato di diritto, la corrispondenza tra diritti umani e la protezione delle minoranze nazionali, attuare una serie di riforme per creare un’economia di mercato e una cooperazione regionale. E’ stato però nel 1999 che la propensione verso la regione Balcanica è mutata fortemente, grazie alla proposta di lanciare un altro programma che conteneva un obiettivo ancora più concreto. Questo progetto fu chiamato Processo di Stabilizzazione ed Associazione (PSA) e grazie ad esso i governi dei paesi balcanici sono stati chiamati non solo a firmare dei semplici accordi di cooperazione, ma anche Accordi di Stabilizzazione ed Associazione (ASA) che comprendevano una concreta possibilità di entrare a far parte dell’Unione Europea.

Il PSA era composto da diversi stadi che prevedevano prima di tutto il rispetto dei principi del 1997 e di quelli di Copenaghen, fino all’approvazione, in primo luogo della Commissione e poi del Consiglio Europeo, di una proposta per firmare l’Accordo. Quest’ultimo rappresenta l’impegno formale da parte di uno Stato e dell’UE, preceduto anteriormente da un periodo transitorio nel quale viene creata una graduale area di libero commercio nel quale il paese si compromette a rispettare tutti i principi degli accordi regionali e successivamente vengono creati quei meccanismi formali, gli strumenti tecnici e gli obiettivi utili per concretizzare l’avvicinamento del paese agli standard comunitari.

Solo dopo aver firmato l’ASA lo stato ottiene lo status di candidato potenziale per l’ingresso ufficiale nell’Unione. Il contenuto del programma era quindi orientato a giungere alla possibilità di firmare Accordi di Associazione e Stabilizzazione, sviluppare relazioni economiche, fornire aiuti economici e finanziari, collaborare per il rispetto dei principi democratici, per la creazione di uno stato di diritto e per la costruzione di un sistema giudiziario giusto e trasparente. La riunione nella quale è stato eletto definitivamente il Processo di Associazione e Stabilizzazione a strumento ufficiale nelle relazioni tra l’UE e i paesi balcanici è stata la Conferenza di Salonicco del 2003.

In questo incontro si decise di rafforzare lo strumento di cooperazione con i Balcani con quei principi che erano stati importanti per l’allargamento agli stati dell’Europa centrale. Inoltre venne creato il Forum UE-Balcani per incrementate il dialogo politico bilaterale tra Bruxelles e i paesi dell’area. Dei passi in avanti furono compiuti anche nel settore della sicurezza, della giustizia e dell’economia, tanto che si può affermare che la vera spinta della politica comunitaria verso i Balcani è stata compiuta proprio in questa occasione. L’ultimo documento pubblicato in termini di tempo che attualizza il cammino percorso fino a quel momento è stata la Comunicazione della Commissione Europea sui Balcani Occidentali del 2006, nella quale si misero in luce i progressi registrati da Salonicco ad oggi e si evidenziano le sfide che si prospettano per il futuro.

Per quanto riguarda il programma di finanziamento per il periodo 2007-2012, è stato sostituito il CARDS con l’IPA (Instrument for Pre-Accesison Assistance) diretto verso quei paesi che sono stati dichiarati candidati ad entrare nell’UE (ex Repubblica Jugoslava di Macedonia, Croazia e Turchia) ed anche nei confronti di quelli che continuano ad essere dei candidati potenziali, come definito dal Consiglio Europeo di S. M. de Feira nel 2000 9. L’IPA è costituito da 5 pilastri: sostenere la transizione attraverso la costruzione di istituti basilari, promuovere la cooperazione; transfrontaliera oltre a quella regionale ed infine supportare lo sviluppo della società civile e di quella rurale (UE, 2006).

La relazione tra UE e Bosnia Erzegovina iniziò dopo la fine della guerra, nel 1996, quando si diede inizio alla assistenza finanziaria prevista dai programmi PHARE e OBNOVA nella cornice del Regional Approach, con l’obiettivo di supportare il processo di pace e la promozione della cooperazione tra le due entità, la Repubblica Srpska e la Federazione di Bosnia Erzegovina. Questo ha significato a fornire aiuti per una riconciliazione etnica, per il ritorno dei rifugiati e per la creazione di istituzioni democratiche. Dal 1999, quando fu avviato il Processo di Stabilizzazione ed Associazione, la Bosnia ha preso parte a questo programma e grazie alla sua evoluzione nelle dichiarazioni fatte nel corso del Consiglio Europeo di Santa Maria de Feira prima e dalla Conferenza di Zagabria poi, è stata dichiarata, insieme agli altri paesi dell’aera balcanica, un potenziale candidato ad entrare nell’Unione.

Nel 2003 la Commissione Europea pubblicò un documento di fattibilità, nel quale si enumeravano una serie di  priorità da soddisfare secondo quanto stabilito nell’Accordo di Stabilizzazione ed Associazione. Tali  condizioni concernevano:

1. il rispetto degli obblighi nell’ ambito delle relazioni con l’UE;

2. La cooperazione con il Tribunale Internazionale per la Ex Jugoslavia e la promozione del rispetto dei diritti umani e dei principi democratici;

3. La creazione di un governo efficiente;

4. L’ implementazione di  una politica amministrativa più efficiente;

5. il corretto funzionamento del Direttorio per la Integrazione Europea;

6. L’ esistenza di un sistema efficiente per la difesa dei diritti umani;

7. La presenza di un sistema giudiziario efficiente;8. il corretto funzionamento delle infrastrutture per i rifugiati;

8. L’ adozione di un investimento adeguato per il budget economico dello stato;

9. La creazione di un sistema statistico efficiente;

10. La presenza di un sistema di commercio efficiente;

11. La creazione di un mercato energetico integrato;

12. lo sviluppo di uno spazio economico all’interno della BiH;

13. creare un sistema di informazione efficiente ed indipendente;

14. la creazione di un sistema di tassazione uniforme;

15. la presenza di un sistema per la registrazione delle entrate a tutti i livelli delle diverse autorità; 16. la lotta contro il crimine organizzato.

Nel 2005, la Commissione Europea tenuto conto dei progressi ottenuti dal Paese  suggerì al Consiglio di prendere in seria considerazione la prospettiva di aprire le negoziazioni per la firma dell’Accordo di Associazione e Stabilizzazione.

Tuttavia a undici anni dall’avvio del Processo di Stabilità ed Associazione iniziato nel 2000 è diminuita sensibilmente la fiducia della società civile  di un prossimo ingresso del Paese nell’ Ue a ciò si aggiunga un  inesorabile disinnamoramento per  Bruxelles: tropo numerose  sono infatti le problematiche interne all’Unione che rallentano il cammino verso l’ Unione.

Ha pesato soprattutto l’incapacità di Bruxelles di risolvere le problematiche etniche interne alla BiH: le misure finora attuate si sono dimostrate inefficienti e inadeguate, soprattutto perché orientate a risolvere altre questioni chiavi come la costruzione democratica e istituzionale del Paese. Ciò ha comportato una cristallizzazione delle problematiche di ordine etnico all’interno della struttura politica nazionale. Il processo di stabilizzazione economica e politica è in fase di stallo e Bruxelles che fino ad oggi ha perseguito una politica "dell’ assorbimento" è oggi più attenta integrare nell’ Unione Paesi non del tutto assestati e in piena fase di stabilizzazione.

Si tenga altresì conto di un sentimento di insofferenza e ritrosia diffuso nella popolazione europea nei confronti della possibilità di integrare nuovi membri

Si guarda oggi con più attenzione alla presenza negli stati candidati di un forte e solido apparato istituzionale improntato ai principi della democrazia e dello stato di diritto.

Tutto ciò manca ad oggi in Bosnia Erzegovina. Non sono visibili nel Paese progressi sul piano delle riforme e tutto ciò inevitabilmente allontana ancora di più la data di integrazione .

In ogni caso Bruxelles non si può permettere di perdere l’occasione di gestire la problematica bosniaca. Un fallimento in questo senso sarebbe una colpo troppo grande per la sua politica estera, specialmente lasciare che i problemi di questo paese siano risolti da un altro attore internazionale, ovvero dagli Stati Uniti. Di fatto, la nuova amministrazione statunitense di Barack Obama ha mostrato un grande interesse verso la regione balcanica.

Tuttavia se in questo momento le problematiche interne all’UE sono troppo grandi e un ampliamento significherebbe far perdere ancora di più la fiducia della popolazione comunitaria, per via di questioni legate all’immigrazione o alla criminalità, Bruxelles dovrebbe trovare una soluzione che, se non comporta un’integrazione vera e propria, potrebbe contemplare una più stretta collaborazione con gli stati interessati.

In tale direzione, si auspica a breve termine la creazione di un’associazione privilegiata che accompagni Sarajevo nel suo processo di riforma, garantendo le facilitazioni per quel che riguarda i visti, per esempio, fino a che il paese non rispetterà tutti i criteri di integrazione, e fino a che allo stesso tempo, la popolazione europea non sia in grado di accogliere un nuovo membro.