Saranno gli italiani a pagare il conto Alitalia

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Saranno gli italiani a pagare il conto Alitalia

14 Giugno 2007

“Rien ne va plus. Les jeux sont faits”. Questa è ormai la situazione di quella che avrebbe dovuto essere l’”asta”, secondo la terminologia del Presidente del Consiglio Romano Prodi, per privatizzare Alitalia. Non soltanto – come abbiamo visto sin dalla pubblicazione del bando di gara alla fine dello scorso anno – non ci sarà “asta” ma si è tentato un beauty contest (raffronto, per spogli successivi, di proposte industriali e di proposte finanziarie da parte di potenziali acquirenti). Lo stesso beauty contest pare saltato a ragione del disinteresse di uno dei potenziali partner (l’americano) che si è formalmente ritirato dalla competizione e dal probabile “bye-bye” anche dell’altro (il russo che manifesta di non gradire la piega che sta prendendo la situazione). Resterebbe in lizza soltanto la cordata Air One-Sanpaolo Intesa, ma una gara con un concorrente solo (che rischia per di più di avere il monopolio della lucrativa tratta Milano-Roma) non è certo una disfida; ciò ha già fatto arricciare le sopracciglia alle autorità anti-trust sia europee sia italiane. Ad aggiungere confusione e disorientamento, ove mai ce ne fosse bisogno, sono venute due settimane fa, a gara aperta, le dichiarazioni del Ministro dei Trasporti Alessandro Bianchi (nelle vesti, si suppone, non di docente universitario di trasportistica ma di componente del Governo ancora in carica) il quale ha detto chiaro e forte che quello si vuole non è una privatizzazione ma una ricapitalizzazione da effettuarsi, in parte con l’apporto di capitali proveniente dalle vendita di una quota di minoranza della compagnia, ed in parte (quella più sostanziale e più sostanziosa) con i soldi di tutti.

Su una linea ancora più trasparente i revisori dei conti Deloitte & Touch che il 12 giugno ha, dopo lunghe discussione con il management della compagnia, certificato sì il consuntivo 2006 (da cui si ricava che, allo stato attuale, Alitalia perde 2 milioni di euro al giorno) ma avvertito che “la continuità aziendale (della società – n.d.r.) dipende dagli esiti, ad oggi non prevedibili, della procedura di vendita in corso, e quindi dalla individuazione, allo stato attuale incerta, del futuro azionista ultimo di riferimento che dovrà farsi carico del piano di risanamento del gruppo presentato al Ministero”. In linguaggio non tecnico questa frase vuol dire:

a) ci piacerebbe che si trovi capitale fresco per una ricapitalizzazione, ma non è detto che ci sia chi è disposto a rischiare e sia nelle condizioni di farlo. In altri termini, se Air One (con SanpaoloIntesa) sono pronti ad entrare, non è assodato che lo facciano visti sia i possibili procedimenti anti-trust sia le perplessità espresse dalla Lufthansa (la capogruppo della Star Alliance di cui Air One fa parte) in merito alla capacità tecnico-organizzativa di diventare un vettore internazionale ed intercontinentale;

b) se, saltata la privatizzazione, si deve accantonare pure la ricapitalizzazione (il piano B rivelato il 30 maggio da Bianchi), o viene attuato un programma di risanamento definito con le autorità pubbliche (e dunque con i soldi dei contribuenti) o si portano i libri in tribunale.

Avvertivamo già da tempo che tanto la (mai iniziata) “asta” (di cui continua a parlottare il Premier) quanto il beauty contest fossero poco più di una mantella per ampliare il raggio di azione del “partito aziende” (un soggetto politico costituito non di elettori ma di aziende collaterali) d’impronta prodiana. Lo ha ben compreso il gruppo americano ATG (affiancato da Mediobanca) che ha lasciato il tavolo prima ancora di acquisire, dalla data room, tutte le informazioni finanziarie di dettaglio (le più importanti riguardano la redditività per le singole tratte). Lo hanno capito pure i russi di Aeroflot (affiancati da Unicredito). La partita, in dirittura di arrivo, assomigliava molto alla vecchia vicenda della Sme: una licitazione sostanzialmente privata per darla agli “amici degli amici”. La differenza sarebbe stata che il concorrente-acquirente (unico) avrebbe portato un po’ di denaro fresco nell’immediato per partecipare ad una ristrutturazione da farsi, in gran misura, a carico di Pantalone (ossia dei soliti noti) per rivendere (presumibilmente con una valorizzazione soddisfacente) al termine del vincolo temporale (si parla di tre anni) in cui stare con la compagnia di bandiera. Due settimane fa si potevano fare congetture su chi ci avrebbe guadagnato (il “partito-aziende”) e chi rimesso (gli italiani). Ora è probabile che anche Air One esca dalla comune e che il risanamento di un’azienda a lungo guidata dai fedelissimi di Prodi venga posto (e per una questione nazional-popolare di bandiera e per salvaguardare posti di lavoro) interamente a carico della collettività. Pagheremo il biglietto due volte: con le maxi-tariffe Alitalia in tratte protette e con le nostre tasse. Che bello!