Sarkò d’Arabia lancia la ‘politique de civilisation’

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Sarkò d’Arabia lancia la ‘politique de civilisation’

Sarkò d’Arabia lancia la ‘politique de civilisation’

16 Gennaio 2008

Religione, strategia militare ed economia. La due giorni di
Nicolas Sarkozy in visita ai Paesi del Golfo Persico, in particolare Arabia
Saudita ed Emirati Arabi Uniti, è senza dubbio destinata a segnare un passaggio
fondamentale per il futuro della politica francese e occidentale nell’area.

Innanzitutto, Sarkozy ha voluto, di fronte al Consiglio
Consultivo del regno saudita (formato da 150 delegati scelti dal sovrano),
fornire una prima declinazione concreta di quella politique de civilisation annunciata a partire dal discorso di
auguri alla Nazione del 31 gennaio scorso. Il Presidente francese, ritrovando
il tono dell’importantissimo discorso di San Giovanni in Laterano a Roma, è
partito dal ruolo centrale che egli assegna alle religioni nello sviluppo delle
moderne democrazie post-industriali, insistendo sull’esistenza di valori comuni
alle grandi religioni monoteistiche (“è probabilmente nel religioso che ciò che
vi è di universale nelle civiltà si mostra in maniera più forte”). A questo
punto è giunta la critica diretta al laicismo e al ripudio generalizzato che le
nostre società secolarizzate sempre più mostrano nei confronti del sentimento
religioso e della sua espressione pubblica. Ma trovandosi a parlare in uno
degli Stati in cui Al Qaeda e il terrorismo di matrice islamica ha fatto più
adepti, la riflessione è stata portata alle sue estreme conseguenze: “Non è il
sentimento religioso ad essere pericoloso ma il suo utilizzo a fini politici
regressivi ad esserlo”. Cosa fare per scongiurare questa prospettiva e quella
ancora più infausta dello scontro di civiltà? Applicare concretamente la politique de civilisation, cioè lo
sforzo comune dell’Occidente e del mondo islamico ad esso non ostile affinché
la globalizzazione possa essere civilizzata e umanizzata. La politique de civilisation dunque è
rispetto della diversità, del sentimento religioso e ricerca di tutto ciò che
unisce, piuttosto di ciò che divide. Una mano tesa al dialogo tra religioni, ma
anche un esplicito richiamo all’importanza della libertà religiosa in un Paese
totalmente indietro da questo punto di vista.

Ma la politique de
civilisation
è anche fermezza e credibilità a livello politico. Su questa
linea deve essere letto l’importante accordo firmato tra l’emirato di Abu Dhabi
e la Francia
per l’apertura di una base militare permanente francese nel Golfo Persico. Si
tratta della prima base militare francese ad essere installata nel Golfo
Persico, ad oggi quella più vicina si trova a Gibuti, all’imbocco del Mar Rosso.
Come spesso accaduto fino ad oggi nella strategia di Sarkozy, siamo di fronte a
un mix tra continuità e rottura. Infatti, l’apertura della base si pone in
linea diretta con l’accordo di difesa concluso tra Abu Dhabi e Parigi nel 1995,
in seguito alla prima guerra del Golfo. Il dato nuovo e simbolicamente
rilevante riguarda l’attuale contingenza che vede al centro la crisi scatenata
dalle ambizioni nucleari iraniane. La presenza nei prossimi mesi dei militari
francesi sulle coste di fronte all’Iran, accanto alle navi e ai marines della V
flotta Usa, sono la dimostrazione concreta dell’impegno di Parigi nella crisi
in atto tra Teheran e l’Occidente. La Francia di Sarkozy e Kouchner si è distinta fin
dagli esordi rispetto all’atteggiamento ondivago e ambiguo della precedente
amministrazione Chirac, ponendosi in prima fila per imporre sanzioni Onu più
rigide, ribadendo più volte la necessità che l’Iran non si spinga l’Occidente “a
dover fare una scelta drastica tra la bomba e le bombe”, e soprattutto proponendo,
di fronte alla situazione di stallo al Palazzo di Vetro, l’imposizione di ulteriori
sanzioni da parte di Unione europea e Stati Uniti al di fuori delle Nazioni
Unite. Con la creazione di questo avamposto nel Golfo, il primo di una potenza
occidentale se si eccettuano gli Usa, Sarkozy accentua la credibilità
internazionale della sua diplomazia e la colloca saldamente a fianco
dell’alleato americano.

Proprio la consonanza di vedute con Washington apre il
discorso sul terzo passaggio chiave del viaggio nel Golfo di Sarkozy. Sia il
Presidente Bush, impegnato in questi giorni nell’area al fine di creare un vero
e proprio cordone sanitario attorno all’Iran nucleare, che Nicolas Sarkozy
hanno richiamato il cartello dei Paesi produttori di petrolio a mantenere un
atteggiamento responsabile nel fissare i prezzi dell’oro nero, oramai fuori
controllo. Ma Sarkozy ha fatto un ulteriore passo in avanti. Con la firma
dell’importante contratto per la realizzazione di due reattori per lo
sfruttamento dell’energia nucleare negli Emirati Arabi Uniti, Sarkozy procede
nella politica avviata nel dicembre scorso in Algeria e Libia: rispondere al
rischio di proliferazione nucleare nei Paesi arabi che si affacciano sul Mediterraneo
o nella zona del Golfo Persico, assumendosi la responsabilità di offrire tecnologia
nucleare ad uso civile, con un occhio naturalmente agli introiti che ne
derivano (basti pensare che per l’accordo sul nucleare civile negli Emirati
Arabi nascerà una nuova grande concentrazione industriale composta da Areva,
Suez e Total).

Con buona pace degli amanti del gossip, Sarkozy sta portando
avanti una politica estera coerente che affronta tutti i temi caldi di questo
avvio di XXI secolo. Religione, economia, strategia militare e governance mondiale, con un duplice
obiettivo: riportare la
Francia al centro della scena mondiale e contribuire
all’edificazione del nuovo ed imprescindibile Occidente euro-americano.