Sarkò e Brown aprono la fase due dell’Europa

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Sarkò e Brown aprono la fase due dell’Europa

28 Marzo 2008

Da una visita di Stato difficilmente emergono accordi concreti e risultati immediati. Il dato simbolico è spesso quello più rilevante, utile per stabilire il successo o meno della serie di incontri e dichiarazioni. Alla luce di questa considerazione, la due giorni londinese di Nicolas Sarkozy, come deve essere giudicata?

Prima di tutto è necessario sgomberare il campo da una semplificazione: il differente approccio che i due leader hanno mostrato riguardo al boicottaggio dei Giochi olimpici come ritorsione alla repressione cinese in Tibet è stato una nota a margine dell’incontro. Per altro sul fatto che Londra difficilmente potrà permettersi un tale gesto il suo Primo ministro è stato chiaro: può il Paese che ospiterà le Olimpiadi nel 2012 non presentarsi alla cerimonia di apertura di quelle precedenti? D’altra parte Sarkozy, che non ha nascosto un’attitudine più dura nei confronti di Pechino, ha anche immediatamente ricordato che il fatidico 8 agosto prossimo qualsiasi decisione dovrà essere discussa con gli altri 26 Paesi europei. Per quella data, infatti, egli rappresenterà non solo il suo Paese, ma anche l’Ue in quanto Presidente di turno del Consiglio europeo.

In secondo luogo, pur nel quadro di una serie di incontri dove il protocollo e l’ufficialità hanno dominato, i punti di accordo tra Sarkozy e Brown sono stati rilevanti. La consonanza è parsa totale su difesa ambientale (Londra dovrà farsi garante del tema con la scettica Casa Bianca), riforma degli organismi di gestione finanziaria mondiale (G8, Fondo monetario, Banca mondiale), promozione del nucleare civile anche in Paesi in via di sviluppo, necessità di procedere con progetti di scolarizzazione dell’Africa e più stretta collaborazione militare a livello europeo, alla luce del rinnovato protagonismo atlantico della Francia di Sarkozy.

Infine una nota di stile, anche questa da non trascurare. L’Entente cordiale del 1904, più volte ricordata come saldo (ma non troppo) ancoraggio dell’alleanza anglo-francese, si è tramutata nelle parole del Presidente francese in Entente amicale e addirittura è divenuta Entente formidable in quelle (in francese!!!) di Gordon Brown. Dunque solo miele nei rapporti tra le due sponde della Manica?

Il carattere decisivo dell’incontro al vertice tra Brown e Sarkozy va oltre queste considerazioni e soprattutto va oltre gli interessi specifici dei due singoli Stati e i loro rapporti bilaterali. Con il discorso di Sarkozy di fronte al Parlamento britannico, la sua intervista alla Bbc e le parole pronunciate da Brown in un’intervista esclusiva rilasciata a «Le Monde», sembra delinearsi l’avvio di una vera e propria «fase due» della costruzione europea.

Nei suoi primi cinquanta anni di vita l’edificazione di un’Europa unita ha avuto una serie di obiettivi principalmente interni allo spazio europeo. Ricostruire il continente, trasformarlo in una società del benessere, garantirne la pace interna (soprattutto quella tra le due sponde del Reno, causa di troppe guerre tra Otto e Novecento). Questa prima fase, simbolicamente conclusasi con l’allargamento a est (una volta esauritasi la spinta bipolare sottesa alla costruzione europea), è durata circa 50 anni e ha avuto come fulcro l’asse franco-tedesco. Ora l’Europa sembra essersi avviata lungo la strada di una seconda missione: quella di tramutarsi in attore globale, accanto agli Usa e alle nuove potenze emergenti, in particolare la Cina.

L’intuizione di Sarkozy è quella di aver compreso che, se esiste un futuro per questo «secondo tempo» dell’Europa, determinante è l’apporto della Gran Bretagna. La strada è in salita, ma il Presidente francese è stato chiaro: per agire nell’attuale contesto globale fondamentale è passare attraverso la cooperazione europea. Corollario a questa considerazione: se la Gran Bretagna vuole proporre una sua idea di Europa deve però il più possibile svolgervi un ruolo di primo piano. Esiste un approccio europeo alla globalizzazione? Se sì, la Gran Bretagna non può sottrarsi dal contribuire al suo dispiegamento.

Accanto alla Germania e al suo nuovo attivismo a livello di politica estera (destinato a crescere mano a mano che ci si allontana dagli anni bui del Terzo Reich e da quello stato di «minorità internazionale» che l’eredità hitleriana ha lasciato a Berlino) non possono mancare le due grandi ex-potenze globali: Francia e Gran Bretagna. Le nuove istituzioni del Trattato di Lisbona, così fortemente volute da Sarkozy e Merkel, offrono alcuni strumenti concreti per avviare questa seconda fase della costruzione europea: un Presidente fisso in carica almeno per due anni e mezzo e una figura forte potenzialmente in grado di gestire la politica estera e di difesa comune. Il richiamo di Parigi alle necessarie assunzioni di responsabilità da parte di Londra è stato chiaro.

A questo punto è lecito domandarsi se la Gran Bretagna vuole veramente assumere questo ruolo? E soprattutto Brown ha la capacità di leadership e per costruire attorno a questo euro-attivismo anglosassone un forte sostegno popolare? La crescita dei conservatori, che sul ruolo della Gran Bretagna nell’Ue hanno posizioni alquanto differenti, può determinare un riflusso di tale protagonismo inglese? Solo il tempo potrà rispondere a queste domande, al momento bisogna sottolineare un mutamento sostanziale nell’approccio di Brown alle questioni europee. Conosciuto per essere il vero euroscettico del New Labour e dopo alcuni recenti passaggi a dir poco sconcertanti (il ritardo alla firma del Trattato di Lisbona, tra gli altri), l’inquilino del 10 di Downing Street, sembra essersi calato nel ruolo dell’euro-pragmatico. In particolare mostra di aver compreso che, di fronte alla consonanza di obiettivi tra Londra e il resto dell’Unione (in particolare Parigi e Berlino) su specifiche questioni come clima, finanza mondiale, lotta al terrorismo l’approccio comune ha più possibilità di riuscita rispetto a quello unilaterale.

Il 6 maggio 2007 Sarkozy ha parlato di ritorno della Francia in Europa. Parafrasandolo si potrebbe dire che ora tocca a Londra tornare in Europa? I facili entusiasmi devono essere tenuti a freno. Decenni di euroscetticismo, gli innumerevoli opting out negoziati nella fase di approvazione del Trattato di Lisbona e i tanti ambiti (euro, Schengen) nei quali Londra si autoesclude dalle istituzioni europee restano comunque un monito.

Se esiste una possibilità che la Manica diventi «un po’ più stretta» questa passa per le proposte avanzate da un leader volontarista e filo-atlantico come Sarkozy. Con buona pace dei nostalgici, soprattutto italiani, l’europeismo «romantico» e solo propagandistico sembra lasciare il passo all’euro-pragmatismo. Berlino, Parigi, e si spera, Londra ne sono gli artefici.