Sarkò paga nei sondaggi il prezzo della ‘rupture’
06 Febbraio 2008
Secondo «Libération» Nicolas Sarkozy ha finalmente sposato
Carla Bruni ma ha contemporaneamente divorziato dai francesi. Eccessi della
stampa gauchiste o reale allarme
rosso all’Eliseo? Che si tratti di una rottura definitiva è certamente
eccessivo, non mancano però i motivi di preoccupazione all’interno della
cerchia più stretta dei collaboratori dell’Eliseo. La discesa nei sondaggi è
costante per lo meno dall’autunno scorso. Accanto ad un calo fisiologico
determinato dall’esaurirsi della carica propulsiva iniziale e dall’esercizio
del potere quotidiano, il livello di sfiducia ha raggiunto i punti più bassi
toccati da Chirac nel 1996, dopo l’ondata di scioperi primaverile e la
disaffezione rispetto alle sue promesse di risoluzione della «frattura sociale»
del Paese. Dunque, ironia della sorte, le strade del «padre putativo» Chirac e
del «figlio ingrato» Sarkozy tornano ad incrociarsi, per lo meno simbolicamente,
in questa prima fase di impasse del mandato presidenziale di Sarkozy.
Si diceva delle cifre davvero impietose, sostanzialmente
confermate da tutti gli istituti di ricerca. L’ultimo Tns-Sofres ha parlato di
41% dei cittadini che approvano l’operato del Presidente (con una perdita secca
in un mese di otto punti) e 55% che non si ritengono soddisfatti. Il sondaggio
più recente LH2 ha confermato la tendenza, precisando però che in questo caso
la perdita in un mese sarebbe stata addirittura di 13 punti. Come cercare di
spiegare questo terremoto nel rapporto tra l’iper-Presidente e quell’opinione
pubblica che l’aveva fortemente voluto nel maggio 2007?
Prima di tutto occorre una precisazione riguardo alla vita
privata del Presidente. Sarkozy è stato eletto e quasi acclamato in quanto
portatore di un vento di novità e di rottura rispetto alle consuetudini, una rupture quindi anche nei gesti, nella
ritualità e nello stile rispetto all’ingessata presidenza Chirac. La pipolisation e l’iperattivismo
dell’inquilino dell’Eliseo hanno però raggiunto nella love story con Carla Bruni livelli forse eccessivi per quella Francia
libertina (nella quale abbondano divorzi, famiglie allargate e figli nati fuori
dal matrimonio) ma in realtà nelle sue membra inguaribilmente borghese e
tradizionalista. Quanto di tutto ciò si ripercuota nei sondaggi è difficile da
stabilirlo da un punto di vista quantitativo. Quello che è certo è che le nozze
in forma strettamente privata di sabato scorso sono state accolte dallo staff
presidenziale come un vero e proprio sollievo. L’intenzione sembra ora quella di
spegnere i riflettori, almeno nella fase di avvicinamento alle elezioni
amministrative del 9-16 marzo, dalle questioni private del Presidente.
Chiusa la parentesi sentimentale passiamo alle questioni di
natura più tradizionalmente politica. L’elezione di Sarkozy è avvenuta su un
programma di riforme di una densità impressionante. Per la malattia francese,
per il declino dell’uomo malato d’Europa era necessaria una terapia d’urto, in
grado di mandare in frantumi rendite di posizione e modernizzare un Paese che
negli ultimi trent’anni (cioè dalla fine dei «Trenta Gloriosi», 1975) ha
praticamente vissuto di rendita. Questa la diagnosi. Giunto all’Eliseo il
neo-Presidente ha dato l’impressione di non voler arrestare il suo ritmo e di
cercare di sfruttare lo choc di fiducia che l’aveva portato a stravincere la
presidenziale. Il metodo utilizzato è stato quindi quello di aprire
simultaneamente tutti i principali cantieri di riforma, sottoponendosi al
rischio (non si sa quanto calcolato) di disperdere preziose energie.
I primi cento giorni di presidenza sono stati di
un’intensità paragonabile soltanto ai primi mesi del governo Débré del 1959
(con De Gaulle Presidente della Repubblica): legge sull’impiego e il potere
d’acquisto, riforma della carta scolastica, autonomia universitaria, intervento
sulle 35 ore, il tutto, da non trascurare, corredato da un importante sforzo a
livello di politica estera, ed europea in particolare e all’importante successo
nel braccio di ferro sui «regimi speciali» Accanto ai provvedimenti veri e
propri si devono aggiungere le numerose commissioni incaricate di produrre
progetti di riforma da applicare nel medio termine: Commission Balladur per la
riforma delle istituzioni, Commission Attali per liberare la crescita, Grenelle
de l’Environnement (con il Ministro Borloo impegnato a ripensare uno sviluppo
eco-compatibile), Libro bianco sulla Difesa (commissionato al Ministro
competente Morin) e libro bianco sulle periferie (in fase di elaborazione da
parte del Ministro Amara).
Dove si è arenato il piano di battaglia del Presidente? Al
momento su due punti gli ingranaggi sembrano essersi inceppati e da qui lo choc
di sfiducia. Da un lato si trova un paradosso: il punto di forza dell’operato
di Sarkozy, le riforme tous azimuts,
si sta rivelando anche il suo punto di debolezza. Attaccare tutti gli handicap
del sistema economico, politico e sociale transalpino ha finito per distogliere
l’attenzione da quello che probabilmente è il “problema” per eccellenza di
tutte le società capitalistiche europee del XXI secolo: la riforma complessiva
del mercato del lavoro. Probabilmente la stessa battaglia contro le 35 ore,
certamente imprescindibile, è soltanto una piccola parte di una più complessiva
riforma che riguarda i metodi di contrattazione collettiva, i trattamenti di
disoccupazione e il completamento (per altro a buon punto) della revisione del
sistema pensionistico. Lo stesso può dirsi delle modifiche da apportare al
sistema educativo ed universitario, che dovranno in futuro essere sempre più
coordinati con il mondo del lavoro.
Dall’altro lato vi è però un dato congiunturale sul quale i
bonus fiscali o le iniezioni di fiducia verbale possono davvero poco. Una delle
promesse più martellanti di Sarkozy nel corso della campagna elettorale era
stata quella di voler essere il «Presidente del potere d’acquisto». Il costante
calo del potere d’acquisto degli stipendi medi dei cittadini francesi è di
certo il motivo principale del crollo nei sondaggi del Presidente della
Repubblica. Di fronte alle prospettive poco rosee di crescita economica a livello
europeo per tutto il 2008, il rebus per l’Eliseo si prospetta davvero di
complessa risoluzione.
Ulteriore complicazione le imminenti elezioni amministrative
del 9-16 marzo prossimo che il Partito socialista cercherà di trasformare in
una sorta di rivincita dopo la sconfitta alle presidenziali. L’indecisione di
Sarkozy nello scegliere se riempire di contenuti nazionali o meno una
competizione che resta essenzialmente locale tradisce i timori di debacle che
attraversano il centro-destra francese. Non mancano i malumori anche
all’interno dell’Ump, il partito del Presidente, che lamenta gli effetti perversi,
almeno a livello locale della difficoltà di spiegare alla base elettorale le
scelte decise dal Presidente di ouverture
ai tanti eredi del mitterrandismo (Védrine, Lang, Attali, Rocard) e in generale
ad importanti personalità di sinistra.
Che vengano o meno tramutate in un test nazionale (in una
recente intervista a «Le Figaro» il segretario generale dell’Ump Devedjan si è
detto favorevole a quest’ultima opzione) dalle municipali di marzo usciranno
utili indicazioni sul destino futuro delle riforme di Sarkzoy. Al momento,
unica consolazione, la certezza di aver fatto e disfatto, dal punto di vista
politico così come da quello personale, tutto da solo. Per i socialisti infatti
si può citare una famosa pièce di
Beckett «En attendant le Ps».