Sarkò parla ai francesi per incoraggiarli ma le sue ricette non piacciono più

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Sarkò parla ai francesi per incoraggiarli ma le sue ricette non piacciono più

09 Febbraio 2009

Solo nei prossimi giorni si potrà concretamente valutare l’impatto dell’ora e mezza di intervento televisivo di Nicolas Sarkozy. Sull’onda della recente mobilitazione sociale, con il tasso di disoccupazione in prepotente crescita (e pericolosamente prossimo a sfondare la soglia fatidica del 10%) e livelli di popolarità e gradimento in picchiata, l’inquilino dell’Eliseo ha giocato la carta della “pedagogia mediatica”, così cara al “presidente-monarca” della V Repubblica, primo fra tutti il suo fondatore de Gaulle.

L’obiettivo dichiarato del lungo colloquio televisivo emblematicamente intitolato “Face à la crise” (“Di fronte alla crisi”) era duplice. In primo luogo spiegare in maniera diffusa il piano anti-crisi del governo, avviando contestualmente una “operazione rassicurazione” di un’opinione pubblica sempre più smarrita di fronte all’intensità e alla durata della crisi. In secondo luogo cercare la via per una complesso rilancio politico di un quinquennato presidenziale che, non ancora giunto al suo secondo anno, sembra aver perso tutta la sua forza propulsiva.

Il Presidente si è presentato all’appuntamento con le telecamere ai livelli più bassi di gradimento. Solo il 41% dei cittadini si dice favorevole al suo operato, mentre il 58% lo disapprova e addirittura il 34% si dichiara “molto scontento”. Ma soprattutto, il 62% degli intervistati ritiene che le ricette anti-crisi dettate dall’Eliseo non risolvano davvero la complicata situazione. Due dati ancora più allarmanti si aggiungono a questi bassi livelli di popolarità, peraltro abbastanza costanti lungo tutto il 2008 e parzialmente modificatisi solo nel corso degli ultimi trionfali mesi trascorsi da Sarkozy alla guida dell’Unione europea.

Il primo riguarda la fiducia nei confronti del Primo ministro. Si è parlato a lungo della strana inversione dei ruoli rispetto alla tradizione della V Repubblica, con il Presidente tramutatosi in “para-fulmine” per il Primo ministro. Ora anche Fillon si avvicina pericolosamente al basso livello di gradimento di Sarkozy: è dunque la complessiva politica dell’esecutivo a essere bocciata. Il secondo dato allarmante si coglie analizzando le motivazioni sottese al successo della manifestazione di protesta di giovedì 29 gennaio.

Se oltre la metà dei cittadini si è mostrata piuttosto d’accordo con i manifestanti, il 47% ha dichiarato che il vero bersaglio della contestazione era l’Eliseo e solo il 26% degli intervistati riconosce ancora le riforme come obiettivo prioritario dell’operato di Sarkozy. Insomma la crisi economico-finanziaria globale sembra davvero essersi portata via non solo migliaia di posti di lavoro e di dividendi in borsa, ma anche la vera ragione per la quale i cittadini francesi avevano scelto Sarkozy meno di due anni fa: avviare un percorso di articolata riforma di un Paese fermo ai livelli di crescita e di modernizzazione economico-sociale di metà anni Settanta.

Ecco allora che l’intervento televisivo è venuto a rappresentare un possibile punto di svolta sia economica che politica. Sarkozy ha sgomberato il campo, come peraltro aveva già fatto nell’immediato post manifestazione di giovedì 29 gennaio: nessuna volontà di cambiare strategia e un secco “no” alle ipotesi di interventi di breve respiro finalizzati allo stimolo della domanda così come richiesto a gran voce dai sindacati e da ciò che resta del Ps. L’esecutivo è determinato a mantenere la propria posizione e dall’Eliseo Sarkozy ha ribadito che le priorità saranno ancora gli investimenti finalizzati a creare nuovi posti di lavoro e a salvare i settori industriali più in difficoltà.

Non a caso l’unica vera novità annunciata nel corso dell’ora e mezza di diretta televisiva è l’abolizione, dal 2010, della taxe professionnelle con l’obiettivo di mantenere le grandi industrie nel Paese e addirittura portarne altre a ri-localizzarsi in Francia. Per il resto Sarkozy ha cercato di rassicurare un Paese profondamente impaurito dalla crisi in atto, spiegando e difendendo la scelta di salvare gli istituti di credito in crisi (ne proverranno 1,4 miliardi di euro di interessi da investire in spesa sociale), ribadendo la necessità di rivedere i benefici economici delle società quotate in borsa e dei grandi traders (anche se in maniera meno radicale rispetto alle prime mosse di Obama) e infine richiamandosi al necessario coordinamento europeo nell’affrontare la crisi. Ma anche da Bruxelles giungono pessime notizie per Parigi dopo che il commissario alla concorrenza Kroes ha bocciato il piano francese di rilancio del settore auto, in quanto troppo tendente alla distorsione dei principi di concorrenza interni allo spazio economico del mercato comune.

Dunque Sarkozy ha cercato di “spiegare la crisi” e mostrare che il piano di rilancio presentato lunedì scorso (26 miliardi di euro quasi tutti finalizzati al rilancio dell’impiego e al finanziamento di lavori pubblici) costituisce la giusta ricetta per conciliare le esigenze della drammatica congiuntura e l’imprescindibile opera di riforma del Paese, ancora più indispensabile alla luce dell’attuale impasse del capitalismo globale.

La disoccupazione in costante aumento, la spesa pubblica a livelli sempre meno sostenibili e le agitazioni sociali in atto fanno sempre più pensare che la fase “riformista” dei cinque anni di presidenza Sarkozy sia davvero giunto al capolinea.

Il dato politico, se possibile, rende il quadro ancora più fosco. Tutte le scelte e le peculiarità che a maggio 2007 sembravano vincenti oggi sembrano trasformate in problemi. La politica di “ouverture” non ha contribuito ad aumentare la popolarità di Sarkozy fuori dall’ambito di centro-destra. Anzi, oltre a non affascinare più i socialisti (e a non aver mai incontrato il favore dei simpatizzanti della destra conservatrice), le scelte di “apertura” vengono sempre meno tollerate dal partito del Presidente (emblematico il recente “caso Kouchner”). Così in parte si spiegano i malumori del gruppo parlamentare Ump e quelli dell’apparato partitico che ha mal digerito la promozione alla sua direzione un ex-socialista convertito al sarkozismo come Besson. Al di là della scarsa popolarità diffusa, Sarkozy sembra sempre meno in sintonia con il suo elettorato, con i suoi militanti e con i suoi eletti. È svanita la fiducia smisurata nel volontarista Sarkozy? L’inquilino dell’Eliseo non è più un valore aggiunto?

La scelta di accentrare in maniera quasi ossessiva su di sé ogni tipo di scelta, di gestire in prima persona dossiers anche solitamente lasciati al Primo ministro, oggi lo priva di una possibilità decisiva, molto utilizzata dai suoi predecessori, quella di “immolare” il proprio Primo ministro e ripartire. Lo hanno fatto più volte Mitterrand (emblematico il caso del 1984 con la “decapitazione” di Mauroy a favore di Fabius), Chirac (nel 2005 via Raffarin e dentro de Villepin) e naturalmente de Gaulle quando nel 1962, chiusa la questione algerina, congedò Debré per nominare Pompidou e dopo le elezioni del giugno ’68 sostituì lo stesso Pompidou con il fedelissimo Couve de Murville.

Insomma “face à la crise” Sarkozy è ancora una volta solo. Basterà giocare la carta del volontarismo? Le previsioni di ripresa economica, non prima della seconda metà del 2010, non promettono nulla di buono per l’inquilino dell’Eliseo. Affermando di non pensare al suo futuro e a una sua eventuale ricandidatura nel 2012, Sarkozy compie un gesto di umiltà ma, tra le righe, sembra forse ammettere di aver perso il “bandolo” della sua ambiziosa e rivoluzionaria “matassa” di riforma del Paese.