Sarkò stoppa l’Italia: la guerra continua
23 Giugno 2011
Nervi tesi a Parigi e Londra su una guerra in Libia che si trascina nella massima confusione e che vede Gheddafi, nonostante tutto, capace di una resistenza assolutamente non calcolata da chi (Sarkozy, Cameron e Obama) l’ha voluta.
Ieri Franco Frattini ha dichiarato in Senato che “l’Italia certamente sosterrebbe con forza un appello avanzato da Unione africana, Ue, Lega araba e Onu per la sospensione immediata delle ostilità e per un corridoio umanitario negoziato in Libia un cessate il fuoco umanitario immediato che abbia due caratteristiche: non pregiudicare il negoziato politico che escluda la ripartizione della Libia ed escluda la permanenza di Gheddafi, ma consentire anche quell’ingresso negoziato che in modo forzoso non ci sarebbe comunque consentito L’alternativa, per è non fare niente, ma continuare con la situazione di belligeranza, oppure bloccare le armi e negoziare un corridoio umanitario temporaneo e immediato”.
Parole calibrate con diplomatica saggezza, mirate a sedare gli animi di una Lega impaziente di uscire dal pantano libico, ma anche tese a sedare gli umori opposti di un Giorgio Napolitano, stranamente molto bellicoso. In vista delle riunione del Consiglio Supremo di Difesa –presieduto da Napolitano- che Berlusconi ha indicato in Parlamento quale sede per aggiornare la posizione italiana, Frattini ha dunque enunciato una ponderata proposta di “exit strategy”, non unilaterale, ma saldamente ancorata alle eventuali –ma auspicate- iniziative delle massime istanze internazionali. Lo ha fatto, ben sapendo che il 15 giugno l’Unione Africana ha formalmente chiesto al Consiglio di Sicurezza “di concentrare gli sforzi della comunità internazionale su una soluzione politica”, quindi un cessate il fuoco e una trattativa.
Questo, pochi giorni dopo che il presidente della Commissione dell’Unione Africana Jean Ping ha dichiarato, allarmato: “Il pericolo in Libia è quello di una somalizzazione del conflitto. Bisogna ricordare che la Libia è, come la Somalia, un paese basato sulle tribù. Noi abbiamo in mente quello che è accaduto in Somalia.” Non solo, proprio ieri, una delegazione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica è giunta in giornata in Libia per una missione di mediazione tra le due parti in conflitto. Dunque, le pressioni sull’Onu per un cessate il fuoco concordato vi sono e sono forti, soprattutto vista la situazione di stallo sul terreno. Ma subito Parigi e Londra hanno fatto il viso dell’arme, ribadendo: “la guerra continua”. Come già il portavoce del ministero degli Esteri francese Bernard Valero, il portavoce di David Cameron ha rigettato a tambur battente la proposta italiana: “Riteniamo che sia necessario continuare ad aumentare le pressioni sul regime libico, non solo attraverso la campagna militare, ma anche con sanzioni politiche ed economiche.”
Ma in realtà, i dubbi che serpeggiano in Italia sono gli stessi dei generali inglesi, tanto che martedì, il generale Simon Bryant, capo operativo della Raf, ha inviato un allarmato rapporto al Parlamento inglese: “Lo spirito di combattimento del personale della Raf è messo a dura prova dall´intenso carico di lavoro, molti settori del corpo sono in ebollizione”. Non solo Bryant ha anche formalizzato una valutazione pesantissima sul piano politico: “Vi è preoccupazione sulla mancanza di direzione strategica percepita che diminuisce la fiducia nella leadership”. Come si vede il pesante giudizio sulla “mancanza di direzione strategica” di questa guerra alligna più a Londra che a Roma (o nella Padania).
(tratto da Libero)