Sarko’ torna in Iraq per dare una mano a Bush ma anche all’Europa

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Sarko’ torna in Iraq per dare una mano a Bush ma anche all’Europa

Sarko’ torna in Iraq per dare una mano a Bush ma anche all’Europa

22 Agosto 2007

La tre giorni di Baghdad del
Ministro degli Affari esteri ed europei Bernard Kouchner può essere definita
senza esagerazioni uno degli eventi internazionali più rilevanti degli ultimi
mesi. La visita del titolare francese del Quai d’Orsay, mantenuta segreta fino
all’ultimo per ovvie ragioni di sicurezza, ha innanzitutto un significato
storico, per i rapporti spesso ambigui e comunque mai lineari tra Francia e
Irak nel corso degli ultimi 30 anni.

L’ultima visita di un Ministro
degli Esteri transalpino risale a diciannove anni fa, per la precisione al 1988,
ad opera del socialista Roland Dumas. Con questo ultimo viaggio si chiudeva una
lunga fase, circa quindici anni, di vera e propria fascinazione di Parigi per
l’Irak di Saddam Hussein. Parlano chiaro le parole con le quali il 5 settembre
1975 l’allora Primo Ministro di Giscard d’Estaing Chirac accoglie il dittatore
irakeno in visita a Parigi «Siete il mio amico personale e vi garantisco la mia
stima, la mia considerazione e il mio affetto». Da questo momento in poi, e
senza grosse distinzioni tra la presidenza Giscard e quella Mitterrand, tra
Baghdad e Parigi si creerà un intenso rapporto diplomatico fatto soprattutto di
vendite di armi e tecnologie nucleari civili, come la fornitura all’Irak del
reattore di Osirak. La prima guerra del Golfo segna una parziale cesura e
infatti la Francia
di Mitterrand si schiera con la comunità internazionale, contro l’«alleato» reo
di avere invaso il Kuwait. Il dialogo riprende però appena tre anni dopo,
soprattutto su sollecitazione di Elf e Total, interessate ai giacimenti
petroliferi della zona di Bassora. Con l’arrivo poi di Chirac all’Eliseo, il
rapporto tra Parigi e Baghdad si fa nuovamente stretto nonostante, o meglio
sarebbe dire in corrispondenza, con la volontà americana sempre più esplicita
di destabilizzare la dittatura di Saddam.

A questa sommaria ricostruzione
storica dei rapporti tra Baghdad e Parigi manca naturalmente l’ultimo capitolo,
quello dell’opposizione francese all’intervento Usa del marzo 2003. La decisione
di Kouchner di recarsi a Baghdad simboleggia dunque un passo fondamentale nella
strategia di rupture in politica
estera operata dal neo Presidente Sarkozy e di conseguenza può essere letta
come un nuovo tassello del riavvicinamento tra Washington e Parigi? Su questo
punto le riflessioni devono rifuggire le semplificazioni e le generalizzazioni.
Sbaglia grossolanamente chi cerca di attribuire un significato univoco al
viaggio di Kouchner. Importante pare al contrario coglierne ogni singola
sfumatura.

Prima di tutto fondamentale è il
profilo biografico-politico dell’attuale titolare del Quai d’Orsay. Kouchner
non aveva pregiudizialmente accusato gli Usa al momento dell’invasione
dell’Irak, ma soprattutto resta un importante simbolo di quell’Occidente in grado
di farsi carico dei problemi del mondo, utilizzando gli strumenti
dell’interventismo internazionale. Il french-doctor
è stato uno dei più strenui sostenitori dell’intervento Nato in Kosovo (in una
Francia da sempre filo-serba) e ha svolto nella regione a maggioranza albanese
il ruolo di inviato delle Nazioni Unite. Dunque possiede le carte in regola per
rivendicare l’efficacia del multilateralismo pragmatico da opporre a quello che
si limita a garantire lo status quo. Infine, ma altrettanto importante per
dialogare con l’attuale classe dirigente irakena (che difficilmente può aver
dimenticato i legami tra la diplomazia francese e il tiranno Saddam), gli
ottimi rapporti tra Kouchner e la comunità curda. Non a caso il primo incontro
è stato con il Presidente irakeno (di etnia curda) Talabani.

Accanto a ciò che Kouchner
rappresenta bisogna poi soffermarsi con attenzione su ciò che Kouchner ha detto
e sui gesti simbolici che ha compiuto. La visita è stata organizzata nei minimi
dettagli per evitare che potesse essere liquidata come puro e semplice sostegno
alla politica Usa nell’area (anche se non sono mancate le critiche, soprattutto
in patria, a Kouchner «barboncino di Bush»). Per questo nessun incontro con i
vertici militari statunitensi e prima sosta, non appena sceso dal velivolo, a
depositare una corona di fiori sul luogo dell’attentato di quattro anni fa al
Palazzo dell’Onu (per altro proprio di questi giorni è il ritorno della
missione Onu a Baghdad). Poi le parole sulla «soluzione politica e non militare
della crisi» e la puntualizzazione sugli errori commessi dagli Usa.
Immediatamente dopo però il duplice messaggio: al fronte interno francese e a
quello internazionale (e in particolare europeo). È proprio la differente
posizione di Parigi rispetto a Washington di quattro anni fa che autorizza la Francia a svolgere un
ruolo attivo nell’area. E poi rivolto agli altri attori internazionali la
speranza «che la visita possa segnare l’apertura di iniziative simili da parte
di altri Paesi europei».

Ecco il fondamentale messaggio
politico del viaggio di Kouchner a Baghdad. Di fronte ad uno scenario regionale
in grande evoluzione, la
Francia vuole mostrare di essere pronta e di voler svolgere
un ruolo determinante. Nel momento in cui gli Usa cercano una soluzione
pragmatica e realista, decidendo di dialogare con Arabia Saudita e Iran. A
pochi giorni dalla presentazione al Congresso del dossier del Generale Petraeus
sulla situazione in Irak. E soprattutto alla vigilia di una campagna elettorale
statunitense che si giocherà in gran parte sulla questione irakena, la Francia di Kouchner, e
soprattutto di Sarkozy, mostra di voler partecipare alla distribuzione delle
carte della diplomazia mediorientale. L’obiettivo è di quelli di ampio respiro
e coinvolge anche la politica francese nel conflitto arabo-israeliano e in
quello libanese. Non a caso Parigi ha ripreso a parlare con la Siria e Kouchner ha
ricordato a Maliki di riferire al Presidente Bashar Assad che la Francia è pronta a grandi
concessioni, qualora Damasco si impegnasse nel processo di pace in Libano.

Dunque il viaggio del Ministro
francese può essere inserito nella complessiva strategia di politica
internazionale fatta di estremo attivismo dopo soli tre mesi dall’ingresso di
Sarkozy all’Eliseo. Più che di rupture
nella sostanza dei singoli dossier, si tratta di una discontinuità rilevante a
livello di iniziativa internazionale rispetto alla recente gestione
Villepin-Chirac. La Francia
di Sarkozy è impegnata in una vasta operazione volta a far riacquisire al Paese
la sua centralità nelle relazioni internazionali, nella quale non mancano
nemmeno i colpi a sorpresa come nel caso della liberazione delle infermiere
bulgare in carcere in Libia. Chi parla però di propaganda e di scarsa
elaborazione dimentica che negli ultimi tre mesi non vi è stato dossier di
politica internazionale (crisi Ue, Darfur, Libano, Iran, Irak) sul quale siano
mancate concrete proposte francesi.

Il ritorno di Parigi a Baghdad è
anche il sintomo di un rapporto nuovo con Washington? Se posta in questi
termini la domanda, la risposta è certamente affermativa. L’incontro amichevole
di Kennebunkport nel corso della vacanza americana di Sarkozy ha sicuramente
certificato il rinsaldarsi del rapporto tra Parigi e Washington, da leggersi
però soprattutto in chiave euroatlantica. È oramai sotto gli occhi di tutti che
la scellerata frattura del periodo 2002-2004, le cui responsabilità sono da
attribuire in maniera equa tra le due sponde dell’Oceano, è oramai ricucita. Il
nuovo asse, nella sua componente europea, poggia solidamente sulle leadership
di Brown, Merkel e Sarkozy mentre Madrid e Roma scivolano verso un ruolo di
secondo piano. Cosa attendersi per altro da un Primo Ministro che interrompe il
proprio riposo estivo per avanzare una scellerata proposta di apertura al
movimento terroristico di Hamas, quando la comunità internazionale compatta lo
esclude dai negoziati di pace che vedono ottimi risultati negli incontri tra
Olmert e Abu Mazen? Ancor peggio della dichiarazione è forse stata la rettifica
pubblicata sulle colonne de «Il Corriere della Sera»: un elenco di condizioni (per
aprire il dialogo con Hamas) da numerose settimane già elaborate dall’Unione
europea. Di fronte a prove così desolanti l’attivismo della diplomazia francese
assume una grandezza quasi sproporzionata.