Sarkozy c’è e a Versailles parla chiaro del futuro della Francia
23 Giugno 2009
Si è aperta una nuova pagina per i cinque anni di mandato presidenziale di Nicolas Sarkozy? È questa la domanda che si pongono i principali commentatori politici transalpini. Ascoltando il suo intervento, per la prima volta nella storia della V Repubblica di fronte al Parlamento riunito in congresso a Versailles, l’impressione è stata quella di voler offrire una nuova prospettiva, una sorta di scenario futuro di evoluzione del sistema economico-sociale francese. Riprendendo una serie di parole chiave della sua lunga ed intensa campagna elettorale del 2006-2007 (lavoro, regole, movimento e riforme) Sarkozy ha delineato una sorta di nouvelle société (sul modello di quella di Chaban Delmas del 1969) che dovrebbe finalmente garantire un rilancio per la Francia stagnante, incapace di trovare un nuovo ciclo di crescita e sviluppo dopo i Trente Glorieuses (1945-1975).
Il discorso tenuto a Versailles ha avuto innanzitutto una certa portata simbolica. Da un punto di vista storico, prima di tutto, dato che l’ultimo Presidente ad aver preso la parola davanti alle Camere riunite era stato Adolph Thiers nel 1873. Poi la III Repubblica (con la Costituzione del 1875), per difendersi da possibili derive bonapartistiche e in nome di una netta separazione dei poteri, ha scelto di offrire al Presidente solo la possibilità di inviare un messaggio da leggere alle Camere. Il semipresidenzialismo della V Repubblica, pur relegando il legislativo ad un ruolo subordinato, aveva mantenuto intatta la forma: niente intervento del Presidente di fronte alle Camere. La legittimazione diretta proveniente dall’elezione popolare era esemplificata, da de Gaulle in avanti, dall’abitudine presidenziale di rivolgersi direttamente al popolo, attraverso le allocutions televisive.
Con la riforma entrata in vigore l’anno scorso, e fortemente voluta da Sarkozy, il tabù del Presidente di fronte alle Camere è saltato in aria e i critici di questa novità parlano di una deriva presidenzialista, di un’evoluzione verso il modello statunitense con l’aggravante dell’assenza di una chiara separazione dei poteri, dal momento che in Francia il capo dell’Eliseo può sciogliere l’Assemblea nazionale. In realtà la modifica è stata accompagnata da un aumento delle prerogative parlamentari (ad esempio la limitazione dell’utilizzo del 49.3 da parte del governo e delle possibilità dell’esecutivo di fissare l’ordine del giorno parlamentare) e quindi è prematuro lanciarsi in critiche nei confronti di un sistema, quello della V Repubblica, che ha più volte dimostrato grandi capacità di adattamento ed equilibrio nei suoi oltre 50 anni di vita.
Ma la scelta del discorso ha anche una chiara portata politica. Il Presidente si è presentato a Versailles anche per rivendicare il suo momento di forza politica. I sondaggi sembrano tornare a sorridergli, l’opposizione è allo sbando in tutte le sue componenti e la vittoria alle europee (era dal 1979, con Valery Giscard d’Estaing, che la lista presidenziale non vinceva questo scrutinio) lo ha reso nuovamente consapevole del suo grande potenziale a livello elettorale. Sarkozy è maestro nell’arte di fare politica, la contesa lo esalta, mentre rischia di perdere parte del suo smalto nella gestione del quotidiano.
Paradossalmente però il successo delle europee è giunto troppo presto. Infatti all’inizio del terzo anno di mandato non è possibile partire con la «fase due» del quinquennato, quella destinata alla preparazione della rielezione. Un approccio di questo genere si potrà tenere all’indomani delle prossime elezioni regionali, nella tarda primavera del 2010. Ecco allora spiegata la scelta del discorso ampio, di prospettiva, unificante e in linea con le parole d’ordine che hanno permesso a Sarkozy la conquista dell’Eliseo.
Tre i nodi chiave dell’intervento presidenziale. Punto primo: la crisi economico-finanziaria non è terminata (anche se alcuni indicatori parlano di discontinuità) e i suoi effetti devastanti sono sotto gli occhi di tutti. Ma questi non possono celare le opportunità che il momento offre. La crisi diventa l’occasione per sostituire alla globalizzazione competitiva quella cooperativa, per rilanciare e finalmente riformare il modello economico-sociale francese, ma anche per rivendicarne il portato ideale ed identitario (da qui il «no» secco al burqa alla francese).
Punto secondo: il modello economico-sociale francese va riformato, perché la politica rimanda questo appuntamento da almeno un trentennio. Una parte del lavoro è stata fatta nei primi due anni di mandato (università, giustizia, lavoro), ma molto resta ancora da fare (ambiente, pensioni, sistema carcerario, amministrazioni locali).
Punto terzo: la politica di rigore non è la risposta né alla crisi, né alla riforma del sistema. Occorre liberare il lavoro dalle imposte asfissianti, è necessario agire dal lato degli investimenti. Esiste un deficit buono, quello per gli investimenti che garantiranno un futuro al Paese, ed un deficit cattivo (di funzionamento) da contrastare con la riforma delle pensioni e delle collettività locali. Sarkozy ha promesso di utilizzare il primo in abbondanza. Cosa diranno a Bruxelles?
Ecco in breve spiegata la scelta di Versailles: l’iper-presidente è tornato con due chiari obiettivi. Occupare la scena senza strafare e mostrare di non aver smarrito la sua carica di volontarismo e la sua caratteristica migliore: quella di essere il Presidente del movimento. Da contrapporre agli «elefanti socialisti» ma anche, e forse soprattutto, all’immobilismo del suo predecessore Chirac.
Aggiungiamo solo qualche notizia in più sul "rimpasto" del governo destinato a modificare la struttura e l’immagine dell’esecutivo. Frederic Mitterrand, nipote dell’ex presidente francese socialista, sarà probabilmente nominato ministro della Cultura ("è un compito esaltante e un onore"), mentre lascia Rachida Dati che dal ministero della Giustizia vola all’Europarlamento (dopo mesi di frizioni con il presidente). A sostituirla dovrebbe essere Xavier Darcos, attualmente in forze al ministero dell’istruzione (a sua volta sostituito da Luc Chatel). Michel Barnier, infine, lascia la poltrona dell’agricoltura diretto anche lui a Strasburgo (sostituito dal senatore Mercier, uno degli uomini dei "MoDem" di Francois Bayrou).