Sarkozy prova a ricucire lo strappo tra l’Europa e gli europei
11 Luglio 2008
Siamo sicuri che il Parlamento di Strasburgo abbia reso, con il suo voto di censura nei confronti del governo italiano e della sua proposta di censimento dei rom, un buon servizio all’«Europa in crisi»?
Siamo sicuri che, mostrando ancora una volta il suo vizio di origine, quello cioè di cassa di risonanza delle pulsioni anti-berlusconiane della sinistra italiana incapace di organizzare sul nostro territorio una legittima opposizione al governo in carica, abbia reso un buon servizio ai cittadini europei?
Siamo sicuri che il cittadino europeo mediamente informato ed interessato del mondo che lo circonda possa costruirsi un’immagine positiva delle istituzioni europee quando in meno di un mese Commissione, Consiglio e Parlamento europeo si sono espressi, sui temi dell’immigrazione, con toni e prese di posizione per nulla univoci?
Nessuna intenzione in questa sede di entrare nel merito della questione rom, né tanto meno di addentrarsi nelle oramai decennali querelles relative alla difficoltà italiana di accreditarsi ed essere rispettata nelle sedi europee. Il voto sanzione di Strasburgo, con il suo carattere fortemente politico e pesantemente strumentale rispetto alla politica interna di uno dei Paesi membri dell’Ue (tanto che Massimo Franco sulle colonne de «Il Corriere della Sera» è arrivato a parlare di «timori e sospetti di manovre»), mal si accosta all’importante discorso che il Presidente Sarkozy, poche ore prima, aveva pronunciato nello stesso emiciclo.
Le parole di Sarkozy erano state quelle di un europeista «di cuore e di testa», merce rara nei palazzi europei in questi tempi nei quali abbondano i «federalisti assoluti» (e dunque in preda al demone dell’utopia) e i «realisti disincantati» (alla ricerca del modo, peraltro non troppo complicato, per demolire 50 anni di successi continentali).
Alcuni commentatori, soprattutto francesi, hanno parlato di un intervento all’insegna della seduzione e del desiderio di ribadire che, anche dopo il «no» di Dublino, le quattro priorità francesi per il semestre restano immutate: energia/clima, difesa, immigrazione e Pac.
In realtà Sarkozy è andato oltre e lo ha fatto in particolare su due punti.
Primo: la drammatica crisi di fiducia che stanno attraversando le istituzioni europee. Da dove ripartire per risalire la china? I cittadini soffrono e faticano a pensare ad un futuro migliore? Ebbene l’Europa deve farsi carico di questa situazione di crisi straordinaria, mostrando di essere in grado di aiutare e rassicurare. Insomma l’idea che l’Unione accetti di «sporcarsi le mani» per i suoi cittadini, di scendere dall’altare delle regole e delle teorie al più terreno mondo dei bisogni e delle emergenze concrete è centrale per Nicolas Sarkozy. Un esempio tra gli altri? Chiedere reciprocità nei negoziati all’Omc, ad esempio nei confronti di quel Brasile che mantiene altissimi i suoi dazi per l’ingresso delle merci europee.
Secondo punto chiave dell’intervento di Sarkozy l’autoreferenzialità delle istituzioni europee e lo scarso coordinamento tra Commissione, Parlamento, Consiglio e Bce. Senza mai nominare direttamente il «santuario di Francoforte», Sarkozy ha ricordato che «indipendenza ed indifferenza non sono due sinonimi». Proclamare la propria autonomia, come spesso si sente fare a Trichet, non dovrebbe automaticamente spingere a considerarsi irresponsabili. Per quale motivo in Europa si può discutere di tutto, tranne che di strategie economico-finanziarie?
È tempo in sostanza che tutti si rimbocchino le maniche, dai leaders nazionali che negoziano un trattato a Bruxelles e poi rientrano in patria e lo attaccano per raccogliere un pugno di voti (il riferimento di Sarkozy alla «doppiezza» del Presidente polacco è stato evidente) a quelli europei che si autopercepiscono (a torto) come entità super partes. Inutile e cinico sarebbe voltare lo sguardo, mentre la barca affonda.
Sarkozy il 21 luglio sarà a Dublino per confrontarsi con i politici irlandesi e capire fino in fondo le ragioni del «no» con una certezza: niente Lisbona, niente nuovi allargamenti e nessun passo in avanti sulle sfide cruciali per l’Ue del XXI secolo. Obiettivo finale è chiudere
Parallelamente si spera che da Bruxelles e Strasburgo giungano segnali positivi di avvicinamento delle istituzioni europee alle cittadinanze nazionali.
Il voto di censura di Strasburgo sulla gestione italiana del dossier rom sarà anche stato, come affermato da Andrea Bonanni, un passaggio «storico». Il rischio grave è che, di questo passo, anche l’Ue si tramuti solo e soltanto in un oggetto della storia.