Sartre e la sua idea dell’intellettuale non sono sopravvissuti al Sessantotto

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Sartre e la sua idea dell’intellettuale non sono sopravvissuti al Sessantotto

17 Gennaio 2010

Devo premettere un’avvertenza per chi legge: per chi mi legge in generale, non per chi legge questo pezzo. Sono stata abituata dai miei Maestri, fra i quali Dino Cofrancesco, a scrivere in modo comprensibile e, se possibile, piacevole, per il maggior numero possibile di persone senza peraltro snaturare tesi e argomenti di cui discuto. Sono stata abituata a esprimere con la maggiore chiarezza possibile le tesi altrui per poterne ragionare rispettandone il significato. Sono anche stata abituata a esprimere le mie tesi personali, le mie osservazioni o critiche, con schiettezza e sobrietà. Se queste caratteristiche vengono intese come “fare un Bignami”, d’accordo: mi vanto di essere un’autrice di Bignami. Se invece con l’espressione “fare un Bignami” si vuol dire che non capisco i testi che recensisco, che li semplifico in modo indebito, che ne tradisco e traviso il senso, voglio pagina e riga dei travisamenti, insieme al corretto significato del testo in discussione. Succede a tutti, ma occorre essere precisi: altrimenti le critiche diventano offese gratuite. In ogni caso, credo che i cultori della scrittura ermetica debbano rivolgersi altrove.

La casa editrice Mimesis propone nella raccolta di scritti di Jean-Paul Sartre L’universale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973 un saggio famoso di questo autore che risale al 1972 ma deriva da una serie di conferenze tenute nel 1965 in Giappone: Plaidoyer pour les intellectuels, ovvero, come viene ora tradotto, In difesa degli intellettuali. Si tratta di un testo classico sulla figura dell’intellettuale ed esprime su quella figura una posizione altrettanto classica. E’ stato uno dei testi più influenti a sinistra sulla questione, e a sua volta mostra l’influenza esercitata su di esso dal Sessantotto che era già nell’aria e che, come sostiene Pier Aldo Rovatti nella Postafazione, ne costituisce il vero centro. Che cosa vi si sostiene? Che l’intellettuale deriva la sua posizione e la sua azione dalla società nella quale si trova e, in seno a quella società, dalla classe che è dominante. Visto che la borghesia è la classe dominante della società almeno dalla Rivoluzione industriale, l’intellettuale è legato dunque a nodo doppio con la borghesia. Nel senso che aiuta la borghesia a conoscere, farsi conoscere, svolgere attività di vario tipo nel mondo. Nati dal chierico medievale e poi divenuti organici alla borghesia con gli illuministi, gli intellettuali sono dipendenti dalla borghesia che ne decide formazione, volto e funzioni: “specialisti della ricerca e servi dell’egemonia, vale a dire custodi della tradizione”.

Per Sartre, l’intellettuale è uno svelatore del mondo, ma fa questo mentre nega il mondo in una dialettica continua (nega con la sua critica il mondo, ma così pone un altro mondo, e attraverso la negazione disvela il mondo com’è). Quando assume i panni del marxista, Sartre attribuisce alla divisione del lavoro che si verifica nelle società industrializzate lo specifico ruolo che in esse occupa l’intellettuale: essere esperto della pratica. Sempre, l’intellettuale gioca fra universale e singolare: il singolare di quella specifica situazione storica in cui si trova, l’universale al quale attinge per comprendere la sua posizione e porsi degli scopi. Donde il titolo. Così, l’intellettuale è “il mostruoso prodotto di società mostruose” alle quali si poteva immaginare di porre fine con la società senza classi del futuro comunista.

Sartre ha rappresentato a lungo, in Francia e all’estero, l’intellettuale per definizione, in un’epoca in cui l’intellettuale poteva collocarsi solo a sinistra. E’ vero che la sua fama in Francia è scomparsa molto in fretta quando era ancora vivo (all’estero è andata in modo un po’ diverso) per lasciare il posto ai vari Barthes, Foucault, Derrida, Deleuze, Lacan che hanno occupato la scena e la occupano ancora con la loro eredità. Passato il Sessantotto e le sue onde più lunghe, parve necessario sbarazzarsi, oltre che di quel movimento, dell’intellettuale che vi era legato più di altri, che lo rappresentava in modo esemplare, un intellettuale-simbolo che di colpo appariva invecchiato e inattuale, che non aveva più molto da dire. In effetti, a rileggere oggi la definizione che dell’intellettuale Sartre offre, ciò che è accaduto non risulta incomprensibile. E’ una definizione, infatti, al tempo stesso troppo determinista e troppo filosofica, troppo legata a circostanze concrete e troppo astratta, troppo dialettica e troppo universalista, troppo hegeliana e troppo poco esistenzialista, troppo prescrittiva (chi ha detto che l’intellettuale prefiguri sempre la libertà? e tutti quelli, e sono molti, che hanno prefigurato la non-libertà?) e alla fine troppo rispettosa del potere che fa sì che l’intellettuale esista e faccia quel che fa. Per Sartre il potere coincide con la borghesia, e tanto basta: non indaga oltre, non va a vedere come questo accade e perché. Magari le cose sono più complicate, forse più confuse, sicuramente meno lineari di così.

J.-P. SARTRE, L’universale singolare. Saggi filosofici e politici 1965-1973, Milano, Mimesis 2009, pp. 243, euro 17