Sbloccare le riserve auree di Bankitalia è una via per rilanciare la crescita
07 Marzo 2011
Le riserve auree di Bankitalia fanno gola a tutti, soprattutto in periodi come questo. Furono le associazioni dei consumatori le prime a proporre di vendere i lingotti per ridare slancio all’economia attraverso il fondo di ammortamento del debito pubblico.L’idea di rivitalizzare sul mercato l’oro di Bankitalia fu accarezzata anche dal governo Prodi che, vittima della sua stessa fragilità, abbandonò il progetto sul nascere.
In piena crisi, nell’estate del 2009, fu la volta del Ministro Giulio Tremonti, che si scontrò con il muro eretto da Palazzo Koch, grazie anche all’aiuto della Banca Centrale Europea. L’idea era quella di una “golden tax”, una imposta una tantum di 300 milioni sulle riserve a bilancio. Questa possibilità si sciolse in un cavillo legislativo etero-imposto, che di fatto vincolava la golden tax ad un veto della stessa Banca Centrale.
A bussare alla porta di via Nazionale oggi ci sono le banche che si trovano a lottare contro il principio di ricapitalizzazione forzata imposto dall’austerità patrimoniale che ispira Basilea III. Intesa, Unicredit, BNL, Cariparma, Mps, i principali azionisti di Banca d’Italia, hanno proposto il market-to-market delle riserve auree, oggi iscritte a bilancio per un valore nominale di 156 mila euro. L’operazione dovrebbe portare il valore di tali immobilizzazioni finanziarie a 30 miliardi di euro, somma che utilizzando i criteri contabili Ias, le banche potrebbero iscrivere a bilancio, secondo le loro quote partecipative, al valore reale di mercato. In questo modo gli azionisti degli istituti di credito, in primo luogo le fondazioni, potrebbero soddisfare i requisiti di Basilea III, senza contribuire con ulteriori versamenti di capitale.
Intaccare le riserve d’oro della Banca Nazionale, pur con l’obbiettivo importante di aumentare la solidità patrimoniale dei nostri istituti di credito, è sempre un’operazione complessa. Palazzo Koch esprime molte riserve a riguardo. Non c’è dubbio infatti che la blindatura di tali riserve e la credibilità sui mercati internazionale siano fattori direttamente proporzionali.
Tuttavia è altrettanto chiaro che i benefici derivanti dall’aggiornamento del demanio aureo sono indiscutibili: oltre ad una ricapitalizzazione “gratuita del sistema bancario”, un’eventuale plusvalenza di 30 miliardi di euro, porterebbe nelle casse dell’Erario circa 10 miliardi, liberando risorse da utilizzare, si dice, per ridurre il debito pubblico.
Ma forse, lo sblocco di queste risorse, al di là di dar fiato ai conti pubblici, potrebbe essere fonte di una politica economica di sostegno alla crescita, guidata proprio da Palazzo Koch.
Bankitalia potrebbe vincolare il suo “si” al rispetto di una condizione: che le banche si impegnino a costruire prodotti finanziari ad hoc che supportino gli investimenti privati.
Un esempio virtuoso potrebbe essere un sistema di prestiti agevolati per finanziare investimenti privati nell’energia rinnovabile, uno dei terreni dove, con una politica economica di sistema, si può attivare una circolo virtuoso di crescita dei consumi, incremento dei livelli di produzione industriale, aumento dell’indipendenza energetica del nostro paese. Non ultimo si potrebbero efficacemente ridurre gli incentivi statali, oggi indispensabili, ma troppo onerosi.