Scalise racconta alla figlia come è diventato libero
20 Gennaio 2008
Un genitore, una figlia, una situazione non esattamente canonica. Il “lui”, dopo esordi etero, muta inclinazioni, la “lei”, si adegua, in fondo brillantemente. Il “lui”, Daniele Scalise, giornalista e saggista, dopo anni, decide di scrivere una lunga lettera aperta alla ex piccina (Lettera di un padre omosessuale alla figlia, appena uscito per i tipi della Rizzoli) ed è outing pubblico, autobiografia, narrazione commossa di un difficile, ma anche felice, travaglio. Così il quasi incipit: “Vorrei farti sapere che riconoscermi come omosessuale è stato per me un cammino impervio, oscuro e spesso contraddittorio, ma alla fine brillante e straordinario”. Sin da ragazzo, ricorda l’autore, “una voce interiore mi diceva: meriti di essere libero e felice, è un tuo diritto”. Ma la conquista di uno spazio autonomo e originale avviene per gradi. Fuori dall’“iter classico di molti omosessuali” predestinati “a una irrimediabile sterilità”.
Niente di meno lineare che amare una donna e con lei concepire addirittura un’erede. Niente di meno lineare che crescere in una famiglia, insieme bigotta e stimolante. Il padre, ex fiumano e giornalista conservatore che impone rigidissimi principe al menage (“la sessualità stessa, anche quella eterosessuale, era blindata in una cassaforte a cui nessuno di noi figli era autorizzato ad accedere”), ma che gli mette a disposizione la Recherche proustiana, in edizione originale e senza note, pronunciando le seguenti parole: “Leggilo quest’estate. E’ un capolavoro inestimabile anche se a scriverlo è stato un pervertito. Dio mi perdoni se faccio qualcosa di male mettendolo in mano, ma è una bellezza incarnata e credo che tu debba conoscerlo”.
Ancora di matrice letteraria il coming aut. Anno di grazia 1977. Contesto: una qualsiasi serata conviviale. Occasione: l’annuncio da parte del telegiornale delle venti della scomparsa del poeta Sandro Penna. Spunto incendiario la reazione del genitore, che pure conosceva e apprezzava il cantore de “i bei ragazzi dagli occhi legati”. Insopportabile in particolare la di lui sentenza: “Adesso quel perverso brucerà di sicuro nel fuoco eterno…”. Di quel momento Scalisce ricorda la rabbia incontenibile e lo sbotto: “Doveva sapere che quando parlava dei cosiddetti perversi parlava anche di me, di gente come me”. E’ rottura momentanea ma non chiusura definitiva. Anzi da quello sbotto in avanti in qualche modo la relazione cresce, acquista in verità.
Non a caso Scalise, ora a distanza di anni, si dice in possesso di una certezza, “di una piccola ma ferrea certezza, la certezza di essere amato”. Una convinzione grazie alla quale ritiene di aver coltivato l’idea forte “di essere una persona degna di vivere in maniera dignitosa”.
L’autore si segue anche nelle fasi successive alla scelta di campo. Si intrattiene in lungo e in largo sulla stagione del gay dichiarato.
Parla con estrema tenerezza della sua ex compagna. Ricorda dell’importanza della terapia (“una psicoanalisi che è durata dieci anni e che era destinata a sanare vecchie ferite, a far luce sui punti oscuri del mio inconscio”, ma soprattutto a dargli “una prospettiva”). E si sofferma ancora su molti altri aspetti: dall’impegno politico alla funzione spiazzante svolta dal femminismo, alla crescita dei vari movimenti omosex.
Ma variazioni e arricchimenti tematici a parte, quello che conta in fondo è il dialogare. L’intrattenersi, fitto fitto, con la sua creature e seguirne, passo per passo, formazione, crescita e così via. Verso la figliola, Scalise, si descrive, non senza qualche punta di civetteria, tenero e attento. Ma soprattutto molto affettivo.
Daniele Scalise, Lettera di un padre omosessuale alla figlia, Rizzoli, pagine 144, euro 15.