Scosse, frane, smottamenti: assicurare le case conviene per primo agli italiani

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Scosse, frane, smottamenti: assicurare le case conviene per primo agli italiani

27 Aprile 2009

I dati della protezione civile dicono che a causa delle catastrofi naturali, mediamente negli ultimi sette anni abbiamo avuto costi a carico dello Stato per oltre 4 miliardi e mezzo l’anno. L’Associazione nazionale fra le imprese assicuratrici, Ania, presieduta da Fabio Cerchiai, ha detto che se la copertura assicurativa dei rischi da catastrofe naturale fosse resa obbligatoria per tutti, il premio della polizza per un appartamento medio di 90-120 metri quadri costerebbe dai 100 ai 200 euro l’anno.

Presidente Cerchiai, davvero assicurare le case ci costerebbe solo 15 euro al mese e tutto sommato sarebbe un’operazione semplice?

Abbiamo calcolato quel costo e diciamo che allo stato attuale delle cose si può arrivare a una copertura assicurativa per questa tipologia di danni che sia di potenziale interesse per la collettività e sopportabile dal punto di vista economico. Ma si può fare soltanto se si riesce a garantire una mutualità complessiva tra abitanti in zone più esposte al rischio e meno esposte. Il Governo deve quindi valutare se esiste un interesse generale che giustifichi una obbligatorietà a stipulare queste polizze così come avviene in molti paesi Europei.

Da quale paese europeo si dovrebbe prendere esempio?

La Francia, che ha di fatto l’obbligatorietà contro le calamità naturali. Quel Governo, in un ambito di cooperazione tra pubblico e privato, ha stabilito che ci si deve assicurare entro certi limiti e con certi tipi di garanzie. E che per rendere accessibile questo tipo di costo per i cittadini è disponibile a esercitare un ruolo attivo, o meglio un doppio ruolo. Da un lato decide di dare agevolazioni di tipo fiscale – consentendo la detraibilità del premio di assicurazione consente il pagamento di una parte del premio – dall’altra resta attore, per comprimere i costi, nei casi di catastrofi naturali che superino livelli di particolare importo perché quelli sarebbero difficilmente sopportabili dal sistema assicurativo in senso lato. L’assicurazione contro le calamità naturali deve essere vista in un contesto di cooperazione pubblico-privato in cui lo Stato resta l’assicuratore di primo livello.

Ci faccia un esempio concreto.

Se noi immaginiamo di assicurare tutte le abitazioni civili con un premio corrispondente ai  150-180 euro, quindi dai 10 ai 15 euro al mese per singola abitazione (immaginando una casa di 100 metri quadri) e tenuto conto che le abitazioni assicurabili sono nell’ordine di 25 milioni, ne verrebbe fuori  un premio di circa 3 miliardi e mezzo. Eventi catastrofali che arrivano fino ai 6-7 miliardi potrebbero essere coperti per intero mentre quelli che superano quella cifra verrebbero coperti dallo Stato.

Cosa significa esattamente? E cosa ne guadagnerebbe lo Stato?

Che tutti gli anni l’organismo dello Stato creato per svolgere questo tipo di funzione incasserebbe una parte dei premi. Le compagnie di assicurazione retrocederebbero all’organismo una parte dei premi, che potrebbe a sua volta accantonare e poi avere disponibili all’occorrenza. Il modello adottato in tutta Europa (introdotto per primo dalla Francia) è un modello che ha una serie di virtuosità, oltre a quello di non dover dare la caccia agli stanziamenti quando capitano questi drammatici eventi, perché rientra  in una logica anche privatistica: si fa prevenzione. Si può prevedere per esempio che la compagnia di assicurazione risarcisca comunque l’assicurato in buona fede ma abbia il diritto di rivalersi nei confronti dell’eventuale costruttore in malafede in modo da attivare un meccanismo virtuoso che porti a prevenire i fatti. Il caso della California, del Giappone e di molti altri Paesi Ue dimostra che si può evitare che un terremoto così forte possa avere delle conseguenze drammatiche come è successo in Abruzzo. In questo senso  l’assicurazione può diventare strumento di risarcimento, prevenzione e di intervento finanziario.

Anche oggi però ci si può assicurare contro le calamità naturali.

Sì ma le imprese valutano caso per caso e i costi sono molto elevati.

Ma perché siamo così in ritardo?

Perché nel nostro paese abbiamo sempre fatto molta fatica a sviluppare un sistema cooperativo tra pubblico e privato. Noi siamo abituati a uno stato-mamma che garantisce molto a tutti. Il problema sta nella sostenibilità degli impegni. Ripeto: chi ha la responsabilità di governare il paese, che sia di destra o di sinistra, dovrebbe intervenire nell’emergenza e fare un intervento partecipando sia al gioco (tenendosi una parte dei rischi in una logica assicurativa) sia al costo (rendendo detraibile parte dei premi, quindi sostenendo una parte della spesa) con regole chiare e certe, mettendo i cittadini nella condizione di avere una copertura assicurativa sufficiente a condizioni economiche sostenibili.

E le regioni lontane dalle zone sismiche cosa ne guadagnerebbero? Perché per esempio la Sardegna, terra non sismica, dovrebbe affrontare una spesa di quel tipo?

Anzitutto pagherebbero meno rispetto alle zone più a rischio. Poi, noi parliamo della polizza contro le calamità naturali. La Sardegna per esempio è esposta al rischio frane. Il “pacchetto” non riguarda solo i terremoti. I fatti di questi giorni relativi agli smottamenti e alle frane che hanno colpito tutta la Penisola dovrebbero far riflettere.

Il terremoto in Abruzzo ha sconvolto un’Italia già appesantita dalla crisi.  Il settore assicurativo è stato compromesso o solo sfiorato?

Una via di mezzo. Dire che è stato solo sfiorato è sostanzialmente vero ma non trova riscontro nei conti economici dell’anno scorso, che invece presentano un impatto-crisi. Siccome però fondamentalmente è una crisi finanziaria e le compagnie sono toccate per la loro seconda componente industriale, che non è quella della gestione assicurativa ma quella della gestione finanziaria essendo il 90% degli attivi degli investimenti in obbligazioni o titoli di stato, sono perdite più contabili che sostanziali. E siccome sono tutti emittenti di primissima qualità non c’è alcun motivo per ritenere che tra 10 anni questi soggetti non saranno in grado di rimborsare il debito che hanno contratto e che noi abbiamo sottoscritto. Insomma, io ho una compromissione temporanea del mio conto economico e del mio reddito di esercizio del 2008 destinata a recuperarsi nel tempo. L’augurio è che la crisi resti finanziaria e non diventi industriale.

Avete bisogno di aiuti pubblici?

No. Il sistema della assicurazioni ha risentito dello tsunami come ogni altro settore ma è solido, quindi non ne abbiamo bisogno. Noi abbiamo mezzi patrimoniali che ci permettono di superare le conseguenze che vengono dalla crisi. Anzi, le dico la verità: con un po’ di comprensione e di irritazione guardiamo quel tipo di interventi che purtroppo alterano la concorrenza. Noi oltre a cavarcela con i nostri mezzi  oggi ci troviamo a fronteggiare concorrenti che ci fanno più concorrenza solo perché hanno avuto aiuti pubblici.

L’Assemblea è prossima. Com’è andata la gestione industriale?

La gestione industriale nel 2008 ha chiuso sostanzialmente in linea con l’anno precedente dovendo registrare dei decrementi nei volumi. Il ramo vita chiude con un decremento intorno al 12%, i rami danni chiudono senza incrementi. Il primo risente della caduta di sviluppo dei cosiddetti prodotti finanziari mentre abbiamo un sensibile incremento nei prodotti assicurativi tradizionali perché la clientela auspica di tornare ad avere garanzie. Quindi abbiamo un decremento voluminoso da una parte e un incremento significativo dall’altra. Purtroppo la crisi delle banche accentua il decremento dei prodotti finanziari perché quelli erano distribuiti dalle compagnie di bancassurance che sono quelle che registrano forti cadute.

Veniamo ai rami danni. Il 50% è Rc auto e l’altro è rami diversi (incendi, furti, infortuni). Questi ultimi crescono nell’ordine del 3%,  che a fronte di un tasso d’inflazione del 2% rappresentano un incremento reale in linea col passato. Decresce del 3,3% invece il ramo auto ma questo trend deriva dal fatto che la concorrenza fra imprese ha fatto diminuire il costo dell’Rc auto. Non è quindi una perdita di clienti.

Presidente, partendo dal presupposto che i rendimenti dei fondi pensione nel 2008 hanno risentito delle turbolenze dei mercati finanziari, quanti italiani hanno scelto lo strumento della previdenza complementare?

Molti di meno di quanto sarebbe stato auspicabile. Il fatto che la previdenza complementare sia finalmente decollata è un fatto positivo e rilevante ma il decollo è avvenuto con una serie di regole che secondo noi non dovevano esserci. L’impianto originario, quella della legge Maroni, prevede un indubbio vantaggio per i fondi negoziali perché non solo li favorisce con la norma del "silenzio assenso" (se sto zitto il mio Tfr finisce nel fondo, ndr) ma soprattutto prevede che il contributo del datore di lavoro sia obbligatoriamente destinato solo ad essi. Il che toglie agli altri attori della previdenza – fondi aperti e altri prodotti previdenziali delle compagnie di assicurazione – la possibilità di competere a regole uguali con i fondi negoziali. Il lavoratore che decidesse di andare a una fondo aperto deve trattare col suo datore di lavoro che il contributo gli sia dato anche per questa scelta mentre è automatico dall’altra parte. Inoltre, peggio ancora, non c’è il diritto al ripensamento, quindi la prudenza porta, nel dubbio, a restare dove si è. Insomma, le norme vanno riviste e crediamo ci siano tutti i presupposti per farlo.

Con quali tempi?

Subito.