Se al referendum vince il No non c’è il diluvio ma una riforma vera
16 Luglio 2016
Qualche settimana fa sono stato invitato a partecipare a un convegno sulle riforme all’Università Statale di Milano. Si è trattato di una iniziativa accademica di alto livello, organizzata da uno studioso di chiara fama, intellettualmente onesto, schierato per il Sì. Al termine del dibattito, nel corso del quale le argomentazioni del Sì e del No sono state messe a confronto, il promotore della giornata di studio ha fondamentalmente affermato che la riforma è sbagliata nel metodo e nel merito, ma che bisogna sostenerla per paura. Paura di ciò che potrebbe accadere al nostro Paese se venisse bocciata dagli elettori.
Mi sono chiesto: può mai un Paese darsi di fatto una nuova Costituzione (perché di questo si tratta, considerato il numero degli articoli interessati dalla riforma) per paura? Può darsi un nuovo principio di legittimazione per paura? Non è questo un Paese già sconfitto? Una Costituzione può essere manifestazione di forza e di vitalità, può essere una speranza, può essere un compromesso alto e nobile tra visioni antitetiche. Quel che proprio non è concepibile è che la Costituzione sia solo un antidoto alla paura.
All’evocazione di scenari apocalittici, tuttavia, i sostenitori del No hanno il dovere di dare una risposta. Devono essere in grado di dimostrare che alla bocciatura della riforma nelle urne non seguirà il diluvio. Devono convincere gli italiani a non avere paura. La proposta avanzata da Massimo D’Alema qualche giorno fa in un’intervista a La Stampa, che nei contenuti può essere emendata, va in questa direzione. Il ragionamento è lineare. In una recente stagione, l’articolo 81 della Costituzione lo abbiamo cambiato in sei mesi. Se al prossimo referendum vincesse il No, in un tempo analogo si potrebbero fare alcune cose molto semplici sulle quali non sarebbe difficile trovare un ampio consenso.
Per quel che ci riguarda, potremmo avanzare le seguenti proposte: ridurre il numero dei parlamentari; snellire il procedimento legislativo ispirandosi alla proposta di Leopoldo Elia (la cosiddetta “culla”) che nella maggior parte dei casi rende sufficiente una sola lettura parlamentare; infine, individuare una legge elettorale che agevoli la formazione di una maggioranza ma che non abbia pretese miracolistiche. In una situazione nella quale il tripolarismo è una realtà, non si può infatti trasformare un’elezione in una roulette russa.
Non a caso, da una prospettiva politica completamente diversa da quella di D’Alema e proiettata verso un ritorno alle urne più rapido possibile, queste tre proposte, non identiche ma simili alle sue, le si rintraccia nel documento conclusivo della prima riunione del coordinamento dei senatori di centrodestra per il No. A titolo personale ne aggiungerei una quarta: se il numero dei parlamentari venisse ridotto complessivamente a 600, si potrebbe prevedere alla prossima tornata l’elezione a suffragio diretto di una commissione per le riforme, dotata di una legittimazione autonoma rispetto alla sorte degli esecutivi e persino della legislatura. Dopo il fallimento delle bicamerali, delle deroghe all’articolo 138 abortite sulla linea del traguardo, e dopo gli esiti che definirei non felici della strada parlamentare, l’esperienza dovrebbe averci insegnato che quella di un’assemblea costituente è la strada maestra per approdare a riforme vere che facciamo compiere al nostro Paese un passo avanti e non due indietro.
(Tratto da Left)