Se anche Walter “sale sul predellino” l’accordo può diventare storico

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se anche Walter “sale sul predellino” l’accordo può diventare storico

03 Dicembre 2007

L’incontro tra Berlusconi e Veltroni
ha già sortito per entrambi dei risultati positivi. La conferenza stampa che al
termine dei colloqui ha tenuto il leader del Pd rappresenta la più esplicita
smentita dell’anti-berlusconismo pronunziata da sinistra. Paradossalmente,
proprio l’indeterminazione culturale di Veltroni le ha conferito credibilità e
persino spessore. Essa, infatti, non è stata veicolata né dall’arrogante
superiorità ideologica di un D’Alema né tanto meno dalla presuntuosa
superiorità morale di un Prodi. Si è proposta scarica da residui ideologici,
marxistici o dossettiani che siano. E, proprio per questo, in grado di produrre
conseguenze durature che potrebbero persino rappresentare un’insidia per il
centro-destra. Questo perchè Veltroni potrebbe essere in grado di captare il gradimento di quella larga parte dell’elettorato che se ne frega delle ideologie e che finora costituiva il bacino naturale e pressochè esclusivo del berlusconismo.

Se Berlusconi porta a casa una
legittimazione dal suo punto di vista storica, neppure a Veltroni è andata
male. Attraverso la conduzione degli incontri con le forze del centro-destra si
è accreditato come il vero leader della coalizione prima e oltre Prodi, al
quale ha inoltre comunicato i tempi massimi di permanenza a palazzo Chigi (12
mesi). Veltroni, in apparenza, ha fatto di tutto per non enfatizzare
mediaticamente l’incontro con Berlusconi attraverso una scrupolosa aderenza
alla regola della par condicio. Sotto
il buonismo la furbizia: lo ha fatto anche perché sapeva che quell’incontro
avrebbe comunque assunto un valore speciale. E che il confronto con l’unico
vero leader carismatico che calca la scena politica italiana, lo avrebbe naturalmente
trasformato in potenziale candidato ad occupare il medesimo ruolo sull’altro
versante dello schieramento politico: condizione necessaria (anche se forse non
sufficiente) affinché si possa dire che la rivoluzione del Pd sia servita a
qualcosa.
 
Fin qui i risultati politici accertati.
Da qui in poi viene il bello. E anche il difficile. Apparentemente la possibilità
che quell’incontro sia ricordato non solo come una brillante operazione ma
persino come un evento storico passa dal fatto che Pd e PdL riescano ad
approvare insieme una nuova legge elettorale. Ma dietro questa prova si
nasconde, in realtà, l’ardua ristrutturazione dell’intero sistema politico. Che
Berlusconi e Veltroni si ritrovassero su uno schema di riforma elettorale era,
infatti, scontato. Dal punto di vista sistemico perseguono, ormai, gli stessi
obbiettivi: creazione di due partiti a vocazione maggioritaria che,
collocandosi rispettivamente sulla destra e sulla sinistra, tendano entrambi
verso il centro; compressione dello spazio per le forze centriste (nel mezzo vi
sono gli elettori che i due partiti si debbono contendere e, per questo, non
possono esserci formazioni elettoralmente significative); affrancamento da
alleanze rese obbligatorie dalle disposizioni elettorali. In tal senso, ha
fatto bene Berlusconi a concedere il suo placet
allo schema Vassallo, relegando le correzioni che vi vorrebbe apportare al
lavoro degli sherpa (tra cui il sottoscritto). Ha così tolto alla controparte qualsiasi possibile
alibi.

Ma se è scontato che Pd e PdL si
ritroveranno sulla stessa proposta, è altrettanto certo che le loro forze non
sono sufficienti per farla approvare; come si dice in questi casi: serve
allargare la base parlamentare. Quel che gli si scatenerà contro, infatti, è stato
ben esemplificato dalle dichiarazioni rilasciate in questo fine settimana dai
rispettivi “alleati”: sospetti d’inciucio; riferimenti impropri alla legge
truffa; paragoni con i campi di rieducazione; minacce di sfaceli a breve al
cospetto dei quali i tifoni che periodicamente colpiscono le coste degli Stati
Uniti appaiono lievi brezzoline primaverili. Francesco Guccini, autore caro a
Walter Veltroni e alla sua “meglio gioventù”, avrebbe materiale per dedicargli
una riedizione dell’“avvelenata”: “se avessi previsto tutto questo: dati, cause
e pretesto”.

Come reagire? Serve duttilità tecnica
per adattare il Vassallum ma ancor di più, e ben oltre il testo della riforma,
avere chiaro l’obbiettivo finale al quale si mira. E, facendo leva sulla forza obbiettiva
dell’asse, trovare la forza per coinvolgere in esso la parte più ampia possibile
dei rispettivi alleati.

Dal punto di vista di Berlusconi, il
primo obbiettivo è quello di tenere saldo il suo rapporto con la Lega, perché
se il suo nuovo partito alleandosi con Bossi raggiungerà almeno il 38% diverrà
– come direbbero i francesi – inconturnable:
non vi sarà, cioè, nessuna riforma elettorale in grado di emarginarlo. Anche perché la
riedizione di un “milazzismo” in salsa terza repubblica è un sogno
antipolitico, coltivato da impenitenti nostalgici che diventano ogni giorno di meno. C’è poi da convincere Fini e Casini a svolgere ruoli distinti, in modo
da non far emergere la loro parte peggiore. Al primo sarà necessario chiarire
che la nascita del nuovo partito non fa venire meno la necessità di una formazione
di destra. E che questa forza non sarà affatto tagliata fuori dai giochi, evitando di far assurgere il bipartitismo a valore da garantire a priori. Se poi questa posizione dovrà
trovare posto in un partito unico o esprimersi autonomamente è questione
importante ma secondaria. Il secondo, invece, bisognerà convincerlo a cooperare
all’edificazione di un sistema centrista, piuttosto che alla nascita
dell’ennesimo fallimento di centro. La capacità di agganciare il nuovo partito
alle vicende del PPE, a tal fine, sarà decisivo. Ma, ancor più, sarà
determinante la sua capacità di non cedere alle sponde che certamente gli
verranno da sinistra, nella prospettiva di far scadere tutta l’operazione a una
mera riedizione del centro-sinistra di vetusta memoria e da impenitenti
costruttivisti moderati stile Tabacci.

Se le rose di Berlusconi presentano
delle spine, chi però rischia però realmente di pungersi è Walter Veltroni. Il
rischio maggiore è agevole da comprendere: tra lui e la riforma elettorale che
vorrebbe c’è di mezzo la sopravvivenza del governo Prodi. Il pericolo di fondo,
invece, si riferisce sia all’indisponibilit%C3