Se Blair s’è trasformato da principe in ranocchio è anche opera di Polanski

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Se Blair s’è trasformato da principe in ranocchio è anche opera di Polanski

11 Aprile 2010

A distruggere l’immagine di Tony Blair, primo ministro inglese laburista dal 1997 al 2007, è stata la scelta di combattere la guerra per rovesciare Saddam Hussein al fianco dell’America di Bush.  Da quel momento la stella più lucente del socialismo postmoderno si è trasformata in una patacca ossidata da relegare, nel tempo più breve possibile, nella discarica della storia.

La più amata delle icone del progressismo europeo, ha compiuto il percorso inverso del Principe Azzurro, trasformandosi in un ranocchio. La guerra in Irak si è rivelata una macchia troppo estesa e profonda per essere cancellata. I giudizi su Blair così sono diametralmente cambiati. Il genio, il giovane, il ballerino perennemente sorridente, il seduttore, l’attore consumato, il re dell’oratoria, l’abile stratega, hanno lasciato il posto a ben altri ritratti e commenti. Il fuoco di fila all’indirizzo dell’inquilino di Downing Street, si è concentrato senza sosta. Ed è stato soprattutto fuoco amico.

La distruzione del volto ottimista e vincente del socialismo europeo ha visto impegnati in prima fila proprio coloro che avevano contribuito a creare il mito. In realtà il perenne giovane Tony altro non era che una variante rock di Dorian Gray. Un mostro dalla doppia faccia: convincente e amichevole in pubblico; violenta e intrigante in privato. Se tutto ciò può apparire un’esagerazione, è sufficiente vedere il nuovo film di Roman Polanski "L’uomo nell’ombra" (The Ghost Writer), fedele traduzione per immagini del romanzo di Robert Harris The Ghost, uscito nel 2007. Il film racconta la storia di uno «scrittore ombra» chiamato a rivedere le memorie di un ex primo ministro inglese. Il politico vive negli Stati Uniti, in un’isola inespugnabile, col cielo cupo e il vento perennemente minaccioso. La casa sull’oceano è splendida, moderna e tecnologica. Ha uno staff efficiente e freddo, un jet privato, un esercito di guardie del corpo. Il posto di revisore del melenso manoscritto si è reso vacante, a causa della morte imprevista e misteriosa di un giovane collaboratore. Il nuovo arrivato, intelligente scrittore (Ewan McGregor), da revisore di testi si trasforma in detective. Perché? L’ex primo ministro Adam Lang (Pierce Brosnan), messo alla porta dalla politica senza troppi rimpianti, non solo è accusato dal suo ex ministro degli Esteri di aver commesso crimini contro l’umanità (avrebbe autorizzato il rapimento di alcuni presunti terroristi musulmani, successivamente torturati: per questa ragione un tribunale internazionale intende processarlo), ma ha un passato oscuro. I fantasmi di tale passato si chiamano Stati Uniti e CIA. Loro hanno costruito, contando anche sull’abilità della moglie di Adam (Olivia Williams), la carriera del laburista vincente. E ne hanno avuto in cambio ripetuti favori. Un personaggio nel film ricorda come Lang abbia sempre preso decisioni a favore degli americani.

Somiglia a qualcuno Adam Lang? Domanda un po’ retorica, visto che la risposta è scontata: Tony Blair. Lang è laburista, ha un tratto fisico accattivante, voleva fare l’attore, ha studiato in una prestigiosa università inglese, ha una moglie determinata e influente. A fugare ogni residuo dubbio sulla vera identità del politico, è la sua partecipazione alla guerra in Irak, come vediamo sugli schermi della CNN. Dunque trattasi di Tony Blair. Il cinema generalmente non ama mettere in croce, o sbertucciare gli eroi progressisti della contemporaneità. Preferisce sparare, a ripetizione, su Nixon o Bush. Blair rappresenta  una stupefacente eccezione.              

Il film di Polanski si basa su una certezza: la partecipazione alla guerra di Blair non fu dettata da una libera scelta, ma il prezzo pagato agli americani per gli aiuti ricevuti. Naturalmente questa è propaganda. In realtà la decisione assunta da Blair di partecipare alla «guerra preventiva» dell’amministrazione americana, ha molteplici  spiegazioni. Innanzitutto i reali interessi geo-politici dell’Inghilterra; poi le logiche delle alleanze diplomatiche, o le tradizioni storiche (nel Novecento i «fratelli» americani due volte sono venuti in Europa per combattere i nemici degli inglesi). Sicuramente nella scelta influirono anche orientamenti religiosi. Bush era un «rinato» protestante, Blair un anglicano. Il primo deve il suo personale «risveglio» all’incontro con il reverendo evangelico Billy Graham, un’autorità morale di grande statura, consigliere spirituale di molti presidenti, tra cui Bill Clinton. Il secondo, brillante studente oxfordiano, deve all’incontro con un pastore iconoclasta venuto dall’Australia, Peter Thomson, la curiosità per la lettura del Vangelo. Sono dunque due religiosi ad aver incamminato Bush e Blair sulla via della meditazione della Bibbia.

Quando si è trattato di cambiare strategia politica contro il terrorismo internazionale e intraprendere la guerra per abbattere il regime di  Saddam Hussein, i due si sono trovati sulla stessa linea d’onda. Ciò può essere sul piano storico considerato un errore strategico, una miope decisione. Ma il film di Polanski trasforma la materia in un complotto, con gli americani impegnati a muovere i fili della politica inglese contando sull’immoralità dei loro governanti: anzi, del più brillante e intelligente, nonché moderato e moderno, dei laburisti saliti al potere.     

Lo scorso anno Blair venne bocciato come possibile guida dell’Europa. I più ostili avversari si dimostrarono i socialisti, soprattutto inglesi. Blair non è più una risorsa laburista, ma un fardello imbarazzante. Innanzitutto per l’appiattimento alle strategie degli americani. Il film di Polanski, appena viene ufficializzata l’inchiesta contro Adam Lang, mostra i più alti esponenti politici americani (tra cui il duplicato di Condoleezza Rice) che si affrettano a riceverlo e a difenderlo pubblicamente. Inoltre Lang negli Stati Uniti non verrà mai estradato, come ci viene ricordato maliziosamente, alla pari della Cina o di altri paesi africani, dove il rispetto dei diritti umani è carta straccia.

Ma c’è un secondo elemento chiave per spiegare le ostilità scaricate dalle élite progressiste europee nei confronti di Blair: la «cristofobia». Blair dalla fede anglicana è passato al cattolicesimo, per ragioni familiari, essendo cattolica la famiglia della madre e la moglie Cherie Booth. La tradizione di questa migrazione è lunga e ricca di figure di grande prestigio. Salito al potere dopo il lungo governo conservatore di Margaret Thatcher prima e John Major poi, Blair non ha rinnegato le idee laburiste, ma le ha molto annacquate. La sinistra europea si è divisa sul suo ruolo. Per alcuni è stato il conservatore con la maschera da socialista. Altri invece, pochi in verità, più realisticamente, lo hanno considerato un riformista coraggioso e determinato, capace di coniugare gli ideali progressisti ad una visione pragmatica della politica economica e delle relazioni internazionali. Il New Labour appena ha potuto lo ha disarcionato, preferendogli il successore da troppo tempo designato, Gordon Brown. 

Poco dopo aver abbandonato la guida del governo laburista, Tony Blair ha reso pubblica la conversione al cattolicesimo. Da quel momento l’amico di Bush è diventato l’amico di Benedetto XVI. Avere alla guida dell’Europa un socialista anomalo e soprattutto papista era impensabile. A metterlo fuori gioco è stata la «cristofobia» europea. La preoccupazione che un cattolico di saldi convincimenti potesse guidare l’Europa ha spaventato non tanto i conservatori, troppo spesso distratti, ma la sinistra progressista, sempre vigile nell’opposizione al cristianesimo. La sinistra europea a Blair preferisce politici come Romano Prodi o José Manuel Barroso, malleabili su questioni di fede, come hanno dimostrato svolgendo il loro mandato. Consegnare a Blair le chiavi della politica europea, date le troppe questioni etiche sulle quali l’Europa si pronuncerà negli anni a venire, tutte questioni che in linea di principio dovrebbero trovare l’opposizione dei cattolici, e che sicuramente si sconteranno con l’ostilità della Chiesa di Roma, è un rischio troppo grande per i progressisti europei.

A scatenare violentemente la «cristofobia» europea, negli ultimi due decenni, è stato il ruolo svolto da Giovanni Paolo II. Essenzialmente per tre motivi. Innanzitutto la lotta al comunismo da lui condotta sino alla caduta è un peccato che la cultura di sinistra non gli ha perdonato. È vero, il comunismo è imploso. Ma la prima decisiva spallata al sistema l’assestarono i polacchi. Una ribellione autenticamente popolare, sostenuta dal pontefice polacco. Inoltre Giovanni Paolo II è stato ritenuto portatore di un sistema valoriale inconciliabile con la cultura  del Sessantotto. E visto che i leader del Sessantotto dalle barricate in strada di ieri sono comodamente approdati ai vari parlamenti europei di oggi, l’ostilità al cristianesimo è aumentata di intensità. Alle ultime elezioni europee, per fare un solo esempio, una clamorosa vittoria è stata riportata in Francia dal leader sessantottino Daniel Cohn-Bendit. Infine il papa polacco è stato capace di radunare masse giovanili sempre più straripanti e felici. È superfluo ricordare le scudisciate polemiche di Oriana Fallaci contro la miopia dei politici europei, e il suo significativo e polemico avvicinamento, non per questioni spirituali ma culturali, al cattolicesimo, ritenuto dalla scrittrice toscana l’unica entità morale rimasta a difendere l’identità dell’Europa.

No, davvero. Tony Blair è troppo ingombrante. Meglio passarlo nel tritacarne. Esiste un tritacarne migliore di un lungometraggio, modellato  dalle mani di un regista venerato e protetto come Roman Polanski? A vedere L’uomo nell’ombra si direbbe  proprio di no.