
Se calano i nati e chiudiamo i punti nascita non andremo lontano: il caso di Termoli (e del Sud)

28 Giugno 2019
di Carlo Mascio
Solo pochi giorni fa sul web circolavano i dati del rapporto annuale dell’Istat relativi alle nascite in Italia: “il declino demografico è dovuto al saldo naturale sempre più negativo per effetto della diminuzione delle nascite e dell’aumento tendenziale dei decessi; secondo i dati provvisori relativi al 2018 sono stati iscritti in anagrafe per nascita oltre 439 mila bambini, quasi 140 mila in meno rispetto al 2008, mentre i cancellati per decesso sono poco più di 633 mila, circa 50mila in più”. Chiarissimo: non si fanno più figli.
I motivi sono diversi: chi ha semplicemente paura di crescere, chi aspetta “il momento giusto” (che non arriverà mai, se si ragiona così), chi è preoccupato (giustamente) di come “mantenere” il figlio o i figli. Tutte ragioni rispettabili ma che hanno una radice comune: si ha sempre meno fiducia del futuro. Si ha paura del futuro.
Ecco perché di fronte a tutto ciò crea un certo sdegno e sconforto la notizia che l’ “arma” che si usa per combattere la denatalità è, per assurdo, la chiusura dei punti nascita. Un controsenso spaventoso. Così come accade a Termoli, cittadina del basso Molise. Il punto nascite dell’Ospedale San Timoteo, riferimento per tantissimi comuni del circondario, chiuderà i battenti fra pochi giorni. Le future mamme dovranno fare molti kilometri in più per poter partorire, correndo tutti i pericoli che una distanza maggiore potrebbe comportare soprattutto per le gravidanze a rischio.
Non solo. Viene da chiedersi se una regione come il Molise, già alle prese con lo spopolamento dei piccoli borghi, veri gioielli mai valorizzati come si doveva, e con il lavoro che non si trova, anche a causa della chiusura di fabbriche che fino a pochi anni fa davano da mangiare a centinaia di famiglie, possa permettersi il “lusso” di chiudere anche il punto nascite più importante della zona.
E’vero: ci verranno a dire che i medici non ci sono e che le nascite non erano tali da permettere di mantenere a regime la struttura, ci verranno a dire che non c’erano le condizioni di sicurezza necessarie, ci verranno a dire che la sanità ha buchi enormi e che quindi bisogna rientrare dal deficit, ci verranno a dire che queste opzioni sono le uniche ragionevoli. Ma alla fine resta una certezza, amarissima: manca del tutto una politica nazionale a favore delle nascite e della famiglia. E’ questa la verità. Se ci fosse, i punti nascita dell’intero Sud (perché il problema è di tutto il mezzogiorno) andrebbero difesi con le unghie e con i denti, perché considerati parte di una politica che mette al centro il futuro. Le politiche funzionano se hanno obiettivi ben chiari: se le azioni sono finalizzate a rientrare dal deficit piuttosto che favorire le nascite e combattere lo spopolamento, è chiaro quale sia la politica retrostante.
Per questo, se la chiusura è frutto di un mero rispetto delle regole, conta ben poco. Le norme sono solo espressione di una volontà politica. Se si vuole favorire la natalità e potenziare i punti nascita, il modo, a tutti i livelli, si può trovare. Ecco perchè il Governo, che più volte si è detto vicino ai bisogni delle famiglie e soprattutto attento al calo delle nascite, ora più che mai deve dimostrare che dalle parole si passi effettivamente ai fatti: gli slogan, dopo un po’, se li porta via il vento. I dati sulle nascite, no. Quelli restano.