Se cambia il sistema fiscale cambia anche il modo di fare politica

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Se cambia il sistema fiscale cambia anche il modo di fare politica

23 Gennaio 2009

Il vascello del federalismo fiscale continua la sua navigazione in Parlamento e il dibattito su i suoi effetti e costi si accende.

La domanda ricorrente è: quanto ci costerà. La risposta è ancora lontana e difficile da articolare fintanto ché non verranno definiti meglio dettagli cruciali del progetto. Resta ancora più indeterminato l’esito dell’intera iniziativa: sarà il nuovo sistema in grado di fornire servizi pubblici di migliore qualità, ridurre i costi, eliminare le inefficienze?

Certo è che il successo dell’iniziativa dipenderà dalla misura in cui il meccanismo che uscirà dalla penna del legislatore sarà in grado di correggere la anomalia più vistosa del nostro sistema fiscale: la pressoché completa dissociazione tra la facoltà di spendere soldi pubblici e la responsabilità di reperire le risorse per finanziare tali spese; la così detta finanza derivata. L’anomalia – un unicum tra i grandi paesi industriali – è evidenziata da questi pochi dati.

Nel nostro paese la spesa pubblica – escluse pensioni e interessi – per il 47 % è di competenza degli enti territoriali e per il restante 53 % dello Stato; per quanto riguarda le entrate invece gli enti raccolgono appena il 18 % e lo Stato il restante 82 % degli introiti. Il finanziamento delle spese degli enti è per la più parte finanziato da risorse “derivate” dallo Stato. In soldoni: gli enti territoriali spendono circa 200 miliardi di euro all’anno, ma di questi 200 miliardi lo Stato gliene rimborsa a piè di lista circa 160 e per i restanti  40 miliardi gli enti si attivano per raccoglierli sul territorio. 

E’ evidente che con tale meccanismo la responsabilità politica è debolissima. Per il politico locale che deve raccogliere consenso l’incentivo è tutto a favore dell’aumento della spesa a discapito della qualità e del contenimento costi.

Nel modello federale per eccellenza, quello americano delle origini, la gran parte della spesa pubblica e insieme della tassazione avveniva a livello locale. Purtroppo storicamente si è determinato un processo di crescente concentrazione del potere impositivo a livello centrale. La spiegazione di tale fenomeno, secondo la teoria delle public choices, è che gli stessi politici locali abbiano avuto interesse a spingere la tassazione nelle mani del Governo federale americano per “spalmare” l’onere sull’intera popolazione rendendolo meno visibile (“illusione finanziaria”), ma conservando il potere di spesa a livello locale e quindi la gestione del consenso elettorale. Il risultato? Una crescente spesa pubblica, come ben documentato da Roland Vaubel che rileva come, in stati unitari quanto in stati federali, il crescere del livello della centralizzazione impositiva storicamente si è accompagnato con il crescere del livello della spesa.

La sfida cruciale quindi nel mettere a punto il nostro modello federalista sarà di ripristinare quanto più possibile la responsabilità fiscale a livello locale. Ciò consentirà di instaurare un efficace controllo dell’elettorato sull’ammontare e la qualità della spesa pubblica e di realizzare un’effettiva “concorrenza” tra amministrazioni virtuose per offrire ai cittadini servizi pubblici migliori a costi più convenienti.