Se Erdogan fa il bullo con l’Italia (ma governo e Ue se ne stanno in silenzio)

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Se Erdogan fa il bullo con l’Italia (ma governo e Ue se ne stanno in silenzio)

12 Febbraio 2018

L’Europa di giorno in giorno è sempre più un’espressione geografica (e non parliamo dell’Italia). L’unica soluzione? Un bel voto atlantico il 4 marzo. Una piattaforma dell’Eni ha dovuto interrompere il viaggio verso Cipro, fermata dalla Marina turca. Lo ha reso noto il ministro degli Esteri cipriota”. Così una nota del sito on line del Tgcom del 10 febbraio. Distratti da Sanremo e Macerata, il governo e anche i media italiani registrano con pigrizia un gesto drammatico e prepotente come quello turco di far fermare nelle acque di un altro paese sovrano, Cipro, un convoglio civile italiano. Leggiamo sul Corriere della Sera del 12 febbraio un trafiletto a cura di Monica Ricci Sargentini che scrive: “Ieri la Farnesina ha fatto sapere di star ‘esperendo tutti i possibili passi diplomatici per risolvere la questione’”: una perfetta descrizione dello sbando e della inettitudine del governo in carica. La Repubblica, sempre del 12 febbraio, almeno dedica all’avvenimento due pagine, ma il succo della filosofia  largofochettiana è riassunto da Gianluca Di Feo: “Quella che sta emergendo dagli abissi del Mediterraneo è una colossale opportunità”: ecco un’ennesima conferma di come l’irenismo politically correct è incapace di cogliere i duri nodi della storia e di riflettere su come affrontarli. In questo contesto è naturale che quella irresponsabile della “nostra” (italiana ed europea) Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, non abbia ancora trovato modo di aprire la bocca. Di fatto siamo di fronte alla seconda gravissima provocazione di Recep Tayyip Erdoğan (Peraltro ci piacerebbe sapere: è ancora nella Nato? E’ quello stesso che ha incontrato qualche giorno fa Paolo Gentiloni? E’ vero che aveva avvertito il nostro premier che avrebbe bloccato l’Eni nei mari della Cipro turca? Abbiamo deciso di liquidare la grande società fondata da Enrico Mattei secondo i voleri di quella borghesia compradora di cui scrivo in un’altra nota?). Nelle settimane scorse, infatti, il presidente turco aveva anche spiegato di voler denunciare i trattati di Losanna del 1922 e di rivendicare alcune isolette greche ormai da 96 anni. E ora fa il bullo con una nostra nave. Tutti questi sono  i frutti della mediocrità di Angela Merkel, della sua delirante dichiarazione sul fatto che non si fida più degli Stati Uniti, del suo surrogare con il pur benedetto commercio, la magari maledetta ma insostituibile politica. E un’altra parte della colpa spetta alla velleità di Emmanuel Macron che fa finta di essere dotato di un adeguato deterrente militare per affrontare le terribili sfide di quello che una volta si chiamava l’Occidente. Speriamo che il 4 marzo ci porti un governo che torni a essere veramente atlantico (dando due soldi alla Nato: che sarebbero ben spesi), che smetta di mogherineggiare, e che su queste basi avanzi poi una realistica proposta di una vera Unione europea (cioè atlantica e non meramente commercial-carolingia).

Bene la lotta di Mauro contro la subalternità al senso comune. Ma con chi ce l’ha? Subalterni al senso comune, suoi replicanti” in un appassionato editoriale sulla Repubblica del 10 febbraio Ezio Mauro spiega come non si possa partecipare alla discussione pubblica senza avere criteri di orientamento valoriali autonomi. Un unico dubbio: ce l’ha con Matteo Renzi o con Mario Calabresi?

Schulz si sacrifica personalmente per salvare la Grande coalizione, un beau geste che potrebbe però essere un’ulteriore passo verso la disgregazione politica sua e più  generale. “Social Democrat boss Martin Schulz said he will not serve as foreign minister in Germany’s new government after coming under intense pressure from his party to give up the role and so save the grand coalition with Angela Merkel’s conservatives. The move defuses a crisis that was threatening to rip the SPD apart, just as its 460,000 members prepare to vote on whether to approve the coalition agreement the party clinched this week with the conservative CDU/CSU bloc” Guy Chazan sul Financial Times del 9 febbraio spiega che Schulz ha rinunciato a fare il ministro degli Esteri perché si stava dividendo il partito e si rischiava di perdere il referendum sul fare o no la grande coalizione, in cui sono coinvolti 460 mila iscritti alla Spd. Naturalmente la notizia farà piacere a quelli (quorum ego) che poco amavano lo screanzato insultatore di Silvio Berlusconi in una famigerata sessione del Parlamento europeo, ma a parte le piccole soddisfazioni, è impressionante come la Grande bottegaia di Berlino proceda senza nessuna apprente consapevolezza dei guasti che sta producendo anche al tessuto democratico di casa sua (dopo aver ben ben danneggiati quelli di tante realtà del Vecchio continente).

Ci sono  nuove indagini e c’è una borghesia compradora. “C’è una rete di toghe a libro paga che pilotava i processi” scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera del 7 febbraio. “Tutti i protagonisti dell’arbitrato fanno riferimento ai circoli che concordavano sentenze e guadagni con toghe compiacenti” di Gianluca Di Feo. Così si esprime la rete di aggiunti procuratori, che affollano da dopo il 1992 le redazioni dei nostri giornali. In primo piano episodi assai diffusi di corruzione in diverse procure e tribunali. Accuse credibilissime: un potere (formalmente un “ordine”) sempre più irresponsabile inevitabilmente sviluppa al suo interno forme di corruzione (sia pur limitate date le tante aree ad alta professionalità della categoria) ora materiale, ora morale, del tipo di quelli che vogliono condizionare la politica, l’economia e lo Stato, invece di svolgere il proprio ruolo (che sarebbe indispensabile fosse separato) di inquisitori o di giudici. Ma va notato anche come sotto le probabilmente fondate accuse di corruzione materiale di certe toghe, si riproponga pure un attacco a un’Eni che peraltro da qualche anno è ipervigilata da un’insuperabile lente di ingrandimento di procure e polizie giudiziarie di ogni tipo. Non si riesce bene a capire quale sarebbe l’accusa rivolta al’Ente nazionale idrocarburi. Così, ad esempio, leggendo Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera del 7 febbraio: “Armanna sollecita Amara (in teoria semplice avvocato esterno dell’Eni) a far intervenire Mantovani”. La descrizione dei reati è vaga, però la campagna – da tempo peraltro avviata – contro il cane a sei zampe, è evidente. Ed è difficile dissentire da Giulio Sapelli quando in un’intervista a Formiche del 9 febbraio dice: “Sarebbe aberrante immaginare zone di impunità, che peraltro nessuno chiede. Quello che inquieta è il cortocircuito mediatico. Ricordo, per fare un esempio, che l’ingegner Guarguaglini, che più di un celebre giornalista ha perseguitato, non ha mai ricevuto un avviso di comparizione davanti al magistrato. Ciononostante, sotto il peso dei professionisti dello scandalismo, ha dovuto dimettersi da Finmeccanica. Da allora il colosso della difesa italiana ha avviato un processo di gravissimo ridimensionamento. L’inizio della fine è avvenuto senza che ci sia mai stato neppure un avviso di garanzia”. Pier Francesco Guarguaglini, Giuseppe Orsi e non vanno dimenticati due manager come Silvio Scaglia e Stefano Parisi anche loro azzoppati (e poi assolti) quando cercavano di consolidare una realtà largamente italiana anche se controllata da Swisscom. Casi assimilabili riguardano  poi eroi nazionali molto insistentemente perseguiti (naturalmente, suppongo, in buona fede) dalla magistratura come Guido Bertolaso e il povero, fantastico generale Mario Mori, e d’altro verso più precisamente perseguitati dal citato circuito mediatico. Tutti questi episodi hanno come soggetti sicuramente il protagonismo di alcuni magistrati (talvolta, ribadisco, in assoluta buona fede), e un sistema mediatico drogato di scandalismo giustizialista, ma poggiano anche su una base materiale d’influenza, quella offerta da una sorta di borghesia compradora italiana: cioè tipo i “borghesi” latino americani o quelli cinesi di inizio secolo che svendevano le capacità produttive delle loro nazioni, per arricchirsi personalmente. Sarebbe ingeneroso considerare perfettamente esponenti o organizzatori di questa evocata borghesia compradora Romano Prodi (con i suoi amichetti in Eni e Leonardo), la bandina (definita magistralmente cricca di strapaese da Rino Formica) dello sbandato Matteo Renzi, la ditta ora in via di scioglimento Montezemolo&Calenda, la boutique Carlo Debenedetti. Però qualche tratto “compradore” pare talvolta emergere in alcuni di questi personaggi. Il problema per contrastare queste tendenze non è osteggiare l’apertura dei mercati, ma è quello nittiamente –secondo la lezione di Enrico Cuccia, peraltro banchiere ben “aperto” all’estero francese e americano – di difendere un nucleo di grande imprese italiane che sorregga l’insieme dello sviluppo industriale. Non dico di fare come le non sempre cristalline società tedesche tipo Deutsche Bank e Volkswagen, ma almeno come le borghesie nazionali francesi, inglesi e spagnole.