Se Gheddafi usa gli sbarchi è perché ha paura della piazza

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Se Gheddafi usa gli sbarchi è perché ha paura della piazza

17 Febbraio 2011

La Libia potrebbe essere il prossimo regime a finire travolto dalle proteste che esplodono nel Maghreb. Ma il controllo del regime di Gheddafi sui flussi migratori verso l’Italia e l’Europa sono una variabile che complica la situazione.

Per evitare l’esplodere delle proteste contro Gheddafi, la Libia avrebbe aperto il suo confine con la Tunisia a folle di dissidenti, evasi dalle carceri e semplici disperati per lasciarli emigrare clandestinamente verso Lampedusa, in palese violazione degli accordi con l’Italia per il controllo dei flussi migratori. Questa analisi era stata pubblicata in un articolo di Repubblica del 16 febbraio e attribuita al prefetto Giorgio Piccirillo, direttore dell’Aisi, l’agenzia italiana di intelligence interna. Ma nello stesso giorno Piccirillo ha smentito questa versione. Nonostante ciò la situazione a Tripoli resta molto critica e i flussi dei clandestini diventano una risorsa politica per consentire al regime del Colonnello di allentare la rabbia popolare contro la sua autocrazia.

Infatti aprire la valvola dei flussi migratori clandestini potrebbe essere la strategia di Gheddafi per evitare di essere il terzo leader arabo, dopo Ben Alì in Tunisia e Mubarak in Egitto, a finire spodestato dai tumulti popolari che divampano tra Maghreb e Medioriente. La minaccia per Gheddafi non è soltanto l’effetto congiunto dei moti di Tunisi e del Cairo, che stringono in una morsa i due lati della Libia. La novità è che anche dall’interno del paese si stanno accendendo focolai di rivolta che, combinati alla situazione dell’intera regione, possono scatenare un’ondata di proteste fuori controllo.

La geografia è un fattore chiave. Non solo per individuare le rotte dei clandestini che attraversano la Libia dal Sahara per risalire verso le sue coste mediterranee e tentare di salpare per le coste italiane. La geografia individua anche i punti deboli del regime di Gheddafi. Da Bengasi all’intera Cirenaica, sono numerose le sacche di tenace resistenza contro Gheddafi. Proprio a Bengasi il 16 febbraio la folla sarebbe scesa in piazza per manifestare contro il Colonnello, incontrando la durissima repressione della polizia. Le notizie di questi scontri sono presenti online solo grazie ai pochi filmati prodotti dagli stessi manifestanti, che mostrano le violenze commesse dalla polizia. I media ufficiali si concentrano esclusivamente sulle iniziative di sostegno a Gheddafi.

E’ solo l’inizio. Per il 17 febbraio la Libia si prepara a manifestare nella “Giornata della collera libica”. Anche qui internet diventa uno strumento di lotta politica e come altrove i severi divieti di usare Facebook e i social media per contestare l’autorità e organizzare manifestazioni sono sempre più ignorati. Come per El Baradei in Egitto, anche la Libia potrebbe aver già trovato una specie di nobile patrono della contestazione – Khalifa Haftar, anche lui un colonnello come Gheddafi, che dopo un’infruttuosa carriera militare per servire le ambizioni del leader di Tripoli, è diventato un suo acerrimo nemico. Però Haftar è una figura semi sconosciuta, vive in esilio e di lui si hanno pochissime notizie, anche online, a parte qualche ombra sulle sue presunte affiliazioni alla Cia con l’unico scopo di detronizzare Gheddafi per via militare.

Il regime di Tripoli è davvero sull’orlo di una crisi irreversibile? Finora la storia ha dato ragione ai metodi brutali del Colonnello, spregiudicato nelle sua alleanze internazionali e senza scrupoli nello stroncare con la violenza ogni sommossa interna. Ma questa volta è diverso perché è una crisi che colpisce un’intera regione, il Maghreb, e per quanto diversi siano i regimi di Tunisia, Libia ed Egitto, sono tutti accomunati da due fattori comuni: un capo dello stato autocratico e una situazione economica insostenibile – come dimostra il continuo calo del prezzo del petrolio, l’ossigeno che tiene in vita la fragile economia libica.

Per ora l’ultima mossa propagandistica di Gheddafi è inneggiare i palestinesi a lasciare i campi profughi e marciare pacificamente sulla Palestina. E’ un modo un po’ goffo di recuperare una leadership delle folle e delle piazze che sembra stabilmente in mano agli oppositori, non solo di Gheddafi. In questa situazione così instabile a Gheddafi non resta che impugnare la leva dei flussi migratori e minacciare l’Europa di un’invasione massiccia. A meno che l’Europa si attivi e, a differenza di Ben Alì e Mubarak, tenga in piedi il regime di Gheddafi.