Se i figli degli immigrati hanno accesso agli asili e i nostri no qualcosa non va
06 Giugno 2008
Ci risiamo: come ogni anno migliaia di famiglie di lavoratori italiani si sono viste respingere le domande d’iscrizione alle scuole materne a favore di immigrati. Il fenomeno ha del pazzesco, perché ha dimensioni tali, è talmente fuori controllo che crea una situazione abnorme. I lavoratori italiano sono infatti costretti a sobbarcarsi di fatiche e lavoro in più per riuscire a trovare posti in asili lontanissimi da casa, mentre gli immigrati mandano i loro figli in classi che si possono definire demenziali.
La Cronaca di Milano del Corriere di lunedì scorso riporta i dati di tre asili milanesi da cui risulta che nell’asilo di via dei Narcisi i bambini stranieri saranno 50 su 67, in quello di via Carnia 15 su 29, in via S. Mamete 13 su 26. La ragione di questa palese ingiustizia è ovvia: sul piano formale le famiglie straniere hanno redditi minori e quindi scavalcano gli italiani nei punteggi. Ma è possibile che le ammissioni siano ancora oggi stilate secondo criteri che prescindono da questo drammatico problema? E’ possibile difendere davanti a lavoratori italiani che da sempre pagano le tasse, il fatto che un figlio di immigrati regolari arrivati in Italia da un anno, ha più diritti di loro di pretendere dallo Stato un servizio sociale indispensabile in condizioni di praticabilità?
La cosa più incredibile però, è che questo problema, che in molte zone urbane d’Italia si riverbera anche nelle scuole elementari e medie, è assolutamente senza controllo. Non solo, sfugge ad ogni dibattito. Pure, è evidente, che è proprio qui, nella assenza assoluta di politiche di integrazione degli immigrati regolari la ragione di fondo del voto leghista del Nord. Certo, il tema della sicurezza, del caos dei clandestini è sulla bocca di tutti. Ma è altrettanto certo che se domani, con una bacchetta magica, fosse risolto, il disagio assoluto del nord nei confronti dell’immigrazione sarebbe solo leggermente attutito. D’altronde, la marcia della Lega contro il villaggio dei Rom in costruzione a Venezia non ha nulla a che fare con il tema dei clandestini. Quei Rom sono cittadini italiani e la Lega ha buon gioco a soffiare sul fuoco dell’irritazione di lavoratori italiani che vedono costruire un degnissimo -e utile- villaggio per i Rom, quando nessuno si preoccupa di costruire case popolari per loro.
Qui, sul problema della scuola -a partire dagli asili- e sul problema della casa si gioca in realtà la partita vera dell’immigrazione regolare in Italia. Ma su questo terreno spiace dire, non c’è nulla, assolutamente nulla. A venti anni dall’inizi dei flussi migratori l’Italia non ha nessuna politica per la loro integrazione temporanea. A Milano, a d esempio, il capogruppo della Lega a Palazzo Marino avanza una proposta più che ragionevole, che parte dalla constatazione banale -ma drammatica- che in quegli asili un bambino su tre, quando va bene, ma più spesso la metà o più, non parla l’italiano e che, peraltro gli immigrati parlano due, tre, quattro lingue: “Bisognerebbe concordare un tetto massimo, una percentuale di bambini stranieri ammissibili in ogni classe”. Saggia proposta che però comporta non un esercizio di statistica, ma una discussione seria sui criteri non emergenziali, ma pedagogici e di integrazione da adottare.
La sinistra non ha nulla da dire al riguardo se non promettere accorciamenti demenziali del periodo sufficiente a diventare italiani e quella vera e propria bomba atomica demografica irresponsabile che verrebbe provocata dall’eliminare lo ius sanguinis, sostituendolo con lo ius soli, per cui diventerebbe italiano chiunque nasca in Italia. Una follia. Il centrodestra, da parte sua, tranne la Lega, non ha idee al riguardo. Le hanno i singoli sindaci, le ha la Moratti, ma stranamente nessuno si incarica di occuparsi centralmente del tema. Il centrodestra ha vinto le elezioni perché si è proposto, credibilmente, come forza riformatrice. E’ arrivato il momento di capire che la prima riforma da elaborare è quella che regoli l’integrazione temporanea -e anche quella definitiva, ma parziale- degli immigrati nel nostro paese