Se i liberali si organizzano… Gli errori da non ripetere e una risposta a Sallusti (di G.Quagliariello)
23 Maggio 2021
Aleggia sul sistema politico italiano, e non da oggi, una questione che riguarda “il partito”.
I partiti sono stati per molto tempo il perno, una sorta di moderno principe del sistema politico italiano. E’ stato così dal dopoguerra fino alla cesura dei primi anni Novanta, e in questa lunga era geologica essi integravano l’individuo in una sorta di società in miniatura. Si è trattato quasi di una specialità italiana, perché la stagione dei partiti-cattedrale da noi si è protratta per un tempo assai più significativo che nel resto d’Europa.
Nel ’93-’94 hanno cambiato pelle. Sono diventati organizzazioni prevalentemente leaderistiche, orientate molto più sulle dinamiche politiche che su un ruolo di integrazione sociale. E non credo di sbagliare nell’individuare la nascita di Forza Italia come origine di questa rivoluzione.
Insomma, procedendo per grandi approssimazioni, si può sostenere che se il PCI è stato il modello della forma-partito della prima fase della Repubblica, FI ha svolto la stessa funzione nella seconda. E questo è stato ancor più vero nel momento in cui la creatura berlusconiana si è evoluta verso il PDL: il tentativo più maturo e riuscito di integrare le diverse anime della destra mentre le vecchie culture ideologiche tramontavano e di consolidare un nuovo modello che interpretasse compiutamente la transizione tra i due secoli.
Il fallimento di quel tentativo, l’archiviazione del PDL, ha determinato la presunzione che dei partiti si potesse fare a meno. Oggi la scena politica è popolata da formazioni del tutto liquide, assai prossime alla metafora di Enrico Mattei di taxi che si prendono per raggiungere uno scopo e arrivare in una determinata posizione.
Il fatto è che questa idea si è dimostrata una pia illusione, come massimamente dimostra la parabola del Movimento 5 Stelle: nato come antipartito aveva trovato nella Rete uno strumento alternativo di aggregazione, per poi consumarsi in liti e contenziosi assai poco edificanti… Su altri versanti, al contempo, la mancanza di una consolidata forma-partito agganciata a un’idea e a una visione del mondo ha inaugurato una stagione di mercato permanente con passaggi da una parte all’altra, addirittura da uno schieramento all’altro, consumati nel tempo di un post sui social.
Da tutto ciò è possibile trarre alcune considerazioni. La prima è che, nonostante un confronto a volte impietoso tra le diverse stagioni della Repubblica, i partiti non possono tornare ad essere sic et simpliciter quelli di una volta. La seconda è che senza un ancoraggio ideale la politica scade a conflitto perenne o, ancor peggio, a una sorta di mercante in fiera. La terza è che affermare che il passato non può tornare a riproporsi identico non risolve il problema principale, perché fin qui nessuno è riuscito a indicare con successo come i partiti del terzo millennio debbano in realtà configurarsi.
Il problema riguarda tutto il sistema politico italiano, ma investe con particolare forza quell’area conservatrice, liberale ma non progressista, che nella prima parte della cosiddetta Seconda Repubblica è stata indubbiamente egemone. In questo senso, il ritorno indietro dal PDL a Forza Italia ha sancito non solo il fallimento di un esperimento che forse avrebbe meritato di vivere e svilupparsi, ma anche la privatizzazione di uno spazio politico il cui orizzonte è stato così legato alla vicenda di una personalità che per quanto eccezionale, per quanto titolare del merito di aver dato a quest’area agibilità, voce e protagonismo, pur sempre di una personalità terrena si tratta.
Qual è oggi lo stato dell’arte? Come ricordato in questi giorni da autorevoli commentatori (fra tutti Alessandro Sallusti) a mo’ di monito contro la tentazione di eventuali coazioni a ripetere, negli ultimi anni questa porzione di mondo politico è stata attraversata da diversi tentativi, naufragati, di mettere in campo un’alternativa. I fallimenti fin qui registrati, tuttavia, non cancellano il problema. E lasciano inevasa una domanda: in che modo questa area si deve organizzare? Anzi, a dirla tutta, quei tentativi sono falliti proprio perché nessuno si è preso la briga di dare risposta a tale interrogativo. Ci si è limitati a cercare di sostituire Silvio Berlusconi con altre personalità, per scoprire che nessuno ha la personalità di Silvio Berlusconi. Sicché o ci si è trincerati in uno spazio sempre più asfittico e residuale, oppure si è deciso di approdare verso altri lidi e rinunciare ad ancorare la propria proposta politica a un’identità di fondo, limitandosi a chiedere ospitalità nella porta accanto (Lega, Fratelli d’Italia, partiti centristi…).
La notizia di questi giorni è che ad arare questa prateria oggi semi-incolta voglia provarci anche il sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro. Comunque la si vede una buona notizia, in quanto atto di disponibilità e generosità. E, del resto, sul campo ci sono già fermenti dediti da più tempo al tentativo di farlo rifiorire: “Idea”, “Cambiamo”…
La prognosi, proprio per quanto fin qui detto, non è difficile. Se si tratterà di risuscitare lo stesso schema già sperimentato senza successo, calando un altro nome al posto di quello che sembra aver deciso di non dare un futuro alla propria straordinaria avventura politica, la risposta sarà la stessa già amaramente assaggiata dai predecessori: nessuna personalità è in grado di offuscare quella di Berlusconi finché, ancorché defilato, lui sarà in campo. E, del resto, di fronte alla proposta di un modello privatistico che sostituisca un altro modello privatistico, in molti sarebbero portati a pensare che tanto vale tenersi l’originale.
L’unica reale possibilità per mettere a sistema e dare una prospettiva a questi fermenti è una proposta diversa, che parta dal basso, che certo non escluda la presenza di personalità catalizzanti ma che non eluda tre questioni oggi dirimenti: come organizzare una comunità chiamata partito in modo diverso dal passato senza però che la sua consistenza scada allo stato liquido? Come si costruisce e si legittima una classe politica basata sulla competenza? Come si stabilisce un rapporto tra questa classe politica e personalità comunque carismatiche?
La possibilità di sbloccare uno spazio politico del quale il centrodestra ha bisogno come il pane, per vincere ma soprattutto per governare, passa dalla risposta a queste tre domande. In caso contrario, le cronache fra qualche tempo ci consegneranno solo un altro fallimento da aggiungere alla galleria. Il fatto che il rischio ci sia, però, non significa che il tentativo di Brugnaro debba essere criminalizzato. Piuttosto, si tratta di portare un contributo perché l’intrapresa vada nella giusta direzione.