Se i repubblicani dicono no al “New Start” è perché indebolisce gli Usa
18 Novembre 2010
Per Obama la sconfitta elettorale di metà mandato inizia a farsi sentire. Una pattuglia di senatori repubblicani è pronta a non ratificare il New Start, il Trattato per la Riduzione delle Armi Strategiche con la Russia che Obama e Medvedev avevano firmato a Praga lo scorso 8 aprile.
Il New Start è un round decisivo per la riduzione delle armi. Potrebbe segnare una svolta dopo un decennio di sostanziale stallo e riprendere così il cammino iniziato con Start I nel 1991 e Start II nel 1993. Lo stesso presidente americano ha investito molto della sua politica estera sul successo del New Start come segnale fondamentale di una ritrovata distensione con la Russia, preludio ad una necessaria cooperazione soprattutto in Asia. Il “reboot”, la ripartenza nelle relazioni bilaterali tra Usa e Russia tanto auspicata da Obama, parte proprio attraverso una riduzione congiunta degli arsenali.
Da parte americana, per essere ratificato, il trattato deve superare il parere del Senato che così ne raccomanda l’approvazione – ma solo con una maggioranza dei due terzi dei senatori, ovvero 67 senatori su 100. Lo scorso 16 settembre la Commissione Relazioni Estere del Senato aveva approvato 14 a 4 il parere favorevole alla ratifica, anche col consenso di senatori repubblicani ben noti come Richard Lugar, Bob Corker e Johnny Isakson. Ma proprio il 16 novembre è emersa inaspettata l’opposizione del senatore John Kyl, il senatore numero due per prestigio nonché figura di spicco dei repubblicani in fatto di politiche sulle armi nucleari. La posizione di Kyl è chiara: il New Start rischia di indebolire l’America riducendo il suo deterrente atomico e le sue stesse difese missilistiche. Kyl considera insufficienti anche le promesse di Obama per nuovi investimenti nella difesa. Insomma, tra i senatori repubblicani serpeggia un dissenso strutturale verso la politica estera di Obama, un dissenso che inizia a farsi critico anche numericamente.
Prima del voto di novembre, Obama e i democratici avevano bisogno di almeno otto voti repubblicani in Senato. Dopo il voto servono almeno quattordici senatori Gop. Anche su questo punto Kyl è pronto a dare filo da torcere all’amministrazione: per il senatore dell’Arizona bisogna attendere l’insediamento dei nuovi senatori a gennaio per mettere al voto il New Start. Un voto dell’attuale Senato su un tema così delicato non sarebbe più rappresentativo.
Da parte loro, i russi non intendono, nelle parole del portavoce della Commissione Affari Esteri della Duma, approvare il New Start in modo unilaterale. Se gli americani lo insabbiano, lo stesso faranno a Mosca, anche se il tradizionale orgoglio militare russo non ha, finora, posto ostacoli sulla via della ratifica. Ma in caso i repubblicani sabotassero l’approvazione, i rapporti con la Russia sarebbero seriamente compromessi. Proprio questa settimana a Lisbona avrà luogo un vertice Nato di storica importanza perché potrebbe dichiarare la fine della lunga guerra fredda tra Usa e Russia, dalla cortina di ferro fino alla crisi dello scudo dell’ex presidente Bush.
A Lisbona potrebbe infatti realizzarsi il progetto di uno scudo missilistico difensivo congiunto tra Usa e Russia per proteggere l’intera Europa, inclusa la Turchia. Inoltre Mosca è pronta a fare la sua parte per difendere l’Afghanistan democratico. Sono già pronti mezzi militari, addestratori e personale civile per aiutare la polizia afgana nel controllo dei confini e del traffico di droga. Naturalmente quello di Mosca non è un intervento disinteressato: l’instabilità afgana sta contagiando le aree confinanti, dal Tajikistan al Kirghizistan, dove gli interessi russi sono ancora notevoli. Viceversa, senza l’approvazione del New Start, è molto improbabile che la Russia possa entrare nel Wto. E’ un obiettivo storico mai raggiunto da Mosca, che potrebbe rafforzare i suoi traffici commerciali in un’ottica globale.
Sarebbe un danno troppo forte per l’America perdere la cooperazione con Mosca in Afghanistan e riaccendere l’antagonismo in Europa. Forse da Washington non è facile scorgere i piccoli mutamenti di potere in Europa. Ma da quando anche la Slovenia è entrata nel network del gasdotto russo South Stream, la Russia è sempre più in Europa. Lo ha detto chiaramente il presidente russo Medvedev: South Stream unisce l’Europa – senza però aggiungere che unisce l’Europa alla Russia. E l’America?