Se il Belgio riavesse un governo, ne gioverebbe l’intera eurozona

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Se il Belgio riavesse un governo, ne gioverebbe l’intera eurozona

17 Settembre 2011

Nell’Europa solcata a metà dalla linea che separa i Paesi virtuosi (veri o presunti) dai Pigs, esiste una vasta zona grigia che solo apparentemente sembra rimanere fuori dalle “mire” degli investitori/speculatori internazionali. Caso emblematico è quello del Belgio, famoso ormai più per non avere un governo da ben 461 giorni che per essere la sede delle principali istituzioni europee. E dalle elezioni del 13 giugno 2010, infatti, che a Bruxelles manca un esecutivo vero e proprio. Una situazione che, nell’attuale scenario di crisi globale – in particolare dell’area euro – non fa che approfondire quotidianamente l’instabilità economica del Paese, alle prese con il timore di un declassamento da parte della maggiori agenzie di rating internazionali e con un debito pubblico che rasenta il 100% del Pil. Chiaro, quindi, che un Belgio immerso in acque così burrascose non fa dormire sonni tranquilli ai leader europei che, Merkel in testa, operano per la salvaguardia dell’unità economica dell’Europa e della sua valuta.

Il regno di Alberto II, è noto, ha sempre dovuto fare i conti con le ataviche divisioni tra le tre principali comunità linguistiche del Paese: i valloni (francofoni), i fiamminghi e i germanofoni. L’impianto statale è, infatti, federalista, con la presenza di tre Regioni: la Vallonia, le Fiandre e la regione di Bruxelles-Capitale. Tale mancanza di omogeneità, però, non ha mai trovato una ricomposizione a livello nazionale – sul modello tedesco, per esempio – e si è ripercossa sul terreno della rappresentanza politica: nessun partito ha carattere prettamente nazionale e ognuno dei tre macrogruppi esprime proprie divisioni interne tra destra e sinistra, il che genera una frammentazione partitica che si riflette nel Parlamento: dopo le ultime elezioni, sono più di dieci le formazioni presenti nell’assemblea rappresentativa nazionale.

Proprio con la chiamata alle urne dello scorso anno, il Paese del Benelux ha visto così precipitare la situazione. Il partito che ha ricevuto i maggiori consensi è stata la Nuova Alleanza Fiamminga (N-va), con il 17,4%, seguita dai valloni del Partito Socialista (13,7%) e dai Cristiani democratici e fiamminghi (CD&V), che hanno ottenuto il 10,9%. Con queste percentuali – e considerata l’elevato tasso di litigiosità – giungere a un accordo parlamentare per la nomina di un’esecutivo è stato nei fatti impossibile. Sono così stati protratti i poteri del premier uscente, il cristiano-democratico Yves Leterme, che ha assunto l’incarico di primo ministro ad interim.

Come se non bastasse, tuttavia, il 13 settembre Leterme ha rassegnato le dimissioni, con l’intenzione di abbandonare entro fine anno la vita politica nazionale e diventare vicesegretario aggiunto dell’Ocse, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. Una bella gatta da pelare per re Alberto II, rientrato in fretta e furia dalle vacanze estive di Nizza, che ora si trova per l’ennesima volta a dover procedere alle consultazioni, nella speranza che l’impasse politico-istituzionale abbia finalmente termine. A tal proposito, una notizia che sgombra un po’ di nuvole dal cielo sopra Bruxelles viene dall’intesa firmata mercoledì scorso dai leader degli otto principali partiti. L’accordo, in realtà, non riguarda direttamente la nomina del nuovo primo ministro, bensì si concentra sulla questione dello status della circoscrizione bilingue a maggioranza francofona di Bruxelles-Hal-Vilvorde. Se si considera, però, che proprio questa circoscrizione è uno dei punti che più di tutti ha fatto risuonare in Belgio la parola "secessione", si può comprendere l’importanza dell’intesa raggiunta.

Nata nel 1963, la circoscrizione in questione è situata all’interno delle Fiandre (regione fiamminga) con una popolazione a maggioranza francofona. Questa situazione ha fatto sì che, da anni, i fiamminghi richiedano la scissione del distretto e la cessazione di alcuni diritti linguistici ed elettorali di cui i francofoni residenti godono in via esclusiva. Ora l’accordo sembrerebbe aver trovato una via d’uscita. I termini dell’intesa – come rivelati dai quotidiani belgi – danno l’ok alla scissione del distretto, mentre resta ancora in ballo l’approvazione di nuovi finanziamenti per la capitale (francofona), misura richiesta per bilanciare la concessione fatta ai fiamminghi. Viene riformato, inoltre il Senato, che diventa a tutti gli effetti l’assemblea degli "enti federali".

Con il raggiungimento di questo compromesso, anche lo stallo relativo all’esecutivo potrebbe essere a breve superato. Non tutte le formazioni politiche, tuttavia, si sono dichiarate favorevoli all’accordo – con in testa il Fronte democratico dei francofoni – e tutt’altro che chiuse sono le altre questioni istituzionali, a cominciare dalla ristrutturazione dei finanziamenti da destinare alle singole regioni. Nodi legati al federalismo fiscale, insomma, che ai lettori italiani non suonano sicuramente come inediti. Il Belgio, in ogni caso, ha ben poche chance per poter rimanere impantanato nel vuoto di governo ancora a lungo. La mancanza di un esecutivo in possesso dei pieni poteri finisce inevitabilmente per generare, sui mercati, una mancanza di fiducia, con il declassamento da parte delle agenzie di rating sempre dietro l’angolo. Un pericolo che va evitato non solo per le sorti del piccolo Stato belga, bensì per la solidità dell’intero sistema economico europeo, chiamato come mai prima d’ora a lottare per affermare la propria legittimità a esistere.