Se il Cav. non taglia le tasse si rischia di tornare a Prodi e all’Ulivo
31 Maggio 2011
La sconfitta alle elezioni amministrative non riguarda solo il Pdl, ma riguarda anche in modo molto consistente la Lega Nord. Essa ha una spiegazione fondamentale, che riguarda non tanto chi ha vinto, quanto chi ha perso. Ma prima di esaminarla occorre osservare che hanno vinto gli estremisti dell’anti sistema, cui si sono accodati come mosche cocchiere il Pd e gran parte dei centristi, sollecitati anche da componenti importanti del mondo bancario e confindustriale e da una parte consistente della Chiesa, nelle sue articolazioni vescovili e parrocchiali.
In alternativa a Pdl e Lega si profila cioè una ipotetica formazione politica che raccoglie il diavolo e l’acqua santa, Rosy Bindi che (si spera) difende il matrimonio fra persone di sesso diverso perché unione naturale e Vendola che auspica quello fra persone dello stesso sesso in quanto parte dalla tesi relativista per cui la realtà naturale è superata dal desiderio umano e dalle libere scelte umane. Una unione sacra contro Berlusconi fra i liberisti (?) de “La Voce Info”, guidata da Tito Boeri e i dirigisti che considerano l’acqua un bene pubblico che non si deve vendere al suo prezzo e che non va gestita da imprese di pubblica utilità regolamentate di natura privatistica, ma da entità pubbliche sottratte alle regole del mercato.
L’elenco delle incongruenze di questa unione sacra potrebbe continuare a lungo. E‘ un guazzabuglio con tutto e il contrario di tutto, che può dirsi la seconda edizione dell’Ulivo o meglio la terza, perché Prodi riuscì a gestire la prima, grazie alle sue capacità e alle speciali circostanze dell’ingresso nell’Unione monetaria, ma non è riuscito a gestire la seconda perché, fra le altre cose, l’ala sinistra del suo schieramento voleva che egli spendesse il “tesoretto” ricavato dalla lotta all’evasione fiscale anziché devolverlo alla riduzione del deficit pubblico e, successivamente, alla diminuzione del peso delle imposte.
Ed eccoci al punto. Mentre ha vinto la terza edizione dell’ulivo – e non si vede di cosa debbano gioire gli industriali che l’hanno sostenuta, con gioia, durante la campagna elettorale delle amministrative o gli aderenti a Fare Futuro che si dicono fautori di una “nuova destra” – ha anche perso l’asse Lega-Pdl perché non ha mantenuto, a livello nazionale e nella riforma cosiddetta del federalismo fiscale, le promesse sul suo programma di base, che riguardano la riduzione delle imposte, lo smagrimento del governo e la riduzione delle regolamentazioni. Il fatto di dare ai comuni l’IMU, una imposta locale sugli immobili destinati alle imprese, che può avere una pressione del 50% superiore al livello medio, che può corrispondere grosso modo a quello attuale, ha spaventato i piccoli operatori economici che concepiscono il federalismo fiscale come uno smagrimento del governo ed ha quindi deluso sia gli elettori del Pdl che quelli che votano la Lega Nord.
Non basta argomentare che sindaci come Letizia Moratti, che ha perso il posto immeritatamente, non praticherebbero questo aumento, ma una diminuzione. E’ il principio generale che preoccupa e disorienta. Il fatto che il Ministro Tremonti affermi che il primo tempo è quello della stabilizzazione e del federalismo e il secondo è quello della riforma tributaria disorienta e disamora. Infatti la gente – ma anche chi scrive, che non è il primo venuto in fatto di tributi – non pensa affatto che occorra una riforma tributaria, ma che bisogna ridurre alcune aliquote, fermo restando l’attuale sistema tributario che è troppo complicato; ma cambiarlo vuol dire accrescere le complicazioni, anche se lo si fa a fin di bene.
Ezio Vanoni, vorrei ricordarlo, fece una celebre riforma tributaria con minimi mutamenti nei tributi, basandola essenzialmente sulla riduzione delle aliquote, con l’accompagnamento di verifiche più severe. Attualmente vi sono le verifiche più severe, ma non le riduzioni di aliquote. Il Ministro Tremonti dice giustamente che la priorità è il pareggio virtuale del bilancio nel 2014. Ed ha perfettamente ragione. Ma l’espressione pareggio virtuale o quasi pareggio può essere interpretata in vari modi. E uno 0,1 di Pil vale 1,6 miliardi di euro. Dunque 0,2 punti di Pil valgono 3,2 miliardi di euro.
Escludo che in Italia non sia possibile ridurre le esenzioni fiscali in atto, in particolare nell’IVA, sui 142 miliardi di gettito che viene perso a causa degli esoneri e delle riduzioni fiscali, secondo i dati risultanti dalle relazioni al parlamento del Ministero dell’economia. Nell’IVA tali agevolazioni generano, ogni anno, una perdita di 37 miliardi. Se si riducono tali agevolazioni di 0,3 punti di Pil, pari a 4,8 miliardi, si può disporre di un totale di 8 miliardi per tagli fiscali, da effettuare già quest’anno con decorrenza dal 2012.
L’imposta sulle società con la sua aliquota del 27,5% rende circa 45 miliardi. Una taglio di 5 punti genera una perdita di gettito di 8 miliardi. Il governo dovrebbe avere il coraggio di adottare questa misura, portando l’Ires dal 27,5% al 22,5%. Ci sono altre misure da intraprendere per il rilancio dell’economia. Ma ora occorre un segnale sul fronte fiscale, per fare sapere agli elettori del Pdl, ma anche della Lega Nord, che il programma di smagrimento dello stato e di riduzione delle imposte è tornato al primo posto, nella sua agenda.