Se il Corriere non si accorge che destra e sinistra esistono ancora
19 Ottobre 2017
Se la destra va a destra, e la sinistra a sinistra. “Basta con la grande coalizione. Una linea di ragionamento che porta dritto alle due giorni socialista organizzata a Bruxelles mercoledì e giovedì prossimo” Angela Mauro su Huffington post Italia del 17 ottobre riferisce come il gruppo socialista europeo abbia organizzato per il 18 e il 19 ottobre una due giorni di riflessione sul tema della fine delle grandi coalizioni tra popolari e socialisti, coalizioni che una dopo l’altra prima in Olanda, poi in Germania, oggi probabilmente in Austria, stanno saltando. Questa tendenza solleva diverse preoccupazioni innanzi tutto per gli sviluppi sul versante di “destra”. Così Paolo Valentino sul Corriere della Sera del 16 ottobre parla del voto austriaco: “Un segnale piuttosto robusto di come in Europa le linee divisorie tra forze conservatrici e forze di estrema destra si stiano assottigliando”. Sempre sul Corriere un giornalista solitamente pacato nei giudizi come Aldo Cazzullo, se ne esce il 17 ottobre con questa valutazione:“Anche da noi la dialettica da tempo non è più tra destra e sinistra, bensì tra sistema e antisistema”. Un’analisi magari utile a inquadrare la protesta senza proposta dei grillini ma che trascura una dialettica destra-sinistra ben viva (si considerino tanti voti amministrativi e regionali) nel sistema politico italiano quando non è bloccato dalle varie influenze internazionali, tanto e da tanti sponsorizzate nel nostro Paese. Persino Nadia Urbinati si rende conto come la dialettica destra-sinistra sia fondamentale per ridare vitalità alle democrazie, e la fine della distinzione tra parti politiche (che lei con argomenti attribuisce in parte essenziale al pur per molti altri versi positivo, blairismo) sia “oggi il problema”. Poi però la Urbinati evocando in modo francamente cervellotico (la violenza tratto distintivo dei fenomeni totalitari del Novecento e legata in modo irrisolvibile allo stato di guerra civile è, per ora, inesistente) uno spettro incombente “nazifascista”, rovina la sua analisi e si allinea a Valentino quando deplora le convergenze tra moderati e radicali di destra, condannando di fatto così la dialettica politica democratica. Alla fine il consociativismo (i governi di unità nazionale sono una extrema ratio- vedi innanzi tutto le guerre- e devono durare pochissimo) e un elitismo insofferente verso la sovranità popolare, sono i veri elementi che disgregano il sistema liberaldemocratico, costituendo di fatto quell’antisistema che Cazzullo vede rappresentato invece da chi si oppone a simili esiti.
Il vuoto dei repubblicani, le armi a doppio taglio e i coltelli che non tagliano più niente. “The void at the heart of the contemporary Republican Party, the vacuum that somebody, somehow needs to fill” Ross Douthat sul New York Times dell’11 ottobre spiega come lui (pur essendo un commentatore conservatore ospitato dal quotidiano liberal della Grande mela) sia ostile a gran parte delle idee e dei comportamenti non solo di Donald Trump ma anche di Steve Bannon, ma comprenda come soprattutto questo ultimo risponda a un vuoto nel cuore del Repubblicanesimo americano, a un’enorme carenza di prospettiva che qualcuno, in qualche modo dovrà riempire. Ecco un modo per affiancare a una critica severa una vera analisi, quella che manca per esempio a un Massimo Gaggi quando scrive sul Corriere della Sera del 6 ottobre “Come sanno bene i repubblicani la radicalizzazione è un’arma a doppio taglio”. Il problema per il Gop non è solo che ci sono armi a doppio taglio ma anche che abbondano i coltelli ormai completamente spuntati come i John Mc Cain, i Mitt Romney e i Jeb Bush.
Ecce Marco Vitale (occhio che il 22 si vota in Lombardia e in Veneto). “Da federalista dico che questa è una pagliacciata” dice Marco Vitale sulla cronaca milanese della Repubblica del 17 ottobre. Vitale è fatto così, da federalista è contro il referendum per dare più poteri alla Regione Lombardia, da uomo di destra vota a sinistra, e avanti così tra presidenze di ospedali e banche popolari, dove sempre emerge l’uomo che denuncia (dopo) le situazioni che lo hanno (prima) privilegiato. In fin dei conti è un personaggio da Ecce Bombo: “No veramente non… non mi va. Ho anche un mezzo appuntamento al bar con gli altri. Senti, ma che tipo di festa è? Non è che alle dieci state tutti a ballare i girotondi ed io sto buttato in un angolo…no. Ah no, se si balla non vengo. No, allora non vengo. Che dici vengo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto, così, vicino a una finestra, di profilo, in controluce. Voi mi fate ‘Michele vieni di là con noi, dai’ ed io ‘andate, andate, vi raggiungo dop.”. Vengo, ci vediamo là. No, non mi va, non vengo”.
Ingerenze irrituali e ingerenze rituali. “L’iniziativa è stata letta come un’ingerenza irrituale a spese dell’indipendenza del sistema bancario” Massimo Franco scrive sul Corriere della Sera del 19 ottobre come la mozione del Pd su Ignazio Visco sia stata vista da diversi dei soliti famigerati “ambienti europei” come un’ingerenza sull’autonomia di Bankitalia. Certamente “le forme” dell’intervento renziano hanno un tratto di arroganza che spaventa – come ricorda bene sulla Repubblica sempre del 19 anche Giulio Tremonti- anche per il contesto e le forme (“c’è un sentimento isterico nel carattere di Renzi” scrive ancora sulla Repubblica quel superisterico di Eugenio Scalfari) con cui è stato proposto. Però il fatto è come ricorda il pur prudentissimo Antonio Politio sempre sul Corriere del 19 che “non si può onestamente escludere che l’attività di vigilanza e prevenzione delle crisi bancarie sarebbe potuta essere in questi anni migliore e più rapida”. Già non si può onestamente escluderlo, e dunque quando si affaccia un simile dubbio è importante che le istituzioni rappresentanti la sovranità polare, dal Governo al Parlamento, ne tengano conto nell’esercitare i propri poteri. A Stefano Folli che scrive sulla Repubblica sempre del 19 che “a questo punto Ignazio Visco dovrà essere confermato per non accentuare il rischio di lacerazioni istituzionali” va ricordato che la più grave delle lacerazioni è lo svuotamento del potere di discussione del Parlamento (come dice bene il ministro inglese David Davis per la Brexit sempre sulla stessa Repubblica: “Siamo una democrazia. Dibattiamo di tutto. Io dibatto anche con me stesso”), e va contrastato dunque innanzi tutto proprio quello svuotamento in larga parte praticato in questi anni più recenti da concrete (che al fondo avrebbero dovuto essere irricevibili) pressioni internazionali, in primis dai “soliti ambienti europei”, e da loffie autorità nostrane attente a tutte le lacerazioni istituzionali possibili tranne quelle che riguardano il cuore della nostra democrazia.