Se il Pakistan è senza pace parte della colpa ce l’hanno gli Usa

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se il Pakistan è senza pace parte della colpa ce l’hanno gli Usa

20 Agosto 2008

Le dimissioni di Parwez Musharraf  completano il parallelismo tra la sua vicenda e quella dello scià di Persia nel 1979, parallelismo che nasce dalla medesima, fallimentare, tradizione politica americana nei confronti del Pakistan che iniziò – come il disastro iraniano – con la presidenza democratica di Jimmy Carter. Dal 1977, infatti, gli Stati Uniti, sviluppano nei confronti del Pakistan una linea bipartisan, che coinvolge presidenze democratiche come quelle repubblicane, che ha portato al disastro attuale. Una linea che ben si riflette nella posizione del presidente Bush che sino a poche settimane fa, ha continuato a proclamare piena fiducia in Musharraf, salvo poi, nell’arco degli ultimi giorni, essere costretto a fare di tutto perché si dimettesse. Esattamente quel che fece Carter con lo scià nel gennaio del 1979. Il parallelo tra l’Iran di allora e il Pakistan di oggi inizia infatti con le caratteristiche di rigidità dei due regimi. Sia lo scià che Musharraf, a capo di paesi in cui l’unico collante sono le forze armate, hanno dimostrato una totale rigidità, una assoluta mancanza di politiche riformiste.

Ma l’Iran degli anni settanta come il Pakistan di oggi sono paesi polimorfi, con forti spinte alla modernità, con sacche immense di medioevo sociale e culturale, con un economia asfittica in alcuni settori e ipertrofica in altri. A fronte di queste complessità, sia lo scià che Musharraf hanno saputo scegliere solo la combinazione tra la repressione più spietata di tutte le spinte dal basso e la manovra di piccolo cabotaggio tra i maggiorenti delle varie componenti etniche e sociali del paese. Infine, sia l’Iran degli anni settanta che il Pakistan di oggi, hanno visto fallire completamente in un paese musulmano la presa di una concezione laicista (o kemalista) del potere e il riemergere di una prepotente spinta fondamentalista in un fronte sociale che va dalle zone Tribali, sino al centro metropolitano delle università. Ultima, decisiva similitudine, sia lo scià che Musharraf hanno legato la loro forza di comando allo stretto, strettissimo raccordo con Washington, in particolare con le forze armate americane.

Da parte loro, gli Usa, hanno avuto nei confronti di questi due paesi un atteggiamento caratterizzato –in maniera omogenea- da due straordinari errori. Il primo –determinante- è quello di mettere al centro la geopolitica. L’Iran degli anni settanta, era una roccaforte indispensabile nel confronto con l’Urss, questo solo veniva considerato, questo solo portava Washington ad avere, comunque, piena fiducia nello scià. Il Pakistan allora aveva lo stesso identico ruolo nei confronti dell’Urss, ma anche dell’India, che di Mosca era alleata  e oggi ha un evidente ruolo centrale no solo nella lotta al terrorismo, ma anche nel contenimento dell’espansionismo cinese nell’Asia continentale. Da qui l’arroccarsi di Bush –cieco ed acritico- su Musharraf.

Il secondo straordinario errore americano consumato nei due paesi è la folle idea di potere gestire una politica mondiale senza avere la minima idea di cosa sia l’Islam oggi. Errore compiuto anche in Iraq, con spaventose conseguenze. Da Jimmy Carter sino a George W. Bush tutti i presidenti americani hanno considerato ininfluente il fatto che tutti i vertici militari pakistani –a partire dallo stesso Musharraf- fossero largamente influenzati dal pensiero e dal modello di Stato propugnato da Abu Ala al Mawdudi, il più grande ideologo del fondamentalismo del novecento, definito, a ragione “il Khomeini sunnita”. Questo errore ha fatto sì che a partire dall’appoggio al golpe del generale Zia ul Haq (che impiccò il padre di Benazir, Alì Bhutto), Washington abbia appoggiato militarmente, politicamente e economicamente (con un decine di miliardi di dollari), un regime pakistano in cui le uniche riforme riguardavano l’introduzione della shari’a e il rafforzamento del fondamentalismo in tutti i vertici dello Stato. In questa dinamica è successo che il movimento dei Talebani sia stato letteralmente inventato e patrocinato dai vertici militari pakistani –Musharraf incluso, in prima persona- e che quindi tutta la campagna di contrasto al terrorismo in Afghanistan, sia sino ad oggi sostanzialmente fallita. Bush, dopo l’11 settembre, si è cullato nell’illusione che la campagna afghana si potesse vincere semplicemente comprando (letteralmente), l’adesione dello stesso Musharraf (che ha incassato nelle sue tasche alcuni milioni di dollari e ne ha distribuito altrettanti nelle tasche di altri generali e maggiorenti del suo regime) e che quindi da un giorno all’altro ha portato il governo pakistano dalla posizione di padrino del movimento Talebano a suo –formale- avversario pseudo feroce. La stessa mancata cattura di Bin Laden è stata conseguenza di questa follia.

Dal 2001, quindi, Bush ha appoggiato un regime pakistano che ha continuato ad essere fondamentalista, che non ha mai combattuto realmente al Qaida, che spesso e volentieri è sceso a patti con i Talebani, che ha lasciato che quei pochi generali fondamentalisti che non si sono venduti dopo l’11 settembre e che hanno continuato ad essere filo Talebani, come Hamid Gul, non solo agissero liberamente, ma di fatto continuassero a comandare gli indispensabili servizi segreti (Isi), come ben si è visto nella piena libertà che questi settori hanno avuto nell’eliminare fisicamente Benazir Bhutto.

Ma Musharraf, come lo scià, ha fatto di peggio: ha governato il paese con letterale idiozia. Non ha fatto una riforma che attutisse le tensioni sociali, economiche o politiche del paese. Ha solo ed unicamente governato col pugno di ferro. Il risultato è che oggi il Pakistan è privo di guida, che è in mano a due gruppi politici vincitori delle elezioni –Sharif e gli eredi Bhutto- privi di strategia, molto corrotti e molto inclini al compromesso con i Talebani, e che si sta preparando anche in questo paese quel fenomeno che ha caratterizzato l’Iran degli anni settanta. La caotica incapacità di governare la modernità, sta portando settori che dovrebbero essere attirati dall’occidente e dalla modernità, a subire il fascino dell’ideologia islamista più fondamentalista. Fenomeno fortissimo in tutti i paesi musulmani (i Fratelli Musulmani questo rappresentano in Egitto e in tutto il mondo arabo), che li allontana dall’occidente e costituisce il brodo di cultura migliore per il terrorismo al quaidista.

E’ probabile che all’imminente periodo di caos politico a Islamabad, succeda nell’arco di un anno un ennesimo golpe militare che non modificherà comunque i fondamentali della crisi.

E’ certo, infine, che sino a quando l’influenza del fondamentalismo sulle forze armate pakistane non cesserà –e dal 2001 a oggi è aumentata- la battaglia in Afghanistan contro al Qaida non potrà essere vinta.