Se il Pdl vuole tornare a vincere deve farlo ‘azzerando’ se stesso
02 Maggio 2012
Secondo un sondaggio riportato da Il Giornale qualche giorno fa, sarebbe pari al 74 per cento la percentuale degli elettori Pdl favorevoli a “un ritorno allo spirito del’94” e che vorrebbe oggi “ricostruire un partito liberale di massa”.
Il sondaggio è stato realizzato sulla base dei voti espressi alle ultime elezioni europee, quelle del 2009, quando il Pdl conquistò il 35 per cento. E se i calcoli non sono sbagliati, tre quarti del 35 per cento sono il 27 per cento, ben più del 20 su cui galleggia attualmente nei sondaggi il partito di Alfano. L’indagine, realizzata dalla SpinCon tra la fine di marzo e i primi giorni di aprile, nasce da un’idea del deputato Giuseppe Moles, da sempre braccio destro di Antonio Martino. Al campione di duemila persone, è stato chiesto un parere sulla “desiderabilità” di un soggetto politico che riprendesse “a incarnare i valori e i programmi di libertà economica e personale che caratterizzarono la nascita di Forza Italia”. Ed è risultato che tre quarti di quel 35 per cento che votò Pdl solo tre ani fa sono per i valori originari: libera impresa, meno Stato e più mercato, bipolarismo, alternanza di governo, riforme istituzionali, aumento dei poteri del premier. Ancora più interessante il risultato che l’indagine demoscopica ha fornito su un campione rappresentativo di tutti gli elettori di centrodestra. Ben il 70 per cento di chi nel 2009 ha votato Pdl, Lega, Udc e La Destra di Storace considera “positivo” il richiamo allo spirito del 1994. E il 40 per cento lo giudica “molto positivo”.
Se si considera che l’insieme di quelle forze raggiunse allora il 53 per cento, esisterebbe in Italia un partito potenziale del 35 per cento che cerca una svolta liberale nella politica italiana. Il che trova ulteriore conferma quando il sondaggio viene esteso a tutti gli elettori. In quel caso il voto potenziale arriva al 39,5 per cento. Quasi quattro italiani su dieci vorrebbero quindi ripartire dall’impronta liberale del ’94. Su questa base non bisognerebbe indugiare un minuto per mettere fine all’esperienza fallimentare del Popolo della Libertà, che – dopo aver vinto le elezioni – ha prima subito una scissione “programmata” e poi è stato paralizzato dalla mancanza di una strategia politica ed economica frutto del contrasto tra tentativi di sopravvivenza e non dichiarate contese della leadership. Oggi il centrodestra è a pezzi e poco presentabile. Non ha più una visione della società italiana, né un progetto da proporre al Paese. Egrave; sempre più evidente;- come ha scritto Oscar Giannino, una delle teste pensanti liberali ancora in circolazione – ;che l’Italia sia in un cambio di fase più profondo ancora del 92-93, per proporzioni e gravità attuale della discontinuità; economica e d’impresa rispetto alla crisi allora della lira” e che occorre “ costruire un’offerta politica nuova su questo semplice e dirimente crinale.
Meno spesa per meno tasse, meno pubblico per abbattere il debito” e su questo mettere in campo una pattuglia liberista, dura e pura. Per la libertà, per l’impresa, per il lavoro, per il Pil. Questa non è oggi l’agenda del Pdl e non lo diventerà fino a quando ci si baloccherà con congressi più o meno inquinati (più spesso che meno, vedi il caso di Modena) e leggine “fumo negli occhi” come quella sui presunti controlli – che controlli non sono – sul “finanziamento pubblico dei partiti”, una cosa che non dovrebbe esistere e invece esiste e per la quale si afferma che se ne farà a meno, non che lo si cancellerà dalle leggi come dovrebbe fare un serio partito liberale e liberista.
Ed è ovvio che questo “ritorno allo spirito del ’94” dovrebbe passare per l’uscita di scena di tutta la classe dirigente che in questi 18 anni quello spirito ha di fatto e quotidianamente rinnegato, trasformando la spinta rivoluzionaria berlusconiana in una scadente riedizione dell’ala non comunista della vecchia partitocrazia.
Ecco perché non mi faccio illusioni quando leggo, sempre su Il Giornale, che “per quanto riguarda il Pdl Berlusconi ha fatto sapere che al prossimo congresso potrebbe essere modificato il nome e il simbolo, ma ha anche assicurato che “il partito resterà lo stesso, composto dalle stesse persone”. E sarà così destinato a perdere ogni giorno di più i suoi elettori che assistono rassegnati allo spegnersi di una scintilla di speranza che li animò quasi vent’anni fa.