Se in Cina crescono i suicidi tra donne e giovani c’è più di un motivo

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Se in Cina crescono i suicidi tra donne e giovani c’è più di un motivo

10 Ottobre 2008

Nella Cina trionfante del nuovo millennio, la nazione che ha organizzato le Olimpiadi più ricche e vincenti della storia e che per il settimo anno consecutivo avrà una crescita economica superiore al 10%, qual è la prima causa di morte tra i giovani (15-34 anni)? Il suicidio.

Secondo un rapporto dell’Associazione cinese della salute mentale, nel 2003 (ultimo anno censito) in Cina sono avvenuti 250mila suicidi – uno ogni 2 minuti – e 2 milioni di tentativi di suicidio. Il 26,04% ha coinvolti i più giovani. In assoluto, si tratta della quinta causa di morte, dopo le malattie cardiovascolari, i tumori, le malattie respiratorie e gli incidenti stradali.

I dati, non c’è dubbio, sono impressionanti soprattutto in un Paese che non ha mai avuto una tradizione del suicidio come il vicino Giappone (esiste solo un marginale filone letterario, che celebra il suicidio femminile per annegamento, dopo una delusione amorosa). Tuttavia, chi conosce la realtà cinese non può restare stupito.

L’alto tasso di suicidi è il frutto amaro di una società sempre più competitiva, che ha imposto con la forza la politica del figlio unico (senza preoccuparsi dell’isolamento e delle pressioni cui sono sottoposte le nuove generazioni) e che non ha risolto l’immane divario tra le città, ricche ed evolute, e le campagne, poverissime e in molti casi ferme al Medioevo. Non a caso, il 50% dei suicidi coinvolge donne che vivono nelle zone rurali. In Cina, la vita è durissima fin da piccoli. In famiglia, i figli (unici) sono soli con intorno un esercito di parenti: genitori, zii, nonni. Mentre gli anziani sono serviti e riveriti, tutte le aspettative convergono sui più piccoli, in modo spesso inversamente proporzionale all’attenzione nei confronti dei loro problemi.

Questo schema, fatto di pressioni e obiettivi da raggiungere, dal nucleo familiare si trasferisce alla scuola (in realtà, già all’asilo i bambini imparano a leggere e scrivere!). Prima di entrare in classe, il programma prevede l’alzabandiera alle 7.30. Poi tantissime, troppe, ore di lezione e un carico di compiti che si trascina fino a tarda sera. Il tempo riservato al gioco e alla creatività è ridotto all’osso. Persino le vacanze vengono dedicate ai corsi di approfondimento di matematica e fisica. Quello che emerge è un sistema, educativo e scolastico, che spreme i bambini e gli adolescenti e che concede onori e meriti solo a chi ha la forza di emergere. Fino a una decina di anni fa, la categoria dei "giovani" addirittura non era presa in considerazione (neanche a livello di marketing). Gli adolescenti erano visti semplicemente come degli "adulti piccoli".

Inoltre, la cultura cinese ha storicamente premiato il conformismo dei comportamenti, l’ordine uniforme delle masse più che le esigenze, fuori dagli schemi, dell’individuo. Dunque, una riflessione sociologica seria sui disagi giovanili non è mai cominciata. In definitiva, un ragazzo con del problemi rischia davvero di trovarsi solo con sé stesso. E quindi trovarsi in un piano inclinato che porta al suicidio.

Ho già accennato al fatto che la metà dei suicidi coinvolge donne che vivono nelle campagne. In contesti così arretrati le donne vivono ancora in una condizione di totale subalternità agli uomini, senza relazioni sociali e senza l’illusione di un riscatto. A volte le bambine, dopo la nascita, non vengono neppure registrate all’anagrafe dai genitori, che sperano in una seconda possibilità – non consentita dalla legge – per aver un maschio. Sommando tutti questi fattori di disagio, ecco spiegato perché tante donne, in campagna, si uccidono, tra l’altro quasi tutte allo stesso modo: utilizzando forti dosi di pesticidi.

La Cina, così impegnata a recuperare anni di ritardo nei confronti dell’Occidente ricco e potente, rischia di sacrificare intere generazioni future.