Se Juncker tratta l’Italia come Xi con i riluttanti Paesi del Sud Est asiatico
15 Novembre 2017
Se Juncker tratta l’Italia come Xi si comporta con i riluttanti Paesi del Sud Est asiatico. “La Commissione europea si appresta a inviare al governo italiano una lettera di richiesta di chiarimenti sulla bozza di bilancio per il 2018. È quanto apprende l’AGI a Bruxelles mentre è in corso la riunione settimanale del Collegio dei commissari. La lettera rinvierà a maggio le decisioni dell’esecutivo sui conti 2018, che erano invece attese per fine novembre”. Così una nota dell’Agi del 14 novembre. Il Sole 24 ore on line del 15 novembre scrive: “Interpellato a Londra dove ha partecipato ad alcuni incontri con investitori, Padoan ha commentato i rilievi del commissario europeo. ‘Non rispondo a Katainen – ha affermato – ma rispondo con quanto ho già detto molte volte in passato: con la commissione c’è un rapporto di collaborazione continua, se ci saranno osservazioni sulla legge di Bilancio, ne terremo conto. Ma comunque ripeto che è una buona legge’”. In questo contesto particolarmente interessanti appaiono cronache e analisi di giornalisti “republiconi” tradizionalmente euro entusiasti. Alberto D’Argento sulla Repubblica scrive: “Chi guiderà il governo dopo le elezioni di primavera, appena insediato, dovrà dare risposte all’Europa su debito, deficit e riforme” e poi aggiunge anche che tutto è stato spostato a maggio “per evitare interventi a gamba tesa in campagna elettorale”. Andrea Bonanni lo stesso giorno e sempre sul quotidiano di Largo Fochetti commenta: “Se dalle urne dovesse uscire vincitrice una coalizione che non dà sufficienti garanzie di credibilità, invece di dettarci i termini della nuova ‘manovra’ le Commissione potrebbe aprire direttamente una procedura per deficit (e debito) eccessivo e mettere il Paese sotto amministrazione controllata”. Lette queste cronache e questi commenti, la conclusione è che o tipi come D’Argento e Bonanni sono una sorta di troll russi intenti a seminare fake news o Jean-Claude Juncker e la sua protettrice Angela Merkel si comportano come Xi fa con i Paesi del Sud est asiatico dal Sud Corea alle Filippine, dalla Tailandia al Vietnam, alternando ricatti, corruzioni e minacce.
Politica, la parola all’inconscio. “Non siamo disposti a esserci a condizioni imposte da altri” dice Riccardo Magi segretario dei radicali di Emma Bonino alla Repubblica del 30 ottobre. “Una proposta che delinei un perimetro di campo” dice al Corriere della Sera del 4 novembre Giuliano Pisapia, fondatore di Campo progressista. “Dis-posti”, “im-poste”. Ahi! Ahi! Il vecchio Freud vedrebbe nell’uso di questi “termini” un inconscio al lavoro, ossessionato dal problema dei “posti”. Quanti gliene dà Renzino perché Magi e i suoi si presentino con lui? Mentre nel “perimetro di campo” e nel movimento chiamato “Campo progressista”, qualsiasi scrutatore di inconsci vedrebbe il dramma del “campare” (politicamente, naturalmente, perché l’ottimo lavoro da penalista lo lascia tranquillo su altri fronti) che ossessiona un povero Pisapia spinto da Gad Lerner a gettarsi nella mischia e molto preoccupato dall’idea di fare una figuraccia. Ci sono, poi, altre dichiarazioni di altre personalità pubbliche dove invece l’ossessione si esprime apertamente, senza nascondersi dietro parole-chiave, è il caso di politici ormai molto logorati che non riescono più neanche a mascherare le proprie disperazioni. Quando Pierferdinando Casini dice al Corriere della Sera del 12 novembre una frase simile “Quelli veri, che non hanno solo il problema della poltrona, non possono partecipare a un’alleanza con Grillo e con Salvini” sa benissimo che in Italia tutti, proprio tutti, sanno come il bel Pierferdy si interessi essenzialmente della propria poltrona e dunque un attacco ai “poltronisti” da parte sua non è che un insensato esorcismo verso un giudizio generalizzato che irrimediabilmente lo sovrasta. Così Piero Fassino sa benissimo di non “essere più credibile” dopo aver perso con Chiara Appendino, e quando dice, come fa alla Stampa del 7 novembre, che “un’alleanza credibile, la bisogna fare su un programma di governo credibile” non esprime in realtà un ragionamento politico, ma è solo intento a rigirare con disperato masochismo il coltello della propria non credibilità, lì ben fissato sotto le sue scapole.
Sarkozy nun ce stà, ma Les Républicains vanno a droit. “Cette prise de parole intervient après l’exclusion des chefs de file de la droite pro-Macron, dont le premier ministre Edouard Philippe et l’ancien porte-parole de Nicolas Sarkozy, Gérald Darmanin. Selon L’Opinion, Nicolas Sarkozy n’était pas favorable à cette exclusion, voulue et obtenue par Laurent Wauquiez. Ce dernier, qui se présente comme “le premier des sarkozystes” et prend pour modèle l’élection présidentielle de 2007, diffère de son mentor sur le positionnement des Républicains. Partisan d’une ‘clarification’ tant stratégique qu’idéologique, Laurent Wauquiez entend incarner une figure ‘clairement à droite’ face à Emmanuel Macron. Et tant pis si cela revient à précipiter ce qu’il reste du centre-droit dans les bras de l’actuel président de la République” . Geoffroy Clavel su Huffpost France dell’11 novembre racconta del regolamento di conti fra i gollisti o Républicains come si chiamano adesso, in atto dopo l’espulsione dei ministri macroniani, contrastata da Sarkozy ma sostenuta dall’emergente Wauquiez, che pur presentandosi come sarkoziano non ubbidiscie al suo antico ispiratore e vuol far virare a destra il partito. “’Parfois, les vieux lions rugissent encore’ a coutume de dire Alain Juppé. Cette fois, le vieux lion de Bordeaux a rugi, et fort. Et son cri a retenti dans les oreilles de Laurent Wauquiez. ‘Ce que vient de faire Juppé, c’est un acte politique majeur !’ décrypte un habitué de l’Elysée, après les propos tenus vendredi par le maire de Bordeaux devant la presse diplomatique, révélés par nos confrères de ’Sud Ouest’. Juppé y propose rien moins qu’une alliance à Emmanuel Macron, sous la forme d’un ‘grand mouvement central’, pour les européennes du printemps 2019”. Nathalie Schuckl su Le Parisien del 13 novembre spiega, poi, che a contrastare la svolta destra dei gollisti, si sta muovendo il “vecchio leone” Alain Juppé che propone un “grande movimento centrista” sulla base di un’alleanza con Macron per le Europee del 2019. E’ evidente come tutta la politica in Europa sia ormai condizionata da questa sfida: ridare peso alla sovranità popolare nella vita degli Stati membri dell’Unione con la inevitabile divisione, a destra e a sinistra, dei Parlamenti che è l’unica via per rappresentare sul serio la società, o svuotare la politica con esperimenti tecnocratici che consentano di avviare un processo di integrazione continentale che peraltro non si sa, al momento, che sbocchi concreti potrà avere? Questo “movimento” della storia europea sta arrivando nel cuore dell’Unione dove Jens Spahn potrebbe sfidare Angela Merkel per una svolta a destra della Cdu e in Francia dove lo stesso sta avvenendo con Wauquiez. A quest’ultimo diamo un consiglio: controlli bene che lavori ha fatto sua moglie e non stia mai con una cameriera nel chiuso di una stanza d’albergo. Il “deep State francese” nella selezione degli uomini che dovranno controllarlo non è mica come quella ciofeca della parallela struttura americana.
Mamma mia! Sono arrivati i russi anche in Germania! “In Germany, concerns about Russian meddling in advance of September’s election were so high that the head of the country’s domestic intelligence service publicly accused Russia of trying to influence the outcome and destabilize Germany through cyber operations”. Hael Dempsey scrive su Bloomberg del 7 novembre che i russi hanno tentato di cyber influenzare le elezioni tedesche di settembre. In altri quotidiani leggiamo che il principale fattore di destablizzazione usato dai russi sarebbe, anche al di là dell’uso dei social network, la società petrolifera Rosneft. A Bloomberg e agli altri quotidiani segnaliamo che il presidente di Rosneft è Gerhard Schroeder, già cancelliere prima della Merkel, influente padrino della Spd, ben presente in comizi e incontri a sostegno di Martin Schulz sfidante perdente della Cdu-Csu, ma comunque leader della seconda forza politica tedesca.