Se Junker brinda alla diffusa impotenza dell’Europa
15 Dicembre 2017
Macron macroneggia, la Merkel pietisce l’aiuto dell’Spd, il gentilolonrenzismo boccheggia, Rajoy è infilato da banderillas autonomo-indipendentista. Juncker brinda per lo spazio che gli si lascia e lancia le sue proposte, naturalmente assai ebbre. “Loin d’emboîter le pas d’Emmanuel Macron, qui souhaite une zone euro plus solidaire financièrement et plus démocratique, Jean-Claude Juncker, le président de la Commission européenne, se fait le porte-voix de l’aile eurosceptique de la CDU d’Angela Merkel. Les propositions de réformes qu’il va rendre publiques mercredi, afin qu’elles soient sur la table du Conseil européen des chefs d’Etats et de gouvernement des 14 et 15 décembre, pourraient avoir été rédigées par Wolfgang Schäuble, l’ex-ministre des Finances, dont la réputation de «casque à pointe de l’économie allemande», pour reprendre l’expression d’un diplomate français, n’est plus à faire”. Jaques Quatremer su Liberation 3 dicembre scrive che Juncker, lungi dal seguire l’esempio di Macron che cerca una eurozona più solidale finanziariamente e più democratica, si fa portavoce dell’ala euroscettica della Cdu e ha avanzato proposte di riforma che verranno presentate al Consiglio europeo del 14 e 15 dicembre, che avrebbero potuto essere scritte da Schauble. E’ difficile dissentire da Giulio Sapelli quando scrive sul Sussidiario del 7 dicembre che le proposte junckeriane rappresentano una “camicia di forza europea” che “la si vorrebbe far indossare al più presto ai popoli europei. Sarebbe l’inizio di una crisi economica e sociale drammatica stravolgendo forse per sempre ciò che rimane della democrazia in Europa”.
La sensazione però è che il presidente della Commissione, quello della repubblica francese, la Kanzlerin, la Spd, insomma tutte le forze in movimento nel Vecchio continente si muovano con quella logica da “azione parallela” che Robert Musil descriveva nel suo “Uomo senza qualità”. Mi pare proprio che l’effetto Cacania dell’Unione stia arrivando al suo culmine. E che quindi più che la potenza delle proposte si debba temere la generale e diffusa impotenza di chi non analizza adeguatamente la situazione in cui sta vivendo.
L’Australia vuole impedire un’influenza cinese diretta sulla propria vita politica. Gli analisti di Xi dicono “comunque tra dieci anni sarete sotto la nostra ombra”. Forse anche meno, se Mueller si darà adeguatamente da fare. “Some Chinese analysts said Mr. White may have overstated China’s success in the region. ‘The U.S. is still very much wanted and needed by regional countries, including Australia. The white paper makes that clear’ said Zhang Baohui, professor of international affairs at Lingnan University in Hong Kong. But by 2030, Mr. Zhang said, China will have won the geopolitical race. ‘Everyone will then live under the shadow of Chinese power,’ he said”.. Ane Perlez e Damien Cave sul New York Times del 3 dicembre analizzano un libro bianco promosso dal governo australiano su come limitare le influenze straniere. Alcuni analisti, tra quelli assai consultati da Pechino per definire la propria politica estera, dicono che I successi della Repubblica popolare sono talvolta sovrastimati e, come dimostrano le mosse di Canberra, gli Stati Uniti hanno ancora un ruolo rilevante. Ma entro il 2030 la Cina vincerà la sfida geopolitica e Asia, Pacifico e Oceania vivranno sotto la sua ombra.
“Australia will ban foreign political donations and force lobbyists to reveal when they are working for overseas entities under tough new laws designed to tackle growing espionage threats and Chinese influence in domestic politics. The crackdown follows revelations that organisations and individuals with alleged links to the Chinese government have donated more than A$6.7m to the Liberal and Labor parties over recent years. One opposition MP, who received cash, called publicly for Australia to respect China’s territorial claims in the South China Sea — a position contrary to that of his party” L’Australia, scrive Jamie Smyth sul Financial Times del 5 dicembre, ha deciso di mettere fuori legge le donazioni che, anche attraverso lobbisti, dall’estero tendono a influenzare la politica australiana come è concretamente successo con un deputato pagato dai cinesi che chiedeva più tolleranza verso le mosse di Pechino nel Mare del Sud della Cina.
“The Chinese Embassy in Australia accused Australian officials on Wednesday of ‘making irresponsible remarks’ and damaging ‘mutual trust’, a day after Prime Minister Malcolm Turnbull unveiled a series of proposed laws to curb foreign influence in Australian politics”. Damien Cave scrive sul New York del 6 dicembre che l’Ambasciata cinese a Canberra ha accusato gli uomini del governo australiano perché hanno rivolto a Pechino rimproveri irresponsabili e hanno scossa la mutua fiducia tra i due Paesi dell’area asiatico-oceanica, la protesta è stata manifestata il giorno dopo che il primo ministro Turnbull aveva avanzato le proposte di legge per impedire influenze straniere sulla politica australiana. E’ leggendo queste notizie che si ha la sensazione che il nostro correre dietro alle sciocchezzuole che una persona pur tanti versi simpatica come Joe Biden dissemina, sia il modo perfetto per non capire che cosa sta succedendo sul serio nel mondo.
Alfano non è più in politica, ma straparlotta insieme a noi. “Il partito è vivo. Talmente vivo che viene cercato e tentato” Talvolta mi vergogno di me stesso, analizzare l’intervista di Angelino Alfano sul Corriere della Sera dell’8 dicembre è un esercizio di stupido sadismo, siamo di fronte una persona in evidente stato confusionale che dice che quel che resta di Ncd (ora mi pare si chiami Ap cioè alleanza o alternativa o associazione popolare, quel che sia) è particolarmente vivo, “cercato e tentato” da tutti, che lui voleva allontanare la sua “immagine di politico attaccato alla poltrona” (ma alla poltrona ci ha rinunciato lui o gliela hanno esemplarmente sottratta gli ultimi ex fedeli elettori siciliani?), che in lui opera non “la convenienza” ma “la convinzione”, e si affida a una guida del partito che inizia con la “elle” (è incerto tra Maurizio Lupi e Beatrice Lorenzin e se la cava con questa affermazione guittesca). Perché sei così vigliacco, chiedo a me stesso, da accanirti su una persona così prostrata? In realtà questa noticina vuole rendere omaggio a una persona perbene, Francesco Verderami, che ha creduto, sia pure con l’aplomb di un perfetto corrierista, nella qualità del politico agrigentino e quando questo è affondato, non ha voluto voltarsi dall’altra parte e gli ha reso omaggio, naturalmente nelle forme con le quali una personalità politica non proprio eccezionale poteva farsi rendere omaggio. Chapeau, Francesco.
L’Italia, la Russia, l’America di Obama e quella di Trump. E l’ottimo ritorno in campo di Frattini. “Orchestrare campagne di opinione antirusse fa dimenticare che nostro interesse nazionale è che si lavori con la Russia contro il terrorismo, per la stabilità del Medio Oriente, della Libia etc. Visione occidentale miope….spero che Trump riveda la linea”. Un tweet – quello di Frattini – che ha ricevuto, tra gli altri, anche il “like” dell’ambasciata russa in Italia. A stretto giro è poi arrivato anche il commento, sempre via Twitter, del fondatore di Formiche Paolo Messa: “Caro Presidente, è certamente interesse nazionale di Paese Europeo e Atlantico coinvolgere diplomaticamente la Russia sui diversi dossier. La sicurezza nazionale impone però consapevolezza della guerra ibrida in corso. Per neutralizzarla (e non per alimentarla)”. Formiche del 10 dicembre riporta un tweet di Franco Frattini (interessante anche se gravemente colpevole di essere piaciuto all’ambasciata russa) e un tweet di risposta del fondatore di Formiche Messa.
La base della controversia (relativa ed educata) tra Frattini e Messa sono le dichiarazioni di Joe Biden illustrate in Italia sulla Stampa del 9 dicembre dall’ex “vice assistente segretario alla Difesa, per la Russia” durante il governo Obama, Michael Carpenter che spiega come la Russia voglia in Italia “seminare la divisione sociale, etnica, razziale come nel mio Paese, o ideologica” e, affermato questo punto di vista, critica, i leghisti che “hanno tutto il diritto di farlo come partito politico italiano, ma chiaramente hanno sposato un messaggio che sostiene la narrativa del Cremlino “. Ma veramente è in corso “una guerra ibrida tra Mosca e l’Occidente” come sostengono Messa e Carpenter? A me pare dirimente quello che ha raccontato David Smith su The Guardian il 31 ottobre “A top executive at Facebook struggled to answer on Tuesday as an angry and incredulous Al Franken, a Democratic senator, demanded to know why the social network accepted political advertisements paid for in Russian roubles during the presidential election. In a devastating line of questioning, Franken asked irately: ‘How did Facebook, which prides itself on being able to process billions of data points and instantly transform them into personal connections for its users, somehow not make the connection that electoral ads paid for in roubles were coming from Russia? Those are two data points! American political ads and Russian money: roubles. How could you not connect those two dots?’” si ricorda cioè che il senatore democratico Al Franken, poi dimessosi per eccessi di molestie verso signorine, abbia chiesto irato ai top manager di Facebook come mai non si fossero resi conti che certi annunci sulla rete fossero comprati dai russi visto che erano pagati in rubli.
Il pagare fake news in rubli rende abbastanza evidente come il pur assolutamente deplorevole uso provocatorio dei social da parte di soggetti amici o collegati al Cremlino sia stato volutamente esplicito (“loud” come ebbe a dire quella pantegana di James Comey) ma piuttosto che mirato a una “guerra ibrida” sia stato teso a ritornare i fastidi che gli americani hanno procurato ad ambienti moscoviti sia intromettendosi nella loro politica interna sia destabilizzando paesi confinanti con alti tassi di popolazione di lingua russa. La politica estera di Barack Obama gestita da persone come Carpenter è stata oltre che fallimentare (date un’occhiata a come hanno “sistemato” l’Ucraina) particolarmente intrusiva (dalla Libia alla Siria per non parlare del golpe turco di cui non si può parlare, partito da una base Nato: episodio un po’ più impegnativo che un eventuale hackeraggio da parte di Wikileaks). Cessare queste reciproche provocazioni russo-americane (mentre intanto, tra l’altro francesi in Libia, tedeschi con Rosneft, “democratici” tipo Tony Podesta per conto di “altri democratici Usa” in Ucraina fanno o hanno fatto tutti gli affaracci che desideravano con Mosca) è nell’interesse di una civiltà, quella greco-giudaico-cristiana, non in perfetto stato di salute, in competizione con quella confuciana-maoista di Xi, e spesso in guerra, anche non ibrida, con il fondamentalismo islamico che, spacciata l’Isis, ha oggi il suo cuore a Teheran. Ed è codesta (ricucire serie relazioni con Mosca) una questione politica -come saggiamente spiega Frattini- più che di polizia o militare: anche se, naturalmente, poi, la sicurezza cibernetica è tema su cui eserciti e agenzie investigative hanno tutto il dovere di attrezzarsi per bene e di operare diligentemente.