Se la crisi del Pd ricorda la sconfitta della Dc

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Se la crisi del Pd ricorda la sconfitta della Dc

03 Aprile 2018

Geniale il paragone di Galli della Loggia con il 1976, ma il Pd è la Dc di allora non il Psi. “C’è qualcosa nell’attuale condizione del Pd che ricorda quella del Partito socialista all’indomani delle elezioni del 1976” scrive Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera del 3 aprile. Come sempre Galli della Loggia è interessante perché invita a pensare in modo innovativo sulle continuità della storia italiana, senza adagiarsi sui luoghi comuni della polemica corrente. In questo caso però non sono d’accordo con lui: la crisi del Pd non è quella di un’avanguardia riformista che ha tentato tra il 1961 e il 1991 di modificare il sistema politico italiano prima con il centrosinistra poi con l’attivismo craxiano. E’ molto più simile alla sconfitta del partito-Stato democristiano che arriva estenuato all’inizio degli anni Novanta e poi via Ulivo, Margherita e infine Pd riacquista una sua centralità ma senza esprimere una funzione all’altezza dei problemi attuali della nazione italiana come invece aveva fatto con Alcide de Gasperi (anche grazie a Giovanni Battista Montini) dopo il 1945. Basta considerare il ceto politico del Pd e si coglie come tutti i quadri un po’ vitali siano ex Dc e peraltro di tutte le correnti dello scudo crociato così Matteo Renzi, Lorenzo Guerini, Dario Franceschini, Graziano Delrio, Enrico Letta e tanti altri. Gli ex Pci hanno, tranne che in qualche caso locale, funzioni decorative: vedi i fantasmi Piero Fassino e Walter Veltroni o i boyscout Maurizio Martina e Matteo Orfini. Ormai, dicono da dentro il Pd, il 70% dei quadri dirigenti, dalla base al vertice, è composto da ex Dc. Il sistema di gestione del potere è peraltro quello classico della Prima repubblica: la conquista del Quirinale (Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi, Giorgio Napolitano, Sergio Mattarella) per avere una presa su uno Stato che superi il dato elettorale e, per questa via, una centralità innanzi tutto nel sistema economico e delle relazioni internazionali. Ed è proprio nel gestire questa centralità nel sistema economico che si esprime la differenza fondamentale rispetto alla stagione Dc classica quando c’era un’idea di sviluppo nazionale con l’Eni e l’Iri e, nonostante tutto, con la convivenza con Mediobanca. Oggi invece prevale un’idea da borghesia compradora (di cui è esponente emblematico Romano Prodi, ma anche Matteo Renzi non scherza) di favorire la sottomissione come unica via per accedere alla globalizzazione. Ma un partito-Stato che non è capace di esprimere una vera funzione nazionale, è destinato a una crisi che arriva ben prima dei 40 anni di governo assicurati dalla Dc. Nel contempo, però, l’aver costruito un sistema da “après moi le déluge”  finisce per alimentare formazioni politiche anomale che per rompere un potere dalle complicatissime alternative, non possono non avere qualche caratteristica un po’ stravagante così il leghismo, il berlusconismo, il grillismo. Comunque, come si diceva “hic Rhodus hic salta”, questo è il cuore della nostra crisi e come tale va affrontato. O magari rimosso se si pensa che un destino da commissariati è l’unico a cui possiamo aspirare.

Marzo 2018 stagione di accordi? Accordo tra Mediaset e Sky Italia sui canali cinema e la serie Premium. Lo annuncia Mediaset in una nota. “E’ stato raggiunto oggi un accordo tra Mediaset e Sky Italia che prevede benefici per entrambe le società – si legge nella nota -. Da un lato Mediaset Premium allarga la copertura multipiattaforma dei propri canali e dall’altro Sky Italia incrementa l’offerta di contenuti di qualità ai propri abbonati”. Così un lancio di Ascanews del 30 marzo. L’intesa Sky – Mediaset è prodromica a quella tra Salvini-Di Maio? Con il Pd nel ruolo di Vincent Bolloré?

Come da un’amaca non si capisce niente di quel che ti circonda. “La democrazia, con le sue collose pratiche di concertazione, di compromesso, di collegialità, di poteri che si bilanciano, è una lagna da lasciare alle spalle”. Così scrive Michele Serra sulla Repubblica del 3 aprile riferendosi al pensiero e ai comportamenti di Matteo Salvini che sarebbe il Vladimir Putin italiano, maschio alfa che vuole solo affermare se stesso. Credo che sulla sua amaca il noto scrittore satirico stia consumando un po’ troppe Margarita: Salvini rinunciando a un leghista al Senato, dicendo che il problema non è la sua premiership, navigando con abilità nel centrodestra e in Parlamento, appare un politico assai attento ai compromessi, alle collegialità, ai bilanciamenti di poteri (tutte questioni che invece paiono un po’ sfuggire a un Matteo Renzi per non parlare di Jean-Claude Juncker) e soprattutto un uomo di partito che si pone il problema non solo della propria affermazione ma anche quella di un sistema democratico in cui le persone si sentano rappresentate e non solo commissariate. Naturalmente è possibile, talvolta necessario, criticare tutte le sue rozzezze, i limiti demagogici dei suoi programmi, ma per avere una qualche credibilità bisogna riflettere su quel che sta succedendo, non inseguire visioni ebbre da un’amaca.

Mi scappa la pidì.  “Non c’è un posto dove farlo” così Marilù Chiofalo dice a Concita de Gregorio sulla Repubblica del 25 marzo. Il dibattito.