Se la “normalità” non si racconta è perché la maggior parte di noi la vive
29 Ottobre 2010
Nel corso della prima eroica epoca delle gazzette, gli editori ricorrevano spesso a ragazzini che con un grosso fascio di giornali sul braccio, camminavano per le strade urlando i titoli che più avevano il potere di attirare compratori. Le vendite salivano vertiginosamente, se il ragazzino poteva strillare "Orrendo delitto…".
Bisogna dedurre che la gente è solo affamata di storie gialle e nere? E che è da questa inclinazione invincibile che nasce la grande fortuna delle storie poliziesche, degli horror, il fascino irresistibile della tragedia che si perde nella notte dei tempi? E poi non ci si deve meravigliare che i romanzieri moderni, se vogliono costruire una storia che abbia una qualche chance di attirare milioni di lettori, la devono farcire di squartamenti, vendette, sesso, spionaggio e quanto di peggio si possa trovare sulla faccia della terra.
Se uno si mettesse a scrivere la storia della signora Teresa dell’appartamento accanto, nessuno comprerebbe il libro, nessuno avrebbe voglia di leggerla, perché la sua storia è, in fondo, la storia della maggior parte delle persone che vivono una vita "normale" fatta di lavoro, di affanni, di piccole gioie, di fedi e di disinganni. La signora Teresa si alza la mattina e va al lavoro, torna e si occupa dei figli e della cena, poi, quando la serata si è conclusa con il canonico riordino della cucina, pensando a cosa dovrà mettere in pentola domani, ai figli da accompagnare e da riprendere, si mette a guardare un po’ di televisione e infine se ne va a dormire. Le sue giornate scorrono più meno su questa falsariga e sono ben poche le cose fuori dell’ordinario che le possono capitare. Nel bene e nel male. Se va dal parrucchiere, cosa va a cercare? Quasi sempre quei rotocalchi dove vengono rappresentate vite diverse, vite sotto i riflettori, amori clandestini, ricongiungimenti e abbandoni, feste scintillanti alle quali nel corso della sua vita, non sarà mai invitata.
La normalità non si racconta perché la maggioranza la vive. Non ha fascino, è quello che si deve fare giorno dopo giorno e non necessariamente è noiosa e ripetitiva, ma certo non può fare concorrenza all’avventura di uno 007 o alle vicende di persone che vivono storie al cardiopalma, rincorse da giornalisti e fotografi.
Anche la signora Teresa ogni tanto si lascia andare a qualche segreto sogno: le sarebbe piaciuto diventare famosa, le avrebbe scaldato il cuore esser riconosciuta per strada, e non solo dal fruttivendolo. Le sarebbe piaciuto che qualcuno potesse ascoltarla con attenzione e con interesse, considerando la sua opinione degna di venir recitata su un palcoscenico più vasto. Le opinioni della signora Teresa non sono meno valide di quelle di tanti altri che pontificano nelle varie trasmissioni televisive, ma loro possono raccontarle ad un pubblico vasto. Lei, le sue personali, anche intelligentissime, quando è fortunata, le racconta alla vicina di casa e a qualche familiare.
La signora Teresa appartiene alla stragrande maggioranza formata di brava gente, che cerca di vivere onestamente la propria vita, che si cura dei figli, dei parenti anziani, degli amici bisognosi, che rispetta il prossimo, che è perfino tollerante. Certo qualche motivo di attrito, anche la signora Teresa lo trova, perché è inevitabile compagno del vivere sociale da sempre. Vuoi per il gomito a gomito, vuoi per le inevitabili e anche benvenute diversità di opinioni, c’è sempre modo di vivere contrasti, insofferenze, antipatie, avversioni. Il massimo di litigiosità si esprime nelle riunioni, specialmente in quelle dove si deve decidere qualcosa per il bene comune o per il minor male. Un tempo non lontano fu appannaggio delle riunioni che erano iniziate con i decreti delegati, nel corso delle quali i genitori, che per la prima volta riuscivano ad esprimersi coram populo, si lanciavano in dissertazioni degne dei teatri di cabaret.
Se ne può trovare traccia nelle riunioni di condominio, dove c’è sempre il primo della classe che dice che gli altri non sanno fare il proprio lavoro, lasciando intendere di essere molto meglio.
I presuntuosi ci sono sempre stati e ci saranno sempre. Ci sono anche i cattivi. Uno dei tanti psicoesperti invitati in una trasmissione molto seguita, affermava che spesso noi non vogliamo renderci conto che la cattiveria esiste. Le religioni in un modo o nell’altro, dicono la stessa cosa, quando affermano che il male c’è sempre, che sta in agguato, che c’è un demone che si diverte a strattonare il fragile essere umano. Pico della Mirandola diceva, cinquecento anni fa, che il Creatore aveva dato solo all’uomo, unico nel creato, i semi di ogni cosa. Dentro il suo animo c’era il bene e il male e che stava solo all’uomo, scegliere di far germinare e sviluppare i semi buoni e bloccare quelli cattivi.
Non so proprio se sia davvero così, certo che ci sono dei periodi nel corso dei quali pare che i semi buoni vivacchino malamente. Magari è solo un’ impressione, alimentata dal clamore che viene assegnato a fatti criminosi cui i media si attaccano con artigli ferrei perché da che la gazzetta è stata inventata, il crimine tira e si sa che l’orrendo crimine farà impennare il numero di copie vendute, che le trasmissioni saranno più seguite e che di conseguenza si potranno spuntare prezzi più appetitosi per le pubblicità che le interrompono.
Lo sanno tutti, anche la signora Teresa lo comprende senza sforzo. Addirittura le pare che sia superfluo ricordarlo ma a qualcuno viene in mente che la stampa che sbatte il mostro in prima pagina, gioca e lucra su quello, esattamente come si gioca e si lucra sul topless di qualche divetta o sulle sue lacrime.
La signora Teresa è curiosa. La sua naturale sete di cose diverse trova sollievo negli strani fatti che accadono agli altri, nelle avventure esotiche ambientate in luoghi apparentemente primordiali (lo sa bene anche lei, oggi di primordiale c’è molto poco) così come assiste divertita e scandalizzata alle esplosioni istrioniche di sentimenti passati attraverso un ingranditore. Sono eruzioni di pessimo gusto come il turpiloquio, le reazioni sconsiderate. La signora Teresa possiede una dose normale di buon senso. Lei sa anche che non tutti riescono a distinguere tra finzione e realtà, tra vita e teatro e che spesso sono i più giovani che subiscono distorsioni comportamentali, fino a reagire con inaudita violenza a fatti assolutamente banali.
Entro i quali spesso possono venire ricondotti anche i delitti più misteriosi, le cui cause sono per lo più ascrivibili ad invidia, gelosia e questioni di soldi: concime prodigioso che ha il potere di far crescere, rendendoli incontrollabili, i famosi semi cattivi che ciascuno si porta dentro.
Quando segue avidamente le vicende di orrori e trova il mostro in prima pagina, la signora Teresa, che non farebbe male ad una mosca, riconosce per istinto la composizione di quel miscuglio esplosivo fatto di rancori vecchi, invidie, ingiustizie, che determinano la tragedia. Gli investigatori cercheranno fatti, naturalmente, e spesso con fatica e difficoltà, ci metteranno anni e anni. Lei che non ha questi doveri si limita a guardare alla vicenda non proprio come ad una finzione, ma ad una realtà virtuale, possibile perché in qualche contesto accaduta, ma da cui si distacca subito dopo essersene immedesimata, come dinanzi ad una rappresentazione magistrale.
Per un attimo, è coinvolta quasi totalmente: è come se avesse trovato un varco attraverso il quale fantasia macabra e realtà si fondono. Però, non appena il clamore si placa, tutto ritorna al proprio posto; lo scopo della sua vita e quello di milioni di altre persone, si riposiziona al centro di pensieri ed azioni che niente hanno da spartire col surplus di pathos e con il teatro mediatico che lo celebra e che lo usa.
Con un gran sospiro anche di sollievo, la signora Teresa avrà un altro motivo per benedire la sua buona sorte: quella che l’ha fatta nascere, crescere e vivere, in una normalità che non ha nulla di così affascinante e che non arriverà mai agli onori delle prime pagine perché fatta di sentimenti emozioni e sogni che appartengono solo a lei e che lei, saggiamente, ha tutta l’intenzione di custodire con cura.