Se la politica avesse fatto politica ora Monti starebbe a fare il professore

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Se la politica avesse fatto politica ora Monti starebbe a fare il professore

06 Dicembre 2011

“Il Monti ha partorito un topolino”. Il commento, sacrastico e gustoso, dell’editoriale politico di Giancarlo Loquenzi da parte di un lettore, aiuta non poco. Aiuta non soltanto l’immaginazione e il pensiero laterale – che non sarebbe male attivare, soprattutto in tempi di vacche magre -, ma anche la percezione storica e politica. In soldoni: se la politica non avesse fatto fiasco, oggi non avremmo il Monti che partorisce il topolino. E’ l’aspetto che dobbiamo sottolineare, perché talvolta ci sembra di vivere nel mondo dello schizofrenico John Nash, il geniale matematico, inventore della teoria dei giochi, premio Nobel per l’economia nel 1994.

Si odono voci, suoni; si vedono strane immagini spettrali; si vivono strane esperienze di confine: il mondo della malattia mentale. Tutto nella testa di un uomo, avvitatosi ormai da tempo nella morsa del tarlo psichico, divorante. Abbiamo l’impressione che questa distorsione cognitiva grave si sia alimentata di se stessa, fino al punto di non riuscire a trovare altra via d’uscita se non la replica di se stessa. I personaggi in cerca d’autore, alla fine, hanno vita facile: l’autore si trova, di volta in volta, ed ha la faccia di questo  quel leader, politico, peones, più o meno indignato, perplesso o sbalordito. Un copione che diventa cornice ed evidenzia i tratti della debolezza strutturale della politica: ecco il punto.

Monti è la scelta residuale per un Paese con una delle peggiori classi dirigenti del mondo. E’ vero: la politica non se la passa bene, in generale. Obama ha le sue gatte da pelare e non tira conigli fuori dal cilindro, a quanto pare; la Merkel ormai è ai limiti del grottesco, sembra un personaggio dello scrittore suo connazionale, Grass; su Sarkò, meglio stendere un pietoso velo. Insomma, se Atene piange, Sparta non ride? No, sbagliato. Così, ci siamo fregati con le nostre mani.

Non è mai stato vero che Berlusconi fosse la quintessenza dei mali del Belpaese. Ma non è neanche riuscito ad essere il Principe del terzo millennio italiano. Il centrodestra non ha saputo trovare la formula politica e strategica per sfondare anche al centro-centro e scrollarsi di dosso la paralisi post-“finista”. Questo si chiama un mezzo risultato, il regno della mediocrità, ossia qualcosa di peggio del fallimento: l’incompiuta. Questa è la verità. Oggi, se è inutile recriminare per Monti al governo, non possiamo neanche far passare tutto in cavalleria sul versante politico-politico, per così dire. Non ci siamo.

La politica ha saputo interpretare il lato peggiore e più indecente del tradimento delle élites italiane – secondo la storia patria meno nobile, Italietta in primis -, salvo poi scaricare il costo dell’operazione al ribasso della svendita del governo al popolo retoricamente definito sovrano, in realtà considerato bue o, nella migliore delle ipotesi, utile idiota per operazioni elettoralistiche eccitate da propaganda, spesso becera, un tanto al chilo.

Dunque, i tecnici – per la mia formazione, la soluzione meno accettabile – sono il frutto di questo limite storico e strutturale di una politica fregata da un ventennio circa di massacro della cultura politica – con gli anni ’90 del secolo scorso ancora da indagare realmente, leggi alla voce Tangentopoli – e dal rientro dalla finestra di antichi parassitismi di casta e corporativi, frutto di un capitalismo che privatizza gli utili e socializza le perdite. Questa è la verità: il fallimento della politica come orientamento strategico generale e visione del Paese. I tecnici fanno i “tecnici”, sapendo di fare politica, semplicemente perché la politica – sempre meno tecnica, tosta e strutturata – ha smesso di fare la politica. Le chiacchiere, su questo punto, stanno a zero.