Se la sinistra ultra-laica difende il burqa

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Se la sinistra ultra-laica difende il burqa

04 Agosto 2011

Le sinistre postmoderne hanno un nemico mortale che combattono con implacabile determinazione: l’etica della borghesia ‘capitalista’, con la sua fiducia nel mercato, la sua concezione realistica e schumpeteriana della democrazia, i suoi valori come la ‘rispettabilità’ e la tolleranza nei rapporti interpersonali, la sua educazione cristiana, che sopravvive alla fede.

La classe media tradizionale coi suoi depositi in banca, la sua casa delle vacanze, il suo perbenismo, i suoi ‘pregiudizi’ nei confronti dei nonconformisti, la sua estraneità al ‘politicamente corretto’, la sua morale sessuale, i suoi usi e costumi, la sua sordità alle avanguardie di ogni tipo, è la bestia nera di una cultura politica che vuole creare, sia pure con prudente gradualità, l’uomo nuovo. Quanti, in ogni angolo del pianeta,  sono in guerra contro ‘pregiudizi’ e ‘stili di vita’ della tribù occidentale, finiscono, in tal modo, per suscitare simpatie inconfessabili, anche se esprimono visioni del mondo che l’illuminismo razionalista, lievito della ’democrazia totalitaria’ della vecchia sinistra, avrebbe qualificato come infami superstizioni.

Solo così si può spiegare il ‘riflesso condizionato’ che ha portato Livia Turco a difendere la ‘libertà del burqa’ contro le stesse associazioni femminili islamiche tentate dall’occidentalizzazione. Tale dichiarato rispetto per la libertà religiosa quando si fa parte di una famiglia ideologica che ancora oggi si rifiuta di ammettere che, nella guerra civile spagnola, le violenze della sinistra repubblicana non erano meno atroci di quelle franchiste, a dir poco, induce a riflettere sul nichilismo strisciante che sembra costituire l’ultima risorsa dei nemici della ‘società aperta’. Esso non si traduce nella difesa di un fondamentalismo religioso col quale, forse, si pensa di fare i conti in un secondo momento, ma diventa l’alibi di un ‘pluralismo dissolvente’ in grado di portare la sovversione nella ‘casa in ordine’, dove tutti si attengono alle stesse ‘regole’ e da tutti si esigono misura, discrezione, buon gusto.

Paradossalmente, l’etica familiare e sessuale, che impone alle donne di non mostrare in pubblico volto e forme, e che, come tale, è l’antitesi della ‘trasgressione’, proprio perché sconcerta e disorienta il ‘tradizionalista’ occidentale, diventa anch’essa un fatto trasgressivo, come l’abbigliamento dei contestatori hippy degli anni 60/70. Più che segno di rivendicazione della libertà religiosa il burqa viene percepito come un pugno nello stomaco dei conformisti dell’ordine sociale: li obbliga a prendere atto che il loro modello di convivenza non solo non è migliore degli altri ma, come gli altri, è fondato sull’arbitrario, sul relativo, sull’irrazionale. E’ inconcepibile che una donna sia costretta a guardare il mondo da uno scafandro di stoffa? E non è altrettanto assurda una società che si pretende ‘civile’ ma che non riesce a risolvere le sue contraddizioni, ad es., tra le morti per sovralimentazione e le morti per fame?

Il fatto è che, con la morte del marxismo, si va diffondendo, nelle scuole, nelle università, nei mass media, una ‘cultura antagonista’ interessata solo a smantellare il pianeta, sempre più inquinato e insicuro, dell’etica borghese. In quest’opera di demolizione, tutto fa brodo, tutto può essere riciclato e utilizzato per far crollare le ipocrite certezze del ‘mondo di ieri’. Un tempo soccorreva il linguaggio della ‘protesta sociale’, oggi trionfa il linguaggio della protesta culturale: nell’altro secolo, si voleva alleggerire il portafogli del borghese per venire incontro ai bisogni fondamentali dei ‘dannati della Terra’; oggi che quel portafogli è stato appena scalfito e in Confindustria si legge più ’Repubblica’ che ‘Il Sole—24 Ore’, si pensa di agire sulle strutture mentali, con le armi micidiali—prodotte da filosofi,  sociologi e  psicologi– che seminano <incertezza di massa>, rassegnazione alla fine imminente, atarassia etica. Il burqa come metafora degli ‘ultimi giorni di Pompei’!

(Tratto da Il Giornale)