Se la Storia della lotta al Nazismo la riscrive quel geniaccio di Tarantino

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Se la Storia della lotta al Nazismo la riscrive quel geniaccio di Tarantino

07 Marzo 2010

“L’amore conosce ragioni che la ragione non conosce”. Qualche mese fa, sulle pagine del Corriere della Sera, Paolo Mereghetti scomodava Pascal per salutare l’uscita in sala di “Bastardi senza gloria”, l’ultimo film di Quentin Tarantino. Che è un esercizio di fantasia storica, spericolato e brillante, ma soprattutto un generoso atto d’amore verso il cinema. Un amore sostenuto da una competenza enciclopedica, che si manifesta nel folto reticolo di citazioni (a volte così fitto da risultare inestricabile) e nel felice collage della colonna sonora, presa a prestito da alcuni dei temi più celebri della storia del cinema. Un amore in cui si stemperano incongruenze storiche, forzature della trama e cali di ritmo.

Con un’invenzione roboante, Tarantino fonde western e commedia, melodramma e documentario in un prodotto nuovo, sorretto da una sceneggiatura raffinata, riesce a tenere insieme (quasi) tutti i sussulti del suo appetito di cinefilo insaziabile. E all’impasto aggiunge un retrogusto kitsch, da cinema di serie B, che non disturba e fa addirittura “cool”.

Stavolta, però, l’omaggio di Tarantino non si ferma al cinema. Il regista attinge a piene mani da un vero e proprio filone letterario: quello dell’ucronìa o fantastoria. Si tratta di un genere romanzesco e insieme scientifico (dal greco ou kronos, letteralmente “nessun tempo”) basato su una rivisitazione fantasiosa della storia per indagare come si sarebbe sviluppata se incerti snodi cruciali avesse preso altre direzioni. Che cosa sarebbe successo se l’impero romano non fosse caduto, se Napoleone avesse vinto a Waterloo, se gli Stati del nord avessero perso la guerra civile americana?

Inutile dire che la seconda guerra mondiale e la parabola del Terzo Reich, con un finale stravolto rispetto alla realtà, rientrano tra gli argomenti più gettonati. Sul tema, i titoli di culto sono “La svastica sul sole”, uscito nel 1962 dalla penna di Philip Dick, uno dei più geniali narratori del ventesimo secolo; “Fatherland”, bestseller mondiale pubblicato nel 1992 dal giornalista inglese Robert Harris e “Complotto contro l’America”, scritto nel 2003 dal premio Pulitzer Philip Roth. Se Tarantino si “limita” a immaginare la strage dell’intero stato maggiore della Germania nazista, Hitler compreso, nella platea di un cinema francese, Dick, Harris e Roth vanno ben oltre.

Il primo costruisce una dimensione parallela in cui Germania e Giappone hanno vinto la guerra e dominano il mondo. Come la Germania del dopo Postdam, gli Stati Uniti sono divisi in zone di occupazione poste sotto il giogo della follia nazista e dell’imperialismo giapponese, all’apparenza meno feroce ma in realtà più subdolo. In questa dimensione lo scrittore Hawthorne Abendsen descrive un altro mondo possibile, del tutto simile al nostro, se non fosse che qui Stati Uniti e Gran Bretagna hanno vinto la guerra senza l’aiuto dell’Unione Sovietica. In un gioco di specchi, di sogni dentro il sogno, i mondi possibili si moltiplicano e si riflettono uno dentro l’altro, provocando un’inquietante sensazione di relatività.

Harris ambienta la sua ucronia nel 1964, in un mondo diviso tra il Terzo Reich, che si estende dal confine franco-tedesco ai monti Urali e controlla tutti i Paesi dell’Europa occidentale e le loro colonie africane, e gli Stati Uniti, alleati con la Russia (ormai potenza asiatica), il Giappone e alcune ex-colonie dell’impero britannico (Canada, Australia e Nuova Zelanda). Cina e Svizzera restano neutrali, mentre il resto dell’Asia e il Sudamerica sono terreno di conquista. In questo “pazzo” mondo, alla vigilia della visita del presidente americano Joseph Kennedy (padre di JFK) nel Terzo Reich, l’agente della polizia criminale Xavier March svolge un’indagine sulla misteriosa morte di un gerarca nazista, che lo porterà a scoprire, e forse a rivelare, gli orrori dell’Olocausto, fino ad allora nascosti all’opinione pubblica.

Roth, infine, premiato dall’accademia degli storici americani per la verosimiglianza e la rigorosa documentazione del suo “complotto”, immagina che alle elezioni presidenziali del 1940 Charles Lindbergh, l’eroe dell’aria americano famoso in tutto il mondo, sbaragli Roosevelt riaprendo ai repubblicani le porte della Casa Bianca. Dichiarato antisemita e simpatizzante del regime nazista, il nuovo presidente tiene gli Stati Uniti fuori dalla guerra firmando con Hitler un trattato di non aggressione e intanto comincia una sottile opera di smantellamento delle comunità ebraiche americane.

Gi Ebrei, accusati di complottare contro la nazione, vengono trasferiti in zone decentrate, ricacciati ai margini della società, in realtà dove è forte l’influenza del Ku Klux Klan e l’antisemitismo detta legge. L’epurazione è vista attraverso gli occhi di una famiglia di Ebrei americani, ricalcata su quella reale dell’autore e descritta nella sua inesorabile discesa verso l’inferno. Fino a quando, nel 1942, l’uscita di scena di Lindbergh riporta alla Casa Bianca Roosevelt e rimette la storia dentro i binari della normalità.

L’ucronia, peraltro, non è prerogativa della narrativa contemporanea. Già Tito Livio, nell’opera “Ab Urbe condita”, si esercitava a immaginare che Alessandro Magno avesse ingrandito il regno macedone ad ovest piuttosto che ad est. Secoli più tardi, nel 1836, il francese Louis Geoffroy descrisse l’immaginaria conquista della Russia da parte di Napoleone e la fondazione dell’Impero Universale.

Nel 1931, poi, lo storico britannico Squire raccolse in un’antologia dal titolo “Se la storia fosse andata diversamente” gli scritti di autorevoli personalità della politica e della cultura (tra cui Churchill, Chesterton e Maurois) che aveva invitato a ipotizzare finali diversi per eventi cruciali nello sviluppo della civiltà occidentale. Anche in Italia la fantastoria ha avuto la sua parte di fortuna. Dalla letteratura al cinema, dal serio al faceto, dalla trilogia “Occidente” di Mario Farneti (che descrive un’Italia rimasta fascista dopo aver scelto la neutralità nella seconda guerra mondiale) alle improbabili avventure dei “Fascisti su Marte” di Corrado Guzzanti.

Probabilmente il fascino dell’ucronia dipende dalla sua singolare posizione al confine tra realtà e fantasia, un passo oltre la storia e uno prima della fantascienza, dalla mescolanza di elementi reali in un contesto fantastico ma comunque riconoscibile, al tempo stesso suggestivo e inquietante. Possibile che anche dietro a “Bastardi senza gloria” si nasconda tutto questo? Non ci sarebbe da stupirsi… Non più che se, in una dimensione parallela, un altro Tarantino odiasse il cinema.