Se l’arte del ‘900 è nichilismo che ne sarà di quella del nostro secolo?
01 Giugno 2008
Sgarbi, sulle colonne de Il Giornale, osserva che l’arte novecentesca è fatta per sparire e accenna correttamente al vero problema di fondo: il nichilismo. Aristotele rimise in piedi la macchina logico-analitica, contro la vecchia metafisica eleatica, con un motto di rara profondità: l’essere si dice in molti modi. Il ‘900 ha tradotto questo criterio filosofico in un sovversivismo capace di dissolvere la forma dell’opera, come opus, dunque in realtà ben più che opera: ecco, in diretta, il nichilismo.
L’arte diventa così il campo di battaglia delle interpretazioni e il conflitto (legittimo) delle interpretazioni assurge al rango di teologia residuale, spirito gnosticamente iconoclasta, secondo il quale l’opus, lungi dal rappresentare la realtà e ri-dimensionare le cose, nel senso della creazione di un nuovo ordine del discorso artistico, si riduce sempre più visibilmente fino a scomparire nel nulla di un’idea. Più che di un pensiero, direi di un’idea. Paradosso supremo, perché la radice intellettuale e semantica di “idea” è legata al vedere come atto materiale, fisico, percettivo, come anche al vedere dei Padri Greci, dunque come “theorein” contemplativo. Niente di tutto ciò nel ‘900, neppure un risveglio modesto di sensi in azione; e tutto ciò è puro nichilismo.
Sgarbi ha, dunque, ragione e le molte ragioni di una critica rigorosa e radicale di certe presunte “opere” senza idea e senza realtà – oltre a Merda d’artista, vi è tutto ciò che costeggia l’astrattismo e nega la figura umana come presenza tangibile e addirittura misurabile – pongono ancora una volta l’interrogativo, storico-filosofico, sull’essenza di questo abisso temporale e anti-metafisico che è stato il ‘900, secolo tutt’altro che breve, ma dalla lunghissima gestazione.
L’estetica, a questo punto, non è più percezione della realtà, ma riflesso immateriale di un punto di vista soggettivo, un egotismo senza storia e padronanza civile. Ultimo nodo: la dimensione civile dell’arte. Non come fattore ideologico, giacobino, ma come edificazione di un ethos e di una politica riconoscibile. Che non avrà mai ideazione teorica e fisionomia pubblica senza uno scarto secco e chiaro dai fenomeni solo apparentemente estetici ed artistici evidenziati acutamente da Sgarbi. Si tratta dei luoghi, degli spazi e del destino di una civiltà. Di una pòlis, di una storia comune. Nichilismo è quanto avversa duramente questo mondo plastico e nostro, come i volti che salutiamo al risveglio. E’ una questione politica. Non basterà la tutela e la conservazione. Ci vorrà altro. Questo è certo.