Se l’Europa riempie il vuoto americano nel Caucaso

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Se l’Europa riempie il vuoto americano nel Caucaso

24 Ottobre 2008

A suo modo, nell’incontro fra la delegazione del governo georgiano e la Commissione Esteri del Senato, il protagonista principale non è stato né russo, né georgiano. Perché è stato – sullo sfondo, ma onnipresente – il presidente del consiglio italiano.

A Berlusconi si attribuiscono eccessi di putinismo. All’onorevole Guzzanti tali eccessi la scorsa settimana sono arrivati a causare addirittura il vomito. Ai senatori del PD, che pur avevano votato con la maggioranza una settimana fa sulla missione in Georgia, il putinismo è parso irresponsabile quasi quanto il bushismo: l’uno e l’altro hanno alimentato il consueto antiberlusconismo.

Del resto, il rapporto fra Putin e Berlusconi risale al 2003, a Pratica di Mare. Gli fu in gran parte suggerito da Bush all’indomani della lacerazione europea sull’Iraq e fu pensato nel segno della massima amicizia e cooperazione fra NATO e Russia. Se non fosse più attuale, si tratterebbe quindi di una sconfitta, non di un successo dell’atlantismo.

Sia stato russo o georgiano il "Saddam" dell’8 agosto scorso (rispetto all’invasione del Kuwait), la crisi fra Russia e Georgia era più che annunciata. Da almeno sedici anni. Da quando, cioè, si permise a Mosca di intervenire in veste di peacekeeper (in Ossezia del Sud e in Abkhazia, ma anche in Transnistria). Il compito servì alla Russia per far pesare la sua presenza come una spada di damocle sul Caucaso. Affaccendatissima nei Balcani, la comunità internazionale ha lasciato fare, ha lasciato passare, rassicurata dai buoni rapporti intereuropei che si sono sviluppati grazie alla soprintendenza e alla garanzia dell’OSCE.

Ora però le cose si sono complicate. Non si può più lasciar fare, né lasciar passare, né congelare. In Georgia, in un colpo solo, Mosca ha voluto esplicitamente intimidire Tbilisi, Washington, la NATO, la UE, per minare i legami transatlantici. Guzzanti vi scorge il riaffiorare di quella dottrina della "sovranità limitata", perseguita al tempo dell’URSS. Più felpato il linguaggio di Guido Lenzi (diplomatico di lungo corso per molti anni all’OSCE) che ha parlato di un complesso di accerchiamento buono per tutte le stagioni e che, più dell’ombra di Breznev, evocherebbe quella della grande Caterina. Ma le cronache sono ormai più veloci dei commenti.

A suo modo Berlusconi, anche lunedì in America, percepisce preoccupazioni occidentali che sono europee ma anche americane. Il suo putinismo, dettato da simpatia ma non solo, viene sempre equilibrato con sentita solidarietà all’alleato americano. Non gli piace evidentemente la crudezza con cui Sergio Romano sul "Corriere della sera" rubricava: "Washington incoraggia i topi a ruggire (è il caso della Georgia) ma non è in grado di liberarli dalla trappola in cui si sono cacciati". Gli piacerebbe che l’OSCE (organizzazione nella quale ci sono sia la Georgia sia la Russia) supplisse all’impotenza del Palazzo di Vetro.

Del resto, la CSCE, da cui scaturì l’OSCE, emerse dalle ceneri dell’invasione di Praga nel ’68. Esista o meno il "vuoto americano" denunziato da Sergio Romano all’OSCE nel Caucaso (ed agli europei all’ONU) tocca presidiare confini e autonomie che non consentano a nessuno di atteggiarsi a Iraq nei confronti di nessun Kuwait. Con queste finalità, un certo qual putinismo europeo (di Berlusconi, di Sarkozy, della Merkel) non è privo di buone ragioni.