Se Liberazione non è più “Fidel”

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Se Liberazione non è più “Fidel”

18 Giugno 2007

Il mito di Cuba non può essere toccato: i militanti della base di Rifondazione Comunista e i lettori di Liberazione, il quotidiano della formazione di Bertinotti, si sono dimostrati molto più ortodossi e intransigenti rispetto ai vertici culturali del loro partito. Dopo la mezza insurrezione contro il “revisionismo” sulle Foibe dell’anno scorso, il 30 maggio la base militante ha mostrato ancora i denti contro un’altra blasfemia, questa volta scritta sul quotidiano comunista: l’aver detto che a Cuba si vive male, che l’aspirazione dei giovani è quella di scappare negli Stati Uniti o in Europa, che persino i medici inviati a Chavez ne hanno approfittato per non far più ritorno a Cuba, che il regime di Castro lesina visti e permessi a seconda di quanto un cittadino è fedele al partito (o a seconda di quanto paga), che l’informazione è interamente censurata, che la propaganda si nutre di miti e falsificazioni della storia e che  per tutti questi orrori il responsabile principale è (udite! udite!)… lo stesso regime di Castro. Inoltre il duplice articolo comparso su Liberazione non è uno studio fatto a distanza, né è il frutto di interviste a cubani esuli, ma è un reportage di prima mano, redatto dalla giornalista Angela Nocioni dopo un’inchiesta condotta a Cuba, dopo aver parlato con i Cubani che vivono all’Avana. Inutile dire l’effetto di spiazzamento che ha colto il lettore medio di Liberazione nel leggere su un quotidiano comunista un articolo che presenta tutte le caratteristiche da manuale del reportage di sinistra (attento al sociale, scritto intervistando i reietti di una società, fortemente aggrappato alla realtà della strada e non alle veline governative) che però giunge alle conclusioni “sbagliate”, cioè alla tacita accusa di un regime comunista ormai in bancarotta morale ed economica.

La reazione non si è fatta attendere: un gruppo di lettori di Liberazione ha indetto un sit-in di fronte alle finestre della sede del giornale. Sansonetti non ha rilasciato commenti. Immediatamente è partita la valanga di lettere di protesta da parte di lettori comuni, così come di editori, direttori di altre riviste di estrema sinistra, rappresentanti dell’Associazione Amici Italia-Cuba. Sono tutte lettere in cui si può ritrovare intatto, a distanza di 60 anni, tutto l’impianto della propaganda staliniana. Vi si trova, infatti, la denuncia di un complotto, come nella lettera inviata a Sansonetti da parte di un ex collaboratore, che inizia subito con l’avvertirlo che “qualche malizioso la chiama Sionetti” e poi precisa meglio che “Le programmate diffamazioni, negazioni, falsificazioni di Angela Nescioni (non è un errore) hanno radici lontane di pura per quanto malamente mimetizzata natura governista, borghese, a tendenza sionista-imperialista”. Gennaro Carotenuto, storico e giornalista specializzato sull’America Latina, lancia un’esplicita accusa di deviazionismo: “Negli articoli della vostra redattrice c’è la beceraggine destrorsa del Giornale o di Libero, c’è il pregiudizio rabbioso di Pierluigi Battista del Corriere, c’è l’ignoranza crassa di Omero Ciai di Repubblica, che offende i suoi lettori ammannendo loro la realtà latinoamericana da un caffè di Miami (…) Angela Nocioni è recidiva. Lo scorso 3 gennaio, nel suo antichavismo viscerale e aggressivo, riuscì a farsi bacchettare da sinistra da Massimo D’Alema. Definì il processo redistributivo del Venezuela – cito testualmente – come “elemosina” (sic!) e il ministro degli esteri trovò l’occasione per darle una bella e meritata lezioncina. La Nocioni è impresentabile in tutta la sua carriera di sicario informativo anti-latinoamericano”.

Inutile dire quale visione della libertà di stampa vi sia in questi ambienti post-comunisti. Come nella propaganda staliniana, nella lettera inviata dalla segreteria nazionale dell’Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, si legge una (non troppo velata) accusa di sentimentalismo o soggettivismo borghese: “Certamente occorre discutere con i compagni cubani, ma partendo dal fatto che i cubani sono persone in carne ed ossa come noi, e che, a differenza di noi, sono riusciti a fare una Rivoluzione che ha cambiato in meglio la vita di milioni di esseri umani e che, ancora oggi, rappresenta un punto di riferimento per tutta la sinistra latino-americana e non solo, vivendo a poche miglia dalla superpotenza statunitense che fin dal 1959 ha dichiarato loro una guerra infinita”. Il retropensiero di questa critica è palesemente: “prima si deve parlare dell’utopia e della versione ufficiale della rivoluzione, poi, semmai, si parla con la gente in carne ed ossa, ma sapendo che il loro parere è secondario”. I regimi comunisti, d’altra parte, si basano su questo: fare la rivoluzione nel nome del proletariato, ma senza dar troppo retta ai proletari in carne ed ossa. Come si legge chiaramente in un’altra lettera, questa volta scritta da un editore: “Invece di raccontarci, ancora una volta, scelte e idee personali di alcuni giovani cubani, non sarebbe meglio far conoscere ai lettori di come un paese affronta le problematiche dettate dal neoliberismo e da un embargo economico da più di 45 anni?”. Ma qui scatta anche un altro meccanismo tipico della propaganda staliniana: la diffamazione. Lo stesso editore parte subito con il discredito del quotidiano contro cui vuol protestare: “Se lo lasci dire, caro direttore: che un giornale al minimo della fogliazione, con tirature paragonabili ai giornalini di quartiere e con notizie spesso in ritardo rispetto anche al tam tam della rete, permettersi il lusso di mandare un’inviata all’Avana per un reportage di un’intera pagina…”.

La risposta di Piero Sansonetti e di Rina Gagliardi in difesa della loro giornalista ha avuto l’effetto di inasprire ancor di più l’indignazione e il sospetto di complotto: “Ma lo faccia una volta per tutte!” – si legge in una lettera pubblicata sul sito di Gennaro Carotenuto – “Non offenda i lettori di Liberazione con articoli che non sono altro che mafiosissimi messaggi trasversali per accreditarsi a La Repubblica. E’ ovvio che per sparare simili balle non c’è bisogno di essere ‘attenti, bravi e informati’, come Sansonetti descrive la Nocioni”. E poi: “E’ possibile non notare che la Nocioni da anni non si differenzia in nulla dalle campagne di stampa orchestrate da Washington contro i governi integrazionisti latinoamericani?”. Un altro lettore risponde a Sansonetti descrivendo una più articolata teoria della cospirazione: “Dopo aver riletto il citato articolo mi sono ricordato della notizia riportata dalla CNN lo scorso 8 settembre riprendendola da Miami (AP): ‘Dieci giornalisti del sud della Florida sono stati pagati migliaia di dollari dal Governo Federale per trasmissioni che avevano lo scopo di danneggiare il presidente cubano Fidel Castro’ (…) Pure mi sono ricordato di Reporters sans Frontières – inseriti tra le organizzazioni non governative – e dei loro consistenti finanziamenti percepiti dallo Stato francese, dai grandi gruppi economici e finanziari capitalisti, dall’estrema destra cubana della Florida e dal Dipartimento di Stato nordamericano”.

E poi, come nella miglior tradizione sovietica, queste critiche si accompagnano ad attacchi personali contro la giornalista. In una vignetta comparsa in un sito filo-cubano, appare come una prostituta sotto un lampione, con la lampada che la illumina e dice: “Certi giornalisti possono mostrare o non mostrare la realtà e anche scegliere con che luce e colore farla apparire… io invece posso solo farla vedere per quello che realmente è”: una prostituta. “Credo che, al di là della opportunità politica che la giornalista, se è una giornalista, continui a inondare di spazzatura il nostro giornale, sia veramente il caso che ci sia una più attenta valutazione, da parte del direttore e del comitato di redazione, su ciò che si scrive”. Un’invocazione della censura? Sicuramente sì. Un altro sito marxista, “FalceMartello” la teorizza anche: “Vorremmo un giornale non astrattamente ‘libero e indipendente’ come invoca Sansonetti, ma partigiano, cioè che porti il punto di vista di quegli oppressi che raramente hanno voce sui giornali dei padroni. Questa dovrebbe essere l’essenza di un giornale comunista”. Tanto l’importante è rimanere “fedeli ad oltranza” come sembra ricordare, con toni molto diplomatici, anche Fabio Amato, responsabile degli esteri di Rifondazione Comunista nella sua lettera al direttore di Liberazione: “Noi non facciamo di Cuba un’icona. Noi lottiamo perché sia sovrana e libera, perché possa decidere il proprio futuro, senza l’ingerenza statunitense che blocca la sua economia e l’accerchia, alimentando una reazione di chiusura. Perché Cuba soffre un embargo unico al mondo, scandaloso e immorale, contro cui credo sia giusto e doveroso continuare a lottare. Pensiamo che per essere amici e vicini a Cuba non serva tacere quando non si condividono delle scelte, né essere reticenti sui problemi attuali. Ma lo facciamo stando dalla sua parte. Dalla parte del suo popolo e della Rivoluzione”.