Se l’Unione europea è il problema e non la soluzione

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Se l’Unione europea è il problema e non la soluzione

14 Marzo 2018

L’Unione europea è il problema non la soluzione. It used to be that the Franco-German agreement was both necessary and suffcient for any Eu reform to get trough. That is no longer the case” con la sua solita lucidità Wolfgang Münchau scrive sul Financial Times del 12 marzo che chi pensava come l’asse franco-tedesco fosse insieme necessario e sufficiente per riformare l’Unione europea, deve ricredersi. La presa di posizione degli otto paesi del Nord Europa guidati dall’Olanda, il voto italiano, la fragilità dell’accordo politico per la grande coalizione tedesca. Su questo ultimo tema Paolo Valentino sul Corriere della Sera del 12 marzo nota: “La pagine pubblicata da Die Welt, a firma di Jens Spahn, dove il ministro alla Sanità, capofila dell’opposizione interna a Merkel, si pronuncia per una nuova ripartenza dell’Europa, ma riproponendo pari pari, con nome e cognome, la linea di Wolfgang Schauble”. Mentre la Spd è tutta tranne che pacificata come spiega Tobias Buck che sul Financial Times dell’8 marzo racconta come:“The new leadership of Germany’s Social Democrats has stamped its authority over rivals by ousting foreign minister and former party chief Sigmar Gabriel from the next grand coalition cabinet. Mr Gabriel’s removal was confirmed on Thursday, with German media reporting that Heiko Maas, justice minister, would be formally announced as his successor on Friday, along with the party’s other cabinet nominees” come i nuovi vertici della Spd abbiano imposto la propria autorità rimuovendo il ministro degli Esteri Gabriel. Non è quindi una sorpresa quella che annuncia su Politico Europa del 12 marzo Hans von der Burchard: “The plan to present the reform in March, which had been announced  by German chancellor Angela Merkel and French President Emmanuel Macron in December, ‘has been cancelled’ Spiegel quoted  an EU official involved in the matter as saying. Berlin has informed the Council of the EU ‘at all levels’ that no announcement is to be expected by March, the report said” il piano di annunciare la riforma dell’Unione europea lanciato da Macron e Merkel in dicembre è stato rimandato a una data da fissare.  E’ giusto porsi l’obiettivo di rilanciare l’Unione europea, ma è realistico solo se si agisce a occhi aperti non ubriacati dalla retorica dominante. Una complessa soluzione degli attuali dilemmi dell’Unione è un grosso problema per tutti gli Stati e le forze politiche che all’interno di questi agiscono, non è una realtà già consolidata a cui affidarsi.

Gli irresponsabili del voto e i responsabili del commissariamento bruxellese. E’ il fronte degli irresponsabili del voto” scrive Claudio Tito sulla Repubblica del 14 marzo, sempre sullo stesso quotidiano dello stesso giorno Andrea Bonanni descrive “I binari stretti lungo i quali l’Europa vuole istradare il vagone Italia”. Insomma si delinea una dialettica abbastanza chiara: quelli che vogliono far pesare il voto (magari con elezioni anticipate come è avvenuto pochi anni fa in Spagna e in Grecia, senza nessun dramma né nazionale né continentale) e quelli che vogliono far pesare solo Bruxelles e i binari sui quali si vuole cacciare il nostro Paese. Questa seconda soluzione non solo non mi convince esteticamente con il suo disegno di farci tornare pura espressione geografica, ma al fondo è poco realistica. L’Unione europea (l’Europa peraltro è cosa più complessa come spiegava Charles de Gaulle che la vedeva estendersi dall’Atlantico agli Urali) non è in grado di risolvere crisi nazionali perché è in una complessa fase di assestamento (come ho cercato di spiegare nella nota precedente) e a noi sta di decidere se a questo assestamento partecipiamo come soggetti (innanzi tutto votanti) o come oggetti (innanzi tutto commissariati).

Quanti “fuori gioco” nel dopo 4 marzo. Salvini commetterebbe un errore se credesse che il suo anziano partner è fuori gioco” scrive Stefano Folli sulla Repubblica del 13 marzo. A mio avviso, l’anziano partner di Salvini commetterebbe un errore se pensasse che gli ambienti che sostengono le preoccupazioni di Folli, vogliono farlo rientrare nel gioco. Per un fan dei Peanuts il comportamento di un Silvio Berlusconi che spera nelle voci “responsabili” di questo establishment sarebbe come quello di Charlie Brown che per la centesima volta si fida di Susy e del fatto che lei non gli toglierà la palla che lo invita a colpire. Dal governo Dini del 1994 alle vicende tra il 2001 al 2005, alle operazioni su Gianfranco Fini, all’appello a lasciar fare Mario Monti e poi nel 2013 Enrico Letta con la sua unità nazionale che caccia  dal Senato il partner di questa unità, e infine il patto di Nazareno con la sorpresa del Quirinale. I cosiddetti ambienti responsabili dell’establishment considerano Berlusconi una variabile pericolosa da tenere sotto schiaffo, logorandone man mano il  ruolo economico e la sua immagine. E’ saggio avere rapporti con tutti e ciò aiuta l’Italia, ma affidarsi a chi ha organizzato il tuo (pur relativamente comodo) martirio sarebbe insensato. Oggi ci sono le condizioni per utilizzare bene una forza emergente come quella salviniana, per contenere i rischi grillini e per aprire nell’establishment italiano ed europeo una vera fase di ripensamento. Sarebbe interessante non sprecarle.

Perché il sindaco di Milano è così allergico anche a una dose minima di cultura politica? Le primarie sono qualcosa di autoriferito” dice Giuseppe Sala al Corriere della Sera dell’11 marzo. Ogni volta che leggo una dichiarazione del sindaco di Milano, quando non si occupa di un problema puramente e precisamente tecnico (tipo: tra cinque mesi toglieremo i cantieri per la linea 4 del metrò, ecco il masterplan dell’ex sito dell’Expo, allungheremo la linea 4 dell’Atm verso Lambrate e temi simili) finisco per rivalutare la cultura politica di Luigi Di Maio.