Se l’Università boicotta il confronto sull’Islam e dialoga con l’erede di un terrorista
23 Novembre 2017
La scorsa primavera, l’Università californiana di Stanford, uno dei più prestigiosi campus degli Stati Uniti, ha invitato Aarab Barghouti, figlio di un noto terrorista palestinese, a tenere una relazione per gli studenti sull’uso politico dello sciopero della fame. Lo hanno pure pagato: 450 dollari di onorario, più altri 200 per l’allestimento dell’evento. A distanza di mesi, la stessa Università ha organizzato un incontro con Robert Spencer, uno dei più autorevoli studiosi del radicalismo islamico, il curatore del famoso blog “Jihad Watch”, ma si è scatenato un vortice di proteste e la lectio è stata, letteralmente, boicottata.
L’ospite “scomodo” avrebbe voluto un confronto pacato e sereno con gli universitari ma la platea è rimasta in gran parte deserta perché all’ingresso c’era chi, con ogni mezzo, ha impedito l’accesso alla sala. Gli unici ad entrare sono stati dei ragazzi che hanno occupato il palco e che, non appena Spencer provava ad aprire bocca, hanno inondato l’auditorium con musica araba ad alto volume. E’ stato persino oscurato il sito attraverso cui sarebbe stata trasmessa la diretta streaming della conferenza.
Spencer – è il motivo della protesta supportata anche da alcuni funzionari dell’amministrazione – non è abbastanza qualificato per parlare in un’accademia (poco importa che sia stato consulente dell’Fbi e di altre forze speciali impegnate nella lotta contro il terrorismo), la sua sola presenza è una provocazione che ferisce e mette in pericolo gli studenti musulmani e incita all’islamofobia.
In sostanza, secondo le associazioni di estrema sinistra, nella libera e progressista Università di Stanford non c’è posto per i “discorsi di odio” di un uomo come Spencer, teorico della propaganda contro l’Islam, più che altro. Certo, il paragone con Aarab Barghouti è improprio: suo padre, Marwan, da cui non ha mai preso le distanze, è un criminale politico vero, che sta scontando cinque ergastoli per tre attentati, e più di trenta omicidi. Difficile, almeno da qui, pensare che sia una fortuna poter assistere alla lezione di un ragazzo, lui sì, cresciuto a pane e odio, che oggi vive a San Francisco, lavora a Stanford e si spende per i prigionieri palestinesi. E’ un po’ come pensare di dover plaudere a un brigatista mai pentito.
In California, però, succede. Quel che è peggio, è che lo spazio conquistato ogni giorno di più dall’odio vero e dalla prepotenza organizzata di certe minoranze toglie fiato alla libertà di parola, alla verità, ai fatti, alla Storia. Perché temere addirittura un confronto, negare la possibilità a qualcuno di parlare ed esprimersi liberamente come è sempre accaduto nelle Università in Occidente? Già, in Occidente. Altrove, non funziona così.